“Chi fa questo vince!”
Se è vero che la comunicazione politica deve cercare di semplificare i messaggi, non deve però ridursi a messaggi semplicistici o populisti. Come è successo al referendum
Domenica mattina, al seggio praticamente vuoto, ho votato mentre uno scrutatore si impegnava, fuori ruolo, a spiegare a una signora i quesiti sul lavoro. Il problema non era la signora, ovviamente. E tutto sommato nemmeno lo scrutatore fuori ruolo. Il problema era nella natura del “gioco”.
Fabrizio Tesseri
Il dibattito sui risultati del referendum
Si iniziava proprio quando finiva la scuola, come in questi giorni. Interminabili partite di pallone in mezzo alla strada, in un cortile o, quando andava bene, in un campo d’erba. Mica uno vero, uno di gramigna e cicoria.
Le regole erano spesso adattate al numero di giocatori: Una porta sola; portiere volante; sponda con i muretti quando il campo era una strada. Ovviamente, nessun arbitro. Ci si metteva d’accordo se era fallo, fuori e se era ora di finire.
Capitava che le differenze tra le squadre, più o meno numerose, fossero notevoli. Capitava che c’era qualcuno più grande.
Qualche volta capitava che ci fosse qualcuno particolarmente forte. Qualcuno me lo ricordo ancora. Per lo più erano ragazzi con il baricentro basso, i capelli lunghetti, i calzettoni abbassati e con la palla incollata ai piedi si involavano verso la porta mentre noi altri cercavamo di fermarli come veniva.
Quando in squadra non avevi uno di questi talenti, toccava fare forza sul gruppo: passaggi, garra, e tiri da lontano.
Siccome quando ero ragazzino i ragazzini erano ancora abbastanza democratici, giocavano pure quelli molto scarsi. Il più delle volte era solo una questione di numeri. Nel senso che serviva qualcuno per fare massa critica, pareggiare le squadre.
Insomma, quello che sarebbe poi diventato il famoso “quinto del calcetto” che non sta nemmeno nella chat Whatsapp ma viene chiamato all’occorrenza. Perché in fondo i ragazzini non sono davvero democratici, diciamo la verità. I ragazzini, a volte, riescono a essere cattivi come pochi. È un fatto di natura. Mancano le sovrastrutture.
Qualche volta, quando il punteggio rispecchiava le differenze notevoli tra le squadre, capitava che quella più indietro, all’avvicinarsi dell’orario sempre molto labile della fine dei giochi, se ne usciva con un “chi fa questo vince!”. E allora non contavano più nulla tutto il sudore speso fino a quel momento, le ginocchia sbucciate, le scarpe consumate e aperte.
Contava solo quell’ultimo goal e, se capitava che lo segnasse chi stava perdendo pure di molto, era tipo “Fuga per la vittoria”, era come l’urlo di Tardelli.
Beh, il referendum dell’8 e 9 giugno per qualcuno era un po’ così: “chi fa questo vince!”
Però l’urlo è rimasto strozzato in gola. Non che razionalmente ci fossero grosse aspettative di un esito tanto diverso, però un paio di cose stanno emergendo, secondo me, nell’inevitabile dibattito e nella spesso abusata analisi del voto, compresa questa mia riflessione, s’intende.
Prima di tutto, credo ci sia un malinteso sulla natura del gioco.
Nel senso che una delle due squadre sembra allenata da Luciano Spalletti. Grandissimo tecnico e conoscitore di calcio. Un “giochista”, che però spesso si intorcina nelle sue elucubrazioni tecnico-filosofiche e così giocatori già scarsi non sanno bene cosa fare con la palla tra i piedi.
Capita, quindi, che si prendano temi centrali come il lavoro e la cittadinanza, che meriterebbero di essere ogni giorno al centro del dibattito politico, per costruire un confronto tutto polarizzato, piegato allo strumento del referendum abrogativo, che equivale a proporre una soluzione semplice come un “sì” o un “no” a un problema complesso.
Non entro nel merito dei quesiti, mi interessa proprio lo strumento in sé e l’uso che se ne fa. Soluzioni semplici a problemi complessi è in qualche modo la definizione di genio. Ma, francamente, di geni non se ne vedo molti in giro.
E, infatti, domenica mattina, al seggio praticamente vuoto, ho votato mentre uno scrutatore si impegnava, fuori ruolo, a spiegare a una signora i quesiti sul lavoro.
Il problema non era la signora, ovviamente. E tutto sommato nemmeno lo scrutatore fuori ruolo. Il problema era nella natura del “gioco”.
Quanti di noi avevano la piena conoscenza e comprensione dei singoli quesiti sul lavoro? Anche i volantini distribuiti in giro (pochi) erano solo uno slogan rivolto più alla partecipazione che alla decisione informata.
Se è vero che la comunicazione politica deve cercare di semplificare i messaggi, non deve però ridursi a messaggi semplicistici o populisti. Credo.
Vabbè, la partita, dirà qualcuno, era in realtà tutta interna al centrosinistra. Di posizionamento.
Ok, ci sta, anche se forse è stato un po’ troppo cinico fare una specie di primarie di partito o coalizione sui temi del lavoro, buttandoci in mezzo anche il diritto alla cittadinanza.
Però, a guardare ai numeri dell’affluenza, a come sono distribuiti per provincia, ai “no” proprio al quesito sulla cittadinanza, si pone un'altra questione: in squadra c’è il “quinto del calcetto”.
Dovrebbe essere evidente a tutti, ormai. Qualcuno che è portato per un altro sport. Non ne puoi fare a meno, perché senza non ci sarebbe proprio partita, al momento, però è chiaro che il rischio di autogoal è molto più alto delle probabilità che ti faccia un assist vincente o magari segni un goal a porta vuota.
Gente che grida ogni minuto alla solidarietà e all’uguaglianza ma per sé, beninteso, che quelli che arrivano con “i taxi del mare” (copyright), insomma, mica possono avere gli stessi diritti. Pure quelli che vivono in Italia da sempre ma non sono nati cittadini, che aspettino almeno dieci anni (per iniziare).
E allora, se proprio volessi trarre delle indicazioni “politiche” da questo referendum, direi che il riposizionamento a sinistra del principale partito di opposizione ha fatto un altro passo avanti e va bene così, che le vere praterie sono da quella parte, abusivamente occupata da una quindicina di anni dai “quinti del calcetto”, per demeriti dei titolari, sia chiaro, e non al centro, che non esiste come luogo politico, con buona pace di quelli che ex-post la sanno sempre più lunga degli altri.
Questi referendum, poi, mi hanno confermato anche che nel campetto impolverato non ci sono dei nuovi Totti, nemmeno a bordo campo, e che per poter rendere meno rilevanti quelli veramente scarsi e un po’ alieni, “i quinti al calcetto”, bisogna darsi da fare ancora parecchio, sudare ogni giorno, con “coraggio, altruismo e fantasia”, e, soprattutto, con costante applicazione fare l’elefante a fette, perché il “chi fa questo vince!” andava bene nella polvere delle estati senza scuola, ma non ci si può sempre aggrappare a una rovesciata allo scadere del tempo.
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Martedì 17 giugno, ore 17 - Musk e l’ascesa della tecnodestra - con Vincenzo Sofo (autore di Tecnodestra per Paesi edizioni)
Martedì 24 giugno, ore 17 - Musk, i satelliti e la geopolitica dello spazio - con Frediano Finucci (autore di Operazione Satellite per Paesi edizioni)
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Grazie, era tanto che non leggevo qualcosa di tanto intelligente e divertente insieme.
Dentro un racconto bellissimo che suscita una struggente nostalgia è inserito un ragionamento intelligente lucido equilibrato. Parla della deriva del pd che va sempre più verso sinistra ma che forse non ha ancora capito che si tratta soltanto dello stanco abbandono di quei valori nei quali milioni e milioni di persone hanno creduto e, nonostante tutto, credono ancora.