La mia scelta al referendum
Il primo bivio è tra astensione e voto. Poi i cinque quesiti toccano argomenti molto diversi, che legittimano riflessioni specifiche caso per caso
Penso sia molto difficile arrivare al quorum, ma penso anche che ci sia una enorme differenza politica tra un referendum che fallisce con 9 milioni di voti o con 20. Quella differenza la possiamo fare tutti noi, qualunque sia l’opinione sui vari quesiti
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Come ormai è tradizione, spiego qui come ho deciso di votare al referendum di oggi e domani. E cerco di argomentare come sono arrivato a questa decisione.
Il primo bivio è votare o non votare: credo sia assolutamente legittimo non andare a votare ai referendum con il quorum, così come alle elezioni politiche o europee. Il dovere del voto non implica l’obbligo del voto.
Peraltro, statisticamente, quasi tutti quelli che oggi predicano partecipazione si sono astenuti al referendum sulla giustizia del 2022 voluto dal centrodestra (solo 10,5 milioni di partecipanti, con grande maggioranza di sì).
Votare o non votare
L’astensione è una delega in bianco alle minoranze che votano, anche se ormai la partecipazione è così bassa che cambiano le strategie dei partiti: conviene provare a riportare al voto i propri sostenitori delusi invece che strappare elettori agli avversari. Dunque, le democrazie a bassa affluenza sono più polarizzate, si compete agli estremi e non al centro (lo stiamo vedendo in Italia).
Il quorum ai referendum abrogativi però ormai è diventato una barriera troppo alta, proprio come conseguenza dell’alta astensione strutturale: alle ultime elezioni politiche hanno votato 30,7 milioni di italiani, il quorum del referendum (50 per cento più uno degli aventi diritto) è 25,7 milioni. Così lo spirito della norma è tradito: doveva servire a evitare battaglie di minoranza, non rendere impossibile l’abrogazione di una legge.
Questo referendum però ha un valore a prescindere dal quorum. Per ragioni di merito e di scenario politico. Quella di merito: una partecipazione molto bassa darebbe il segnale che i temi oggetto del referendum sono marginali. Sparirebbero dall’agenda, oltre che del governo, anche dell’opposizione.
Soprattutto, sparirebbe la questione della cittadinanza (con le sue varie declinazioni): se neppure gli elettori progressisti sono interessati ad accelerare l’integrazione degli stranieri extracomunitari, perché un partito dovrebbe rischiare il proprio capitale politico per una battaglia magari nobile ma sterile?
Poi c’è l’effetto politico di cui ho già scritto: superare soglia 12 milioni di voti verrebbe considerato dai leader di Pd-M5s-Avs la conferma di avere una base elettorale competitiva con quella del centrodestra, che alle politiche 2022 ha preso quel numero di voti (nella democrazia ad alta astensione che siamo diventati i voti assoluti contano molto più delle percentuali).
A me non fa impazzire il progetto politico sbilanciato a sinistra costruito da Elly Schlein e Giuseppe Conte, ma una partecipazione al voto molto bassa - sotto i 10,5 milioni del referendum 2022 - lo metterebbe in crisi. E non ci sono alternative al momento, e neppure è ormai credibile che ne nasca una da zero in meno di due anni.
Per questo penso che sia importante andare a votare: l’astensione avrebbe un effetto ben al di là del semplice affossamento dei quesiti oggetto di consultazione.
I quesiti
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