Appunti - di Stefano Feltri

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Il nuovo scontro di civiltà

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Nel 1985 fu l’Italia a sbloccare lo stallo del processo di integrazione europeo. Oggi, invece, rimane incerta tra i valori di Bruxelles e quelli di Washington

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Stefano Feltri
giu 11, 2025
∙ A pagamento
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Il nuovo scontro di civiltà
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Il contesto attuale conferma la necessità di conferire all’Unione europea un ruolo politicamente e geopoliticamente più rilevante

Andrea Colli

L’evento IEP@BU al Castello Sforzesco

Trovate il programma dell’annual event dello IEP@BU di oggi sul Substack di IEP@BU

IEP@BU
A Bolder European Union: Today’s challenges in the spirit of the 1985 Milan European Council
Milan 1985 reminds us that when Italy exercises leadership with clarity and ambition, it can substantially help Europe to move forward. Even in a Union nearly three times bigger than 40 years ago…
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a month ago · IEP@BU

Qualche giorno fa l’account Substack del dipartimento di Stato americano ha pubblicato uno dei più singolari documenti della storia diplomatica degli Stati Uniti dai tempi del “lungo telegramma” di George Kennan nel 1946, che ha delineato la strategia di competizione con la Russia durante la Guerra fredda.

Si chiama “La necessità di alleati di civiltà in Europa”, lo firma un semi-sconosciuto consulente del dipartimento, Samuel Samson, Senior Advisor for the Bureau for Democracy, Human Rights, and Labor (DRL).

Le tesi sono ardite. Le istituzioni create nel Dopoguerra dai sostenitori del nuovo ordine globale, “inclusi cristiani ben intenzionati e partiti pro-democrazia”, hanno garantito un saldo rapporto transatlantico. Ma adesso tutto è cambiato, e per colpa dell’Europa, che sarebbe impegnata nientemeno che in una “aggressiva campagna contro la civiltà occidentale stessa”.

Scrive Samuel Samson:

“In tutta Europa, i governi hanno trasformato le istituzioni politiche in armi contro i propri cittadini e contro il nostro patrimonio comune. Lungi dal rafforzare i principi democratici, l’Europa si è trasformata in un focolaio di censura digitale, migrazione di massa, restrizioni alla libertà religiosa e numerosi altri attacchi all’autogoverno democratico”.

Gli argomenti a sostegno di questa tesi sono gli stessi usati a febbraio, nel suo incendiario discorso alla Conferenza per la Sicurezza a Monaco, dal vicepresidente americano JD Vance: in Gran Bretagna vengono arrestati attivisti per dei loro post online, in Germania chi critica l’impatto della globalizzazione sulla società e l’economia viene trattato da estremista, la legge europea nota come Digital Services Act è usata per “silenziare le voci in dissenso attraverso una moderazione di contenuti orwelliana”.

In pratica, secondo questo documento, l’unica dimensione per misurare il tasso di democrazia dell’Europa e la sua appartenenza alla civiltà occidentale è la capacità dell’estrema destra di esprimersi contro immigrati, regole, e predicare odio o diffondere fake news senza conseguenze.

Il segretario di Stato Marco Rubio, scrive Samuel Samson parlando del suo capo, “ha chiarito che il Dipartimento di Stato agirà sempre nell’interesse nazionale degli Stati Uniti. L’arretramento democratico dell’Europa non ha ripercussioni solo sui cittadini europei, ma incide sempre più sulla sicurezza e sui legami economici americani, oltre che sui diritti alla libertà di espressione dei cittadini e delle imprese statunitensi”.

Ora, questo Samuel Samson risulta avere una laurea triennale nel 2021, e ha frequentato un master part time tra 2022 e 2025, non ha alcuna esperienza di politica estera. Ma queste sue tesi sono pubblicate su un account ufficiale del dipartimento di Stato americano. E, soprattutto, sono in piena sintonia con quello che i vertici dell’amministrazione americana ripetono in ogni occasione.

E’ questo lo stato delle relazioni transatlantiche. Ci si può fidare di un’America che come precondizione a ogni forma di alleanza strategica pretende una piena adesione valoriale alle parole d’ordine, alle teorie del complotto, alle rivendicazioni del movimento Make America Great Again e quindi la resa all’ascesa delle estreme destre anti-democratiche in Europa?

Questa è la domanda che si fanno molti governi in Europa e che, forse, si fa anche il governo italiano, anche se in pubblico la premier Giorgia Meloni aderisce appieno allo schema del post Substack del dipartimento di Stato. Cioè pensa e dice che serva un Occidente unito sotto la bandiera e i valori di Donald Trump.

Però molti in Europa sono di parere contrario, a cominciare dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, per non parlare della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dell’Alto rappresentante per la politica estera Kaja Kallas.

Questa divergenza di opinioni e di strategie - accettare un’adesione transatlantica al trumpismo o trasformare l’Europa nell’ultimo baluardo degli ideali liberali minacciati dall’America - rischia di deflagrare al vertice Nato di luglio, quando si discuterà dei nuovi obiettivi per la spesa militare utile all’alleanza atlantica.

Ha senso che gli Stati membri europei investano miliardi per rendere più efficace una Nato a guida americana che potrebbe rivelarsi inaffidabile, ostaggio degli umori del presidente americano e della sua guerra culturale contro l’Europa?

Oppure la stagione del riarmo deve essere orientata a sviluppare una alternativa, almeno parziale, alla Nato, nel senso che gli eserciti dei Paesi Ue devono poter intervenire e garantire una deterrenza anti-russa anche senza la collaborazione di Washington?

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