La doppia bugia del governo sul fisco
L'esecutivo sostiene di aver abbassato le tasse per tutti e di aver ottenuto risultati nella lotta all'evasione fiscale. Ma non è vero. Ecco perché
Secondo le simulazioni della Cgil la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici non solo non vedrà un euro in più in busta paga, ma ci perderà pure: fino a 200 euro annui sotto i 35 mila, e con punte di perdita anche di oltre 1.000 euro in alcune fasce.
Roberto Seghetti
Leggi la serie sull’evasione fiscale
Le bugie hanno le gambe corte anche quando vengono ripetute a tamburo battente per farle diventare vere nel senso comune. Prima o poi, lo scontro con la realtà mette le cose al proprio posto.
È quello che accadrà con la politica fiscale del governo, che si basa su due assiomi traballanti, anche se ripetuti ossessivamente. Uno è l’affermazione di aver abbassato le tasse per tutti. L’altro è che questo governo recupera l’evasione fiscale. Vediamoli nel merito.
Meno tasse per tutti?
Quanta verità, quanta ipocrita omissione e quanto interessata bugia ci sono nell’affermazione che il governo Meloni ha ridotto le tasse per tutti?
Il punto centrale di questa affermazione riguarda il cuneo fiscale e la conferma dell’Irpef basato su tre aliquote. Costo complessivo, circa 17,4 miliardi di euro.
In effetti, l’impegno è di dimensione notevole. Su questo non vi sono dubbi: è una verità.
Solo che non è uno sconto nuovo, una riduzione delle imposte (qui si entra nel capitolo quantomeno delle omissioni, di furba confusione delle carte): è la decisione, positiva certo, di mantenere uno sconto varato dal governo di Mario Draghi (cuneo contributivo, più primo accorpamento nel numero delle aliquote) e implementato già dal 1gennaio del 2023 dal governo Meloni.
Come dire: va bene, non ci sono dubbi, ma è la terza volta che il governo si vende lo stesso sconto come fosse una nuova riduzione delle tasse e tutta farina del suo sacco.
Ancora più importante, tuttavia, è capire se la trasformazione dello sconto contributivo in sconto fiscale manterrà, ridurrà o aumenterà effettivamente il beneficio per i lavoratori dipendenti rinnovato con il bilancio 2025.
E qui nascono i veri problemi. Prevedere come si tradurranno nelle diverse realtà individuali questi tipi di misure non è affatto semplice, dato che è fortemente variabile la condizione personale di ciascuno e perché il sistema fiscale italiano è così ingarbugliato da mettere in difficoltà anche il più esperto dei tecnici.
Insomma, è molto probabile – ed è anche già capitato, sia pure per singoli casi - che vi siano risultati non previsti.
Un aiuto è fornito da programmi, algoritmi, modelli specializzati. Ed è proprio da uno di questi programmi che è appena arrivata una prima smentita non solo su singoli, possibili casi, ma generalizzata.
Secondo le simulazioni appena rilasciate da Cgil e dal Caaf nazionale Cgil, la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici – quelli con redditi fino a 25 mila euro e poi quelli dai 26 mila ai 35 mila – non solo non vedrà un euro in più in busta paga, ma ci perderà pure: fino a 200 euro annui sotto i 35 mila, e con punte di perdita anche di oltre 1.000 euro in alcune fasce.
Sempre secondo queste simulazioni, le tasse risulteranno effettivamente e generalmente più basse per i dipendenti con redditi superiori ai 35 mila euro: chi appartiene a questo primo scaglione riceverà, sempre secondo la Cgil, 79 euro lordi al mese in più dello scorso anno, e di scaglione in scaglione questa cifra diminuirà fino ad azzerarsi per quelli che guadagnano 44 mila euro l’anno.
Non solo. Secondo i calcoli della Cgil, il limitato adeguamento delle pensioni all’inflazione e la crescita del prelievo fiscale per gli aumenti nominali e lordi sugli stipendi dei dipendenti, ha portato – tra risparmio di spesa e aumento delle entrate – a una somma di circa 17 miliardi di euro. Con la conseguenza che quel che viene mantenuto e solo in parte aggiunto da un lato è stato di fatto sottratto dall’altro al mondo dei dipendenti e dei pensionati.
La Cgil fa naturalmente il suo lavoro, ma quando a gennaio arriveranno le buste paga è assai probabile che il risultato sia abbastanza vicino a quello scaturito da queste prime stime.
Quanta lotta all’evasione?
La seconda bugia che ha le gambe corte riguarda la lotta all’evasione fiscale. È assolutamente vero, infatti, che nel bilancio 2025 vi sono “anche” le prime, vere iniziative contro gli evasori (purché restino nel testo alla fine dell’esame e purché l’attuazione non venga poi rinviata agli anni successivi alle elezioni politiche), come il collegamento obbligatorio tra il pos e il registratore di cassa.
Ma è anche vero che:
a) le pur minime somme recuperate sono state il frutto di norme approvate dagli ultimi governi di centro sinistra (fatturazione elettronica e split payment);
b) la riduzione del gap relativo alle partite Iva è dovuto per non poca parte alla scelta di molte partite Iva di adottare il sistema a forfait (15 per cento del 75 per cento del fatturato, senza sovraimposta Irpef regionale e sovrimposta Irpef comunale), scelta che ha causato ovviamente una minore entrata fiscale;
c) sono state ridotte sanzioni, rateizzati fino all’infinito i pagamenti, depenalizzati reati fiscali;
d) i controlli concreti sono ammontati a poco più del 2 per cento dei contribuenti iscrivibili al mondo degli autonomi, tanto che appare addirittura ridicola la pubblicità varata dal governo per incentivare l’adesione al concordato biennale, che ovviamente – e come qui era stato già ampiamento previsto da mesi – è stato un flop, una misura adottata soprattutto da coloro che già prevedevano una crescita delle proprie entrate;
e) dopo una ventina tra condoni, rottamazioni e agevolazioni varie la spinta al colpo di spugna favorevole a chi non ha fatto il proprio dovere verso la comunità non è affatto finita: Forza Italia propone la cancellazione del reato penale, la Lega un’altra rottamazione.
Come dire: gli evasori possono tranquillamente continuare a fare quel che desiderano e a votare per coloro che li aiutano, perché da questo governo non possono che aspettarsi altri favori, altre agevolazioni e dunque non si vede per quale ragione dovrebbero mettersi in regola.
Ringrazio Roberto per questa chiara disamina del gap fra narrazione ed effettive iniziative del governo sul piano fiscale.
È vero che le bugie hanno le gambe corte anche quando vengono ripetute a tamburo battente per farle diventare vere nel senso comune. Probabilmente lo scontro con la realtà metterà le cose al proprio posto, ma la domanda da porsi è: a quanti arriverà effettivamente la consapevolezza che le bugie erano tali?
Consideriamo quali sono le modalità con cui le persone oggi formano la loro opinione e le loro consapevolezze:
- La televisione: Se pure in calo è ancora il mezzo più utilizzato soprattutto fra le fasce di età più alte: Qui fra i canali Mediaset ed il serrato controllo politico della RAI, la stragrande percentuale dell’informazione è influenzata o interessata all’attuale governo
- I social Media: In forte crescita soprattutto fra le fasce più giovani: Qui il panorama dei contenuti è vasto ma spesso inaffidabile se non persino manipolativo. Si va dai contenuti più ragionati come Substack, attraverso divulgatori su Youtube di varia competenza, fino all’oceano di post più o meno ragionati, più o meno falsi, sinceri o manipolativi e prodotti da profili reali o da bot programmati per disinformare o creare odio.
- I quotidiani ed i periodici (stampati ed on-line): Utilizzati da c.a. il 10% della popolazione: Qui a parte la quota di testate palesemente detenute da interessi politici, l’informazione mantiene un livello medio di attendibilità ed indipendenza superiore.
Anche nel momento un cui una fascia della popolazione arrivi a rendersi conto per esperienza diretta che le promesse non si sono avverate, quanti saranno capaci di non credere a fittizie ma massicce narrazioni volte a denunciare cospirazioni o "poteri forti" che avrebbero ostacolato l’azione governativa?
Aiutare noi tutti a conoscere i fatti e ragionare obiettivamente su di essi è una missione preziosa e lodevole, tuttavia fino a quando non si riuscirà a garantire l’indipendenza dei principali mezzi di informazione (almeno quelli pubblici), a diffondere e proteggere la cultura del fact-checking, ed a imporre il dovere da parte di chi detiene i poteri dello stato di sottoporsi alle domande dei giornalisti, continueremo ad assistere alla prevalenza delle narrazioni sulla realtà a danno del quarto potere fondamentale per la democrazia.
Torno su un tema sul quale sono già intervenuta. Stabilire un tetto massimo sulle detrazioni fiscali (spese di ristrutturazione, donazioni liberali ecc.) non si traduce di fatto in un aumento delle imposte? Le detrazioni possono scendere fino a un tetto massimo di 4.000 euro, qualunque sia stata la spesa sostenuta, dichiarata deducibile al momento in cui la spesa stessa è stata sostenuta. Per non tacere del fatto che si è stabilito un patto con il contribbuente, quando gli è stata garantita una determinata quota di detrazioni fiscali e il contribuente ha sostenuto spese aspettandosi che lo Stato mantenesse quanto stabilito. Si tratta di un modo subdolo di aumento delle imposte di cui si dovrebbe tenere conto.