L'avvertimento
Il premio Nobel per la fisica agli inventori delle reti neurali artificiali alla base di ChatGpt è un promemoria per i politici a prendere sul serio i pericoli, finché siamo in tempo
“Sono diventato morte e distruttore di mondi”, dice Oppenheimer in una delle sue dichiarazioni più famose, ripresa nel film a lui dedicato di Christopher Nolan che esce poche settimane dopo le dimissioni di Geoffrey Hinton da Google
La premessa del libro di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? E del film Blade Runner è la seguente: se la tecnologia diventa indistinguibile dalla vita, allora la vita stessa è in pericolo.
Nel mondo di Dick, gli androidi sono così uguali agli uomini che diventano una minaccia esistenziale, perché possono prenderne il posto. E dunque i cacciatori di taglie devono “ritirare”, cioè uccidere, quelli che osano mischiarsi con gli umani, o che si credono addirittura uguali a loro.
C’è soltanto un aspetto che distingue gli androidi dagli esseri umani: l’empatia. Gli androidi pensano, ma non sentono, imitano le emozioni ma non le provano, o così almeno sostengono gli umani.
Un apposito test - il cosiddetto “Voight-Kampff” - misura le reazioni, soltanto qualche frazione di secondo nelle risposte, o impercettibili movimenti dell’iride consentono di riconoscere l’androide.
Dick ha scritto quel romanzo nel 1968, oltre un decennio prima che i due vincitori del premio Nobel 2024 per la fisica mettessero le basi per quel futuro remoto nel quale - immaginava Dick - distinguere cervelli sintetici da quelli biologici diventerà quasi impossibile.
John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton hanno ricevuto il premio Nobel dall’accademia di Stoccolma per le loro “scoperte fondamentali e invenzioni che hanno permesso il machine learning con le reti neurali artificiali”.
Saltiamo Hopfield, che è il precursore, e proviamo a spiegare perché Hinton ha messo le basi per il futuro di Blade Runner (leggete anche Nello Cristianini - il vero esperto - qui su Appunti).
Intelligenza artificiale
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, chi lavorava all’intelligenza artificiale cercava di costruire intelligenze cosiddette “simboliche”: cioè si cercava di spacchettare il ragionamento umano in una sequenza di comandi e codifiche, ma replicare la complessità del ragionamento umano risultava impossibile. Troppo varie le situazioni da gestire e troppo complessi i processi.
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