Vai a votare o vai al mare?
PARLARNE TRA AMICI - Per molti ventenni che si sono informati soprattutto sui social, i quesiti restano un po’ oscuri. Ma il referendum è un momento di posizionamento, di voglia di partecipare
Negli ultimi tempi ho parlato tanto del referendum, ho discusso. Se non fosse stato indetto, probabilmente non mi sarei mai interessata così a fondo. Forse è proprio questo il punto di forza: quando veniamo interpellati siamo costretti — almeno un po’ — a informarci
Sofia Sossa
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Informarsi sul referendum dell’8-9 giugno non è stato semplice. Almeno se non ci si vuole accontentare delle semplificazioni gentilmente dispensate dai social. Difficile, nel panorama giornalistico tradizionale, trovare articoli che spiegassero la questione nel dettaglio, articolando le ragioni dell’una e dell’altra parte.
Per fortuna (e non è per captatio benevolentiae) esistono spazi dove questo succede, ed è infatti leggendo gli ultimi articoli qui su Appunti che mi sono fatta un’idea più completa della questione.
Parlo soprattutto per i quesiti sul lavoro, perché il tema della cittadinanza lo reputo più vicino a noi che il licenziamento illegittimo.
Dal punto di vista di un giovane studente, può essere più facile avere un’opinione sulla cittadinanza piuttosto che sui contratti a tutele crescenti.
Parto sempre dai social, per noi Sacro Graal dell’informazione, anche se più graal che sacro. Fin da subito ecco un pullulare di “guide facili" corredate da tabelle pensate per non farci smarrire tra righi inutili (non è chiaro a questo punto chi ci consideri più scemo, se gli altri o noi stessi).
Col tempo il tutto si è ridotto a un tam tam di “vai a votare” o “vai al mare” sulla base dell’orientamento politico del tuo social che - neanche a dirlo - ha un unico scopo: dirti esattamente ciò che vuoi sentirti dire.
E se questa è l’informazione migliore che possiamo permetterci (nonostante noi, inguaribili ottimisti, confidiamo sempre in uno step ulteriore), a prescindere dalla percentuale di votanti, non posso fare a meno di preoccuparmi per lo stato di salute della nostra democrazia.
Che il dibattito si sia spostato più che sui contenuti sull’opportunità o meno di andare a votare, è evidente anche da alcune considerazioni che ho fatto al riguardo con i miei amici.
La conclusione a cui sono giunta è che il voto del weekend è una presa di posizione. Non importa come la pensi davvero sui quesiti (non c’è stato reale modo di informarsi appunto), importa che tu vada a votare e se vai a votare tanto vale mettere almeno una croce sul sì. Altrimenti stai a casa e contribuisci al non raggiungimento del quorum.
L’opzione del non voto però, per quanto lecita, viene letta come potenzialmente problematica da Carlo:
“Il referendum è uno strumento di partecipazione diretta, sappiamo che soprattutto i quesiti sul lavoro possono essere meno attrattivi per noi, ma non è una scusa per andare al mare. Te ne frega qualcosa? Allora ti schieri, sennò ti va bene qualsiasi risultato”.
La gente non va a votare perché sente distante il potere, ma “non votando lo distanzi sempre di più. La mia risposta a quel disagio è ‘vieni con me e cambiamo le cose insieme’”.
Dopotutto anche il Winston Smith di Orwell da solo ha perso, è stato costretto a cedere. La sua resistenza al Grande Fratello era impotente perché solitaria. “Che senso ha arrendersi a vent’anni? Io voglio fare qualcosa, schierarmi per provare a fare qualcosa. Non è ottimismo, è un dovere”.
“Io non me la sento di fare tanti discorsoni in materia, so di essere ignorante e di non sapere molto”, ammette Vittoria, che da Bologna torna in Puglia apposta per votare:“Ma vedo questo voto come un’occasione per farmi ‘sentire’, credo in questo piccolo potere che ho”. Insomma, un modo per dire ‘io ci sono’, un segnale contro un governo che cerca in tutti i modi di silenziare il dissenso.
Così ho smesso di pesare pro e contro all’infinito, di divorare informazioni riempiendo le giornate di domande alla ricerca di risposte che suonassero giuste per me. I problemi resteranno comunque, a prescindere dall’esito, perché manca una politica viva, coraggiosa, capace di guardare davvero al futuro.
Cosa resta allora? Il confronto.
Negli ultimi tempi ho parlato tanto del referendum, ho discusso. Se non fosse stato indetto, probabilmente non mi sarei mai interessata così a fondo. Forse è proprio questo il punto di forza: quando veniamo interpellati siamo costretti — almeno un po’ — a informarci. E per citare Scomodo, la rivista studentesca nata a Roma nel 2016, “questo voto parla di quanto vogliamo contare ogni giorno”.
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Mercoledì 21 maggio ore 17 - Musk e il nuovo potere digitale - Con Laura Turini e Stefano Feltri
Martedì 27 maggio, ore 17 - Musk e l’ideologia del tecno-capitalismo - Con Gloria Origgi e Stefano Feltri
Mercoledì 4 giugno, ore 17 - La crisi della democrazia nel tempo di Musk - Con Mattia Diletti e Stefano Feltri
Martedì 17 giugno, ore 17 - Musk e l’ascesa della tecnodestra - con Vincenzo Sofo (autore di Tecnodestra per Paesi edizioni)
Martedì 24 giugno, ore 17 - Musk, i satelliti e la geopolitica dello spazio - con Frediano Finucci (autore di Operazione Satellite per Paesi edizioni)
Dal vivo:
Sabato 31 maggio, ore 15, al Festival dell’Economia di Torino, al Circolo dei lettori: Contro Elon Musk - con Marc Lazar e Stefano Feltri, coordina Eva Giovannini
Giovedì 19 giugno, ore 18: A Roma, alla Libreria Testaccio, piazza Santa Maria Liberatrice 23, con Carlo Tecce
Per info su presentazioni, interviste, speech: appunti@substack.com (non sono in grado di organizzare altre cose fuori Roma, quindi non offendetevi se declino inviti a festival o presentazioni che richiedono trasferte)
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Fa’ come se
Nello specifico è rivolta all’amato che esorta a fare come se ci si amasse
Trovo che sia una meravigliosa accettazione della dimensione umana dell’amore
Traslata al contesto referendario direi
“ facciamo come se : il nostro voto, la nostra partecipazione, il nostro sguardo non pigro o disilluso, contasse”
Hai visto mai?
Sono andata a votare 💙