Perché non ci ribelliamo agli evasori?
Una piccola minoranza di italiani mantiene gli altri che si rifiutano di pagare le tasse. E’ ora di chiederci come mai questo perverso equilibrio sociale regga da anni. E come cambiarlo
Chi più, chi meno, ognuno sfrutta qualche margine di flessibilità, a cominciare dal pagare di meno, ma in nero, un lavoro grazie allo sconto dell’Iva
Roberto Seghetti
In Italia, l’Istat calcola che vi siano 5,7 milioni di persone in povertà assoluta e 8,5 milioni in povertà relativa (esempio: non possono spendere più di 1.600 euro al mese e in famiglia sono in tre). In tutto 14,2 milioni di persone si trovano in estrema difficoltà.
Nel nostro stesso Paese, secondo l’ultimo rapporto presentato il 29 ottobre da Itinerari previdenziali alla Camera, vi sono 26,3 milioni di persone, il 45 per cento circa della popolazione, che dichiarano al fisco di non avere redditi da sottoporre all’Irpef e che quindi usufruiscono dei servizi pubblici senza sborsare un euro, contando sul fatto che tutto lo sforzo venga sostenuto dagli altri.
Certo, non tutte le entrate pubbliche vengono dall’Irpef e in questo caso si confrontano dati diversi, ma oltre 12 milioni di differenza tra i dati sulla povertà e quelli fiscali restano, senza ombra di dubbio, davvero troppi.
Non è una sorpresa, ovviamente, ne ho parlato a lungo anche nel mio libro Le tasse sono utili (Nutrimenti editore). Ma da qui scaturiscono tre domande di fondo sulle quali vale la pena di riflettere.
Partiamo dai dati, perché bisogna sempre cominciare da solide fondamenta prima di avventurarsi in ragionamenti e opinioni.
Quanti sono gli evasori
Il rapporto di Itinerari previdenziali dice che in Italia, come si è detto, 26,3 milioni di persone, cioè poco meno del 45 per cento degli abitanti, non ha ufficialmente alcun reddito da dichiarare.
Altri 13 milioni di persone, il 22 per cento della popolazione, presenta dichiarazioni fiscali in cui l’imposta lorda viene azzerata totalmente o quasi da detrazioni e deduzioni.
Di conseguenza il finanziamento della spesa pubblica di cui tutti beneficiano è a carico soltanto degli altri: i 19 milioni di italiani che dichiarano da 20 mila euro di reddito Irpef in su versano il 93,7 per cento dell’Irpef e, tra questi, 6,4 milioni di contribuenti con oltre 35 mila euro di reddito dichiarato si fanno carico, mettendo le mani nelle proprie tasche, del 63,4 per cento dell’imposta.
In sostanza, in pochi pagano e in molti prendono, e non tutti – tra questi ultimi – sono poveri per davvero e quindi meritano di ricevere un giusto sostegno da coloro che stanno meglio.
Da qui le tre domande.
La prima: perché coloro che pagano tutto e sostengono sulle proprie spalle i servizi pubblici non si ribellano? Perché, in un mondo dove prevale la rabbia (vedasi lo straordinario dibattito che si è svolto su Appunti), non scendono in piazza e si fanno sentire con forza?
La seconda: perché coloro che pagano le tasse per intero continuano a votare per forze politiche e rappresentanti che, con ogni evidenza, corteggiano e favoriscono gli evasori con condoni, rottamazioni, norme di depenalizzazione e di sconto continuo?
La terza domanda: perché milioni di persone credono che possa reggere ancora il costoso sistema di welfare che abbiamo sviluppato e di cui abbiamo goduto finora e anzi in questo caso sono anche pronte a protestare veementemente, ma poi fanno di tutto per non versare al fisco neppure un euro, come se queste due cose (entrate fiscali e spesa pubblica) fossero indipendenti l’una dall’altra?
La ribellione bloccata
Personalmente (ma è la mia opinione, forse altri hanno risposte più efficaci) credo che vi siano alcuni fattori che contribuiscono all’esito che abbiamo sotto ai nostri occhi.
Uno dei fattori è che l’ideologia prevalente, cioè la visione della società che è derivata da una battaglia culturale vinta dai ricchi e introitata anche dagli altri a partire dagli anni Ottanta del Novecento, considera le tasse un male. Anche chi sente il dovere di pagarle ha nella propria testa questo sentimento.
Tanto più che proprio questa vittoria culturale ha portato a ridurre la possibilità di spendere denari per il Welfare, generando così anche un circuito vizioso: meno entrate, meno spesa, peggioramento dei servizi e dunque anche una giustificazione in più per considerare le tasse un male a fronte del quale non c’è una giusta contropartita in termini di servizi.
“Affamare la bestia” diceva Ronald Reagan, cioè affamare lo Stato: così ha meno soldi da spendere per i sostegni sociali ed i ricchi e gli imprenditori possono muoversi senza troppi pesi in modo da produrre una ricchezza che si riversa anche su tutti gli altri. Il risultato lo vedete sotto i vostri occhi: i ricchi sono sempre più ricchi, gli altri arretrano ogni giorno di più e il welfare, dove c’è, traballa. Ma nelle vene continua a scorrere quell’idea.
Un secondo fattore è probabilmente collegato alla nostra storia e si può riassumere un po’ rozzamente in questo modo. Nonostante tutte le belle parole su nazione e popolo, la verità è che noi italiani non abbiamo fatto una rivoluzione: gli inglesi hanno tagliato la testa a Carlo I; i francesi hanno fatto una rivoluzione al grido di eguaglianza, libertà, fratellanza; gli americani hanno fatto una rivoluzione al grido di niente tasse senza rappresentanza politica. E noi?
Un popolo composto largamente di analfabeti è diventato nazione e regno grazie alle capacità diplomatiche del conte di Cavour, all’ardimento di Garibaldi e all’impegno di un piccolo nucleo di borghesi acculturati che per tutto l’Ottocento ha lottato per il nostro Risorgimento. Insomma dall’essere sudditi dei Borbone, del papa re o dell’imperatore d’Austria siamo passati ad essere sudditi dei Savoia.
La “rivoluzione fascista” non ha cambiato molto di questa situazione, considerato che lo Stato è rimasta per larga parte della popolazione una entità lontana, quanto occhiuta e arcigna, pericolosa.
Come dire, siamo diventati cittadini, ma nella nostra testa resta ancora qualche pensiero da suddito, cioè da persona che vede lo Stato non come la collettività organizzata, ma come un potere lontano ed estraneo, che per di più ci chiede le tasse. “Pizzo di Stato” come ha dichiarato Giorgia Meloni.
Infine vi è un dato incontrovertibile. Secondo le ultime rilevazioni ufficiali, nel 2022 il valore aggiunto generato dall’economia “non osservata”, che mette insieme economia sommersa e attività illegale, è stato calcolato in 201,6 miliardi di euro l’anno, il 9,6 per cento in più dell’anno precedente.
In estrema sintesi: chi più, chi meno, ognuno sfrutta qualche margine di flessibilità, a cominciare dal pagare di meno, ma in nero, un lavoro grazie allo sconto dell’Iva. Ragione per la quale la sfiducia nella possibilità di cambiare davvero le cose, profusa a piene mani da coloro che non intendono cambiare alcunché (e invece è possibile, eccome se è possibile) finisce per mischiarsi all’idea, anche questa profusa a piene mani da manine interessate, che alla fin fine un intervento risanatore danneggerebbe tutti.
Questi tre fattori spiegano, almeno in parte, la realtà di un fastidio provato dagli onesti, ma che resta tale e non si traduce né in una protesta corale, visibile, di piazza, né in un diverso voto politico. Voi che ne pensate?
L’appuntamento: oggi ci vediamo a Napoli?
Da leggere!
Il saggio di Manlio Graziano
Avete letto l’ultimo pezzo di Manlio Graziano per Appunti? E’ un lungo saggio che risponde alla domanda che molti si fanno: ma chi sta vincendo la guerra in Ucraina?
Il dialogo Stefano Feltri - Laura Turini su Stroncature
Nei giorni scorsi ho presentato il mio libro Dieci rivoluzioni nell’economia mondiale (che l'Italia si sta perdendo), uscito nei mesi scorsi per Utet, in un evento organizzato dal bel progetto Substack Stroncature. Con me c’era anche un’altra ormai storica firma di Appunti, cioè Laura Turini. Trovate il video qui:
Notizia positiva: Utet mi ha comunicato che hanno ristampato il libro, se volete lo trovate qui:
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Come sempre leggo con piacere Seghetti.
Se posso aggiungere diversi aspetti fra loro legati come, l’aspetto culturale è fondante nel non voler pagare le imposte: spesso ad alcuni piace il pagamento in contante (romanticamente lo vedo come una forma di ribellione e ci posso pure stare) altri in modo più strutturale che va condannato.
L’aspetto politico invece mi preoccupa sempre di più, ci sono state delle “semplificazioni” che sono state recepite solo dalle amministrazioni centrali mentre molti sono stati messi in grave difficoltà.
Ultimo aspetto politico-culturale è che gli evasori veri (quelli che evadono milioni di euro) e che hanno il peso di una finanziaria, non li prendono quasi mai, inoltre si vogliono abbassare le aliquote Irpef ma aumentano sempre di più le imposte piatte (gioco delle tre carte e ledono palesemente l’art.53) quando sarebbe giusto puntare su una sugar tax-web tax più sostanziose e più decise . Cosa piuttosto positiva è l’aumento al 46% delle imposte sulle crypto.
Ovviamente il mio commento è in alcuni tratti provocatorio...come il fisco Negli ultimi anni
Perché non c’è più una vera coscienza di classe. Le classi esistono ancora, eccome se esistono: sono le classi di reddito, ed esiste più che mai una questione morale. Per la sanità, altra questione scottante si sta forse muovendo qualcosa. La sinistra deve fare propria questa battaglia dell’evasione fiscale promuovendo una educazione alla responsabilità civile su tutti i fronti.