Gaza e l’humanitas europea
L’immagine dei gazawi in marcia a piedi verso Nord con le poche cose in spalla rappresenta l’antico ideale dell’humanitas, vero emblema d’Europa
Non è di compassione che voglio parlare e nemmeno di cristiana pietà per una popolazione che soffre, ma della sua capacità di suscitare emozioni, e anche di ispirare punti di vista, principi e comportamenti capaci di orientarci nel mondo di oggi
Paola Giacomoni
In prima pagina sul Corriere della sera e su molti altri quotidiani, la foto dei palestinesi che tornano al nord della striscia di Gaza ha un effetto sconvolgente. Erano diventati invisibili, dopo essere stati evacuati per rendere possibile la “punizione” israeliana di Hamas.
Ora sono riapparsi mostrandosi per quel che sono: un popolo intero a piedi o su carretti e asini, che tenta di riconnettersi a una vita interrotta, spezzata, frantumata dal conflitto.
L’immagine è iconica: una popolazione civile che non si è sporcata di delitti è stata ridotta, per le continue peregrinazioni nel tentativo di sfuggire alle bombe, alle condizioni minime di esistenza umana, per noi di sicuro inaccettabili.
Non alcuni singoli traumatizzati e cenciosi, ma un popolo intero è in questione: abbiamo potuto vederne le dimensioni.
Un’umanità intera privata di tutto, che tuttavia festeggia e si incammina con speranza ma anche con rassegnazione verso una vita “normale”, forse nemmeno raggiungibile.
Deportazioni, emigrazioni, dominazioni sono ben conosciute dal popolo ebraico fin dai tempi biblici: impossibile non riconoscersi in queste immagini, non vedere un destino simile al proprio in questa lunga fila di persone spogliate di ogni decenza umana anche se forse non della dignità, che quasi richiamano le molte immagini viste nel giorno della memoria.
Amos Oz ha scritto in molti dei suoi romanzi e saggi che gli ebrei prima di Israele erano innamorati dell’Europa, della sua cultura e del suo stile di vita e anzi che erano gli unici veri europei perché non legati a una singola nazione, ma capaci di attraversarle tutte e di parlarne le molte lingue. In quanto tali hanno ben conosciuto e contribuito a rafforzare l’ideale fondante dell’Europa, quello dell’humanitas.
Il riconoscimento della comune natura umana nella diversità dei singoli popoli, l’idea che siano riconducibili ad un unico logos e a un solo criterio di giustizia, al di là delle singole storie e dei singoli contesti, è presente in Europa fin dagli Stoici antichi, per i quali il logos comune è pura razionalità, che fa corrispondere la vita umana a quella del cosmo.
E arriva a diventare sistema giuridico con la fine della pluralità dei soggetti di diritto proclamata dalla Rivoluzione francese e attuata dal codice napoleonico: nessuna diversità per nascita può legittimare una diversa attribuzione di prerogative e dunque una diversità di trattamento.
Questo è il marchio dell’Europa, dall’Illuminismo in poi, anche se lunghe lotte furono poi necessarie per estendere questi diritti alle donne e a razze ancora considerate inferiori o a gruppi non omologati.
Questo è ciò che in Occidente sembrava fino a ieri scontato, ovvio, principio comune arricchito dell’elemento emozionale che aggiunge carattere e stile individuale all’umano tutto ragione degli stoici. Un valore fondante che sembra oggi invece per alcuni rinunciabile.
Certo le differenze restano: sono io la prima ad avere difficoltà a riconoscermi nel popolo di Gaza quando vedo le donne velate e la ferocia machista dei capi di Hamas; ugualmente resisto a riconoscermi in Israele, di cui adoro gli scrittori e gli straordinari contributi culturali nei secoli, quando vedo i capi ultraortodossi affermare che con Hamas si può parlare solo con le armi.
Ma l’immagine dei Gazawi in marcia a piedi verso Nord con le poche cose in spalla va oltre ogni differenza: rappresenta ed incarna pienamente l’antico ideale dell’humanitas, vero emblema d’Europa, che non può se non in mala fede essere considerato superato. Non è di compassione che voglio parlare e nemmeno di cristiana pietà per una popolazione che soffre, ma della sua capacità di suscitare emozioni, e anche di ispirare punti di vista, principi e comportamenti capaci di orientarci nel mondo di oggi.
L’altra immagine, quella degli immigrati espulsi in catene, fatta girare ufficialmente dalla Casa Bianca nei giorni scorsi, sembra essere un controcanto: ci sono persone che non meritano un trattamento umano, che possono essere trattate da schiavi e, soprattutto, questo si può fare secondo la legge.
Non è nemmeno il sottrarsi contingente a una norma, ma il tentativo di imporre una nuova norma, pericolosamente fuori dalla tradizione europea più recente. Si tratta del tentativo di riconoscere differenti diritti e differenti trattamenti da parte di chi crede di interpretare l’Occidente in chiave autoritaria, riesumando dal passato criteri elitistici degni del medioevo, come osservato da poco da Roberto Seghetti su Appunti.
A tutto questo l’Europa può e deve rispondere con l’orgoglio delle proprie tradizioni più alte, certo non degradate, deboli o effemminate, ma nel solco delle conquiste non rinunciabili, non negoziabili, che fanno di questo continente ancora un luogo di valori saldi e universali e non un mondo in declino.
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È importante non solo provare un'emozione forte nel vedere quel popolo che ritorna, contro l'ipotesi di Trump e degli integralisti religiosi che li vorrebbero spostare lontano, deportati in un'altra terra ad attendere, ma anche connettere quest'edizione con lo spirito umanitario che informa le società europee. E bene ha fatto Paola Giacomoni a contrapporre quell'immagine del popolo che ritorna con quell'altra, proveniente dallo studio ovale, che ritrae un'umanità, forse colpevole ma incatenata, costretta da una brutalità disumana ad andarsene sotto riflettori compiaciuti. Deve però spiegare Paola Giacomoni il significato delle parole conclusive, laddove scrive che "A tutto questo l’Europa può e deve rispondere con l’orgoglio delle proprie tradizioni più alte, certo non degradate, deboli o effeminate". Vada il non degradate ma perché "deboli o effeminate"? Non è assecondare i critici delle nostre tradizioni, che le vedono deboli ed effeminate, negare che lo siano? Ma quale connotazione negativa possono mai avere la debolezza e l'effeminatezza, di là dal fatto che questo sostantivo nasce per disprezzo di ogni manifestazione che non sia rude e muscolare? E non c'è stato proprio qui da noi teorizzazione del pensiero debole? E non proviene proprio dall'effeminatezza il rispetto della qualità delle persone?
Sono d’accordo con le considerazioni espresse nell’articolo: anch’io provo le stesse emozioni e mi indigno nel pensare che uomini come me possano infliggere tali sofferenze ai loro simili! Ciò sia nei confronti degli Ebrei, quando si vuole la loro estinzione, sia nei confronti dei Palestinesi quando ci si accanisce contro oltre ogni limite come in questo caso! Purtroppo, ancora una volta nella Storia, predomina il fanatismo da entrambi le parti e, ancora una volta, ci sono i Capi pronti a strumentalizzare e a fomentare il fanatismo per il loro tornaconto: denaro e potere! Quando gli uomini capiranno che nasciamo tutti allo stesso modo, che buona parte delle nostre capacità derivano dal DNA che ci ha prodotti e non dalla nostra presunzione, che se nessuno si fosse preso cura di noi non saremmo sopravvissuti o vivremmo ancora nelle caverne a mangiare carne cruda e radici? E questo vale per tutti. Solo quando i più fortunati capiranno che buona parte del merito non è il loro ma della sorte, solo allora forse, i più fortunati aiuteranno i meno fortunati e vivremo in pace, almeno per quanto rientra nelle nostre possibilità. I veri nemici sono le malattie, l’ignoranza, le calamità naturali, ecc.
Scusate la lungaggine, ma mi sono lasciato trascinare da ulteriori considerazioni, temo, purtroppo, utopistiche!