Bilancio di una manovra
Il testo della legge 2025 è prudente, ma questo non significa che sia giusto. Usa soldi trovati dalla lotta all'evasione decisa da altri mentre la destra fa condoni. Sulla sanità giuste le proteste
Dal punto di vista del rapporto con il Pil, la spesa sanitaria nel 2024 siamo al 6,12 per cento, contro il 6,35 del 2019. Nel 2025 si scenderebbe al 6,05. E quindi l’opposizione può dire legittimamente che si taglia la Sanità
Roberto Seghetti
Ora che la manovra economica approvata dal governo per il 2025 è stata messa nero su bianco in un testo ufficiale presentato al Parlamento è importante avere strumenti per inquadrarla nel contesto della realtà, prima ancora di entrare nel merito dei singoli provvedimenti che la compongono e di soppesarne l’effetto complessivo sulla società italiana, oltre a individuare i singoli interessi tutelati o quelli intaccati grazie all’uso delle risorse collettive raccolte con le imposte.
In altre parole, è opportuno avere come riferimento dati e fatti, togliendo dal tavolo una miriade di interpretazioni propagandistiche in positivo o in negativo.
Punto primo. Una via molto stretta? Sì, è vero. Qualsiasi governo avrebbe dovuto fare i conti con spazi limitati di manovra economica. Tuttavia non bisogna dimenticare che una tale condizione era arcinota da molto tempo, a causa degli annosi squilibri strutturali del nostro bilancio e dal momento in cui, dopo l’approvazione anche da parte del nostro governo, nell’aprile scorso è entrato in vigore il nuovo Patto di stabilità europeo.
Lamentarsene oggi non ha senso, così come non si capisce su quale base diversi rappresentanti del governo e della maggioranza abbiano potuto continuare negli ultimi mesi a promettere interventi mirabili e ad approvare misure che riducono le possibilità di spesa. Sapevano benissimo che non era possibile: facevano propaganda di pessima qualità, contando sul fatto che i propri fan ci avrebbero creduto comunque.
Col tesoretto di gettito degli altri
Inoltre, il governo Meloni ha potuto beneficiare di uno spazio di manovra aggiuntivo dovuto a una rivalutazione dei conti fatta dell’Istat e, in particolare, di un aumento molto forte registrato nelle entrate. Ed è proprio qui che vale la pena di fare un primo inquadramento, di parlare di dati e di spiegarli ben bene, perché altrimenti non si capisce di che cosa si stia parlando.
Il termine entrate, messo così, in generale, non spiega infatti chi e perché ha pagato di più, né quali siano state le condizioni che hanno portato a questo esito.
Ad annunciare questa buona novella è stato lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, insieme al viceministro Maurizio Leo: il Tesoro ha potuto contare su uno spazio di circa 18 miliardi in più da gestire per coprire le spese del 2025. Da dove provengono questi soldi?
Dice Giorgetti: dall’aumento dell’occupazione a tempo indeterminato, cioè dalle imposte presenti e future di questa parte di popolazione, e dalla rivoluzione, ormai diventata ordinarietà, della fatturazione elettronica che ha di molto ridotto l’evasione dell’Iva.
Per capire di che cosa si tratti basta sfogliare il bollettino delle entrate rilasciato dal Mef.
Da gennaio ad agosto 2024 le entrate erariali sono ammontate a 380,3 miliardi di euro, il 6,5 per cento in più dello stesso periodo del 2023. Andiamo ancora più dentro i numeri: le imposte dirette sono cresciute a 219,6 miliardi, l’8,3 per cento in più. Le imposte indirette sono cresciute a 160,7 miliardi, il 4,2 per cento in più.
Ancora più in profondità: il gettito IRPEF ha prodotto 157.2 miliardi di euro, il 7,4 per cento in più; i dipendenti privati vi hanno contribuito con 69,7 miliardi di euro (+9,2 per cento), i dipendenti pubblici con 63,6 miliardi (+ 8,0 per cento), i lavoratori autonomi con 9,7 miliardi (+9,0 per cento).
Le entrate Iva sono risultate pari a 112,9 miliardi di euro (+4,4 per cento).
Ecco dunque da dove arrivano i soldi: più dipendenti, più Irpef, più fatturazione elettronica, un po’ meno evasione Iva.
Ma quali sono state le cause di queste due componenti?
Ecco due punti sui quali il governo Meloni glissa, tace o si appropria addirittura di meriti altrui: il recupero dell’Iva è stato determinato principalmente dal pieno effetto dalla fatturazione elettronica e dallo split payment, due provvedimenti presi dagli ultimi governi di centrosinistra; l’aumento dell’occupazione è stato provocato se non in toto almeno per larga parte dalla spinta data dai tanto bistrattati bonus edilizi, dei quali si parla solo in termini di appesantimento del bilancio pubblico (un effetto vero, pesantissimo e incontrovertibile), ma mai per il sostegno alla crescita, che ha portato attività, quindi lavoro, quindi più imposte.
Da destra solo condoni
Tanto per dire: in un paese in cui i lavoratori dipendenti e i pensionati versano più dell’85 per cento dell’Irpef, l’aumento delle entrate che sostengono la spesa pubblica arriva ancora una volta per larga parte, anche se non esclusivamente, da questa fonte.
Nel frattempo, il governo che si vanta di aver recuperato evasione (grazie a provvedimenti che le forze politiche dell’attuale maggioranza hanno avversato al momento in cui sono state proposte) ha varato, appena pochi giorni prima di presentare la manovra, un condono tombale per gli autonomi che accetteranno il concordato biennale; un condono che, secondo il Mef, significa una minore entrata in termini di mancato recupero dell’evasione fiscale pari a 980 milioni di euro.
Se teniamo conto del fatto che il concordato sarà probabilmente un flop e che porterà, secondo i più ottimisti, 1,5 o due miliardi di euro comprendendoci anche le tasse che i contraenti dovranno pagare per il 2024 e il 2025, si comprende bene quanto “benevole” siano state le casse dello Stato per gli evasori che si annidano in questo settore, anche a discapito dei loro colleghi autonomi che hanno versato tutto il dovuto fino all’ultimo euro.
In conclusione, la strada era stretta non solo per le condizioni di fondo del paese, ma anche per le scelte già compiute dal governo in questi due anni (la flat tax fino a 85 mila euro di fatturato per gli autonomi, una ventina di condoni, la depenalizzazione di alcuni reati fiscali, la riduzione delle sanzioni per gli evasori, la riduzione delle spese per assistenza…).
Scelte politiche legittime, ma i cui effetti poi pesano anche sul bilancio.
Senza contare che la crescita del Pil, ora che stanno venendo meno i bonus e che l’effetto investimento rimane solo nella difficile attuazione del Pnrr, non è detto che continui ad essere così positiva.
Le ultime stimedel Fondo monetario internazionale e di Confindustria ci dicono che si prevede un relativo rallentamento, come media tra una frenata dell’industria manufatturiera e invece un importante contributo dei servizi.
Prudente non significa giusto
Una manovra prudente? Rigorosa? Giusta? Nel dibattito di queste settimane questi tre termini sono stati spesso usati in modo volutamente confuso. Certamente il bilancio scritto dal governo è prudente.
Su questo non ci sono dubbi e gliene va dato atto, tanto più che la prudenza potrebbe portare notevoli benefici in termini di spread e di contenimento degli interessi sui titoli del debito pubblico che dovremo rinnovare negli anni. Ma prudente non significa per forza anche giusto. Il senso delle due parole è diverso.
In ogni caso, il governo poteva sfruttare tutti e sette gli anni previsti dal patto di stabilità per diluire la stretta sui conti pubblici; invece ha anticipato alcune tappe, ottenendo così fiducia dai mercati. Non a caso le ultime emissioni di Btp sono andate a ruba.
Più in particolare, sul piano macroeconomico, la manovra conferma l’obiettivo di portare il deficit al 3,3 per cento del Pil nel 2025, mezzo punto in meno del valore stimato per il 2024, in un percorso che dovrebbe condurre il deficit complessivo al 2,8 per cento nel 2026, così consentendo al paese di uscire dalla “procedura di infrazione per deficit eccessivo” lanciata dalla Ue a giugno.
È un anticipo rispetto a quanto richiesto dalla stessa Commissione ed è un impegno da salutare positivamente. Quanto al giusto equilibrio sulla ripartizione dei pesi e dei benefici, questo è tutt’altro tema.
Infine, tra i dati di inquadramento, va ricordata anche un’altra verità incontrovertibile, oggetto in questi giorni di accesa quanto confusa discussione a proposito di Sanità: quando si parla di somme stanziate dobbiamo sempre tenere presente che una cosa è il valore nominale di quelle somme, un’altra è il valore in termini di capacità di acquisto in termini di beni e servizi rispetto agli anni passati, un’altra ancora il valore di equilibrio nella distribuzione delle risorse tra i vari capitoli di spesa, cioè in termini di scelta politica (rapporto tra la spesa per quel settore e il Pil), un’altra ancora la sufficienza rispetto ai bisogni o agli obiettivi che ci si pone.
Fatte queste premesse, vediamo alcuni dei punti importanti della manovra.
Il primo e più importante intervento riguarda il fisco per quantità di risorse impegnate e per l’ampiezza della platea che beneficia del taglio del cosiddetto cuneo fiscale. Il primo taglio lo aveva fatto il governo di Mario Draghi per sostenere i redditi dei lavoratori dipendenti e dare così sostegno ai consumi in una fase difficile (subito dopo la pandemia).
Il governo Meloni lo aveva implementato, ma in entrambi i casi si trattava di misure temporanee e da rifinanziare ogni anno, per non tornare indietro e ridurre la busta paga.
Oggi il governo ha reso questo beneficio strutturale, ne ha cambiato la natura e lo ha esteso, sia pure con un andamento via via meno importante, fino a 40 mila euro di reddito lordo, grosso modo uno stipendio in media inferiore ai duemila euro netti al mese.
Funziona così: vengono confermate le attuali percentuali di prelievo fiscale (23 per cento fino a 28.000 euro di reddito lordo, 35 per cento da 28.000 euro e fino a 50.000 euro; 43 per cento oltre 50.000 euro), ma le detrazioni sul lavoro passano da 1.880 a 1.955 euro.
Inoltre è previsto, fino a 20.000 euro di reddito lordo, il riconoscimento di un bonus non tassabile che varia in funzione del guadagno: 7,1 per cento fino a 8.500 euro, 5,3 per cento tra 8.500 e 15.000 euro, 4,8 per cento tra 15.000 e 20 mila euro. Superato questo importo si passa ad un meccanismo di detrazioni aggiuntive che vanno riconosciute in busta paga: 1.000 euro tra 20mila e 32mila euro, benefici che poi calano progressivamente fino a 40mila euro.
I lavoratori con redditi lordi fino a 32 mila euro netti non dovrebbero vedere alcun cambiamento nella busta paga. Quelli con redditi da 32 a 40 mila vedranno qualche lieve miglioramento.
Poteva il governo tornare indietro e togliere questi soldi? Politicamente impossibile. Resta il fatto che ha trovato i fondi per farlo, renderlo strutturale e evitare che vi fossero ripercussioni sulla sostenibilità del settore previdenziale (prima venivano tagliati i contributi).
Nello stesso tempo è stata decisa una stretta sulle detrazioni fiscali per coloro che hanno un reddito superiore ai 75 mila euro. In base al testo della manovra, chi ha un reddito tra i 75mila e i 100mila euro lordi l’anno potrà portare in detrazione fino a un massimo di 14mila euro (8mila oltre i 100mila), ma in assenza di figli in famiglia la cifra è dimezzata (moltiplicata per il coefficiente di 0.5); per coloro che hanno in casa un solo figlio la somma viene ridotta moltiplicando per un coefficiente di 0.85, ma resta inalterata se si hanno più di tre figli o figli con disabilità. Un contribuente oltre i 100mila euro senza figli potrà detrarre a conti fatti al massimo 4mila euro. Da questi limiti sono escluse le detrazioni sanitarie.
Insomma, qualcuno che pagherà di più ci sarà. Di sicuro pagheranno di più coloro che guadagnano sui Bitcoin, dato che il governo ha innalzato le imposte fino al 42 per cento, incrementando così la singolarità del sistema fiscale italiano che tassa i redditi mai nello stesso modo (immobili affittati, dividendi, stipendi, incassi degli autonomi, interessi bancari, interessi sui titoli pubblici: ognuno ha una sua diversa aliquota).
Sempre in tema fiscale è interessante prendere atto che il governo sa bene come raggiungere una maggiore trasparenza nella dichiarazione degli incassi e del fatturato: ha previsto l’obbligo di pagamento elettronico per tutte le spese che il personale di un’impresa può addebitare all’azienda e che l’azienda può usare per alleggerire l’imponibile e ha reso obbligatorio dal 1 gennaio 2026 il collegamento tra il registratore di cassa e il Pos, in modo che non sia possibile come oggi un disallineamento tra la quantità di incassi scontrinati e di incassi ottenuti attraverso il crescente pagamento elettronico.
Bene? Sicuramente. Solo che allora, considerata quanta importanza venga data ai pagamenti elettronici per lottare contro l’evasione fiscale, non si capisce perché il governo abbia voluto pervicacemente prima innalzare e poi mantenere molto alta la somma che si può pagare in contanti.
Meno soldi per la sanità
Un altro punto, dopo il fisco, riguarda la spesa dei ministeri. La manovra sarà pure prudente, ma certo non sarà equa o efficiente: il governo non è stato in grado di scegliere quali spese improduttive o eccessive ridurre; così tirerà una linea netta, uguale per tutti e taglierà con l’accetta. Restano esclusi da questo intervento, tanto netto quanto poco efficiente, Difesa e Sanità, la quale merita un capitolo a parte.
Il sistema sanitario nazionale è oggi chiaramente arrivato ad un punto di rottura. Non riesce più a garantire tempestività di intervento a tutti e già ci sono 4,5 milioni di persone che rinunciano a curarsi perché non hanno la possibilità di fare accertamenti o cure presso le strutture private.
Tutti i tecnici esperti di questo settore sostengono che al di sotto di una spesa pubblica pari al 6 per cento del Pil non saremmo più in grado di avere una Sanità capace di offrire un servizio generalista, cioè a tutti, ricchi o poveri che siano. Siamo vicini a questa soglia? Sì. E siamo molto al di sotto della soglia media Ocse (6,9 per cento), della media europea (6,8) e lontanissimi dalle medie della Francia o della Germania (per la sanità lo Stato spende una somma pari al 10,1 per cento del Prodotto interno lordo).
Quanti soldi impegniamo per la Sanità, allora? Nel testo della legge è scritto così:
“Il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cuiconcorre lo Stato è incrementato di 1.302 milioni di euro per l’anno 2025, 5.078 milioni di euro per l’anno 2026, 5.780 milioni di euro per l’anno 2027, 6.663 milioni di euro per l’anno 2028, 7.725 milioni di euro per l’anno 2029 e 8.898 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2030”.
Basteranno? No, tanto più che la popolazione invecchia ed ha bisogno di maggiori cure. Però bisogna spiegare bene perché c’è stato così tanta polemica sulle cifre. Prendiamo il 2024: quest’anno per la Sanità si saranno spesi 134,01 miliardi.
In termini di valore nominale è il 4 per cento in più del 23. E quindi il governo può dire: guardate, ho aumentato i fondi.
Tuttavia dal punto di vista del rapporto con il Pil nel 2024 siamo al 6,12 per cento, contro il 6,35 del 2019 (lasciamo stare l’aumento di spesa durante la fase Covid). L’anno venturo con i soldi previsti per il 2025 si scenderebbe al 6,05. E quindi l’opposizione può dire legittimamente che si taglia la Sanità.
In conclusione, vi è un aumento in termini di valore nominale dei soldi, ma non in termini di capacità effettiva di spesa per acquistare beni e servizi, ma soprattutto è chiaro a ogni cittadino che abbia dovuto avvicinarsi a un ospedale che, nonostante gli sforzi umani e professionali di medici e infermieri, ogni giorno in prima linea, la Sanità in molte aree del paese è sull’orlo del collasso.
Non a caso la spesa sanitaria per le strutture private, che nel 2019 si aggirava intorno ai 36 miliardi di euro l’anno, ha superato abbondantemente i 45 miliardi di euro l’anno.
Inoltre, ci sono da fare due considerazioni. La prima: il numero degli anziani è in progressiva crescita, per fortuna (si allunga la vita). Ma questo genererà, progressivamente, maggiori necessità di cure.
La seconda. Il Pnrr ha stanziato molti fondi per costruire strutture destinate all’assistenza di prossimità ed è un bene. Ma quando saranno pronte o ci si metteranno medici e infermieri o diventeranno case vuote; il che significa che avremo bisogno di molti più medici e infermieri.
Un altro capito sul quale si è discusso molto riguarda il contributo delle banche e delle assicurazioni. In particolare, per le banche è stato deciso che rinunciano ad incassare oggi alcune deduzioni fiscali, per introitarle negli anni a venire insieme a quelle che matureranno in quel periodo: a valere dall’anno di imposta 2026 e successivi. Cioè, lo Stato incassa di più oggi, ma pagherà di più negli anni in cui la legislatura sarà conclusa e le elezioni già fatte.
Il contributo delle assicurazioni consiste nel pagamento annuale del bollo sulle polizze vita (oggi viene trattenuto solo all’atto del riscatto finale) e sarà ovviamente a carico non delle società, ma degli assicurati, come era prima. In sostanza, gli assicurati pagheranno il bollo annuale, anziché versarlo tutto insieme alla fine.
I 3 euro per le pensioni
Molto corposo anche il capitolo pensioni, con interventi di bandiera. In ossequio alle richieste di Forza Italia le pensioni minime cresceranno di 3 euro al mese, a 617,9 euro, nel 2025.
Chi avrà i requisiti di quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) potrà restare al lavoro, chiedendo di non versare più contributi e quindi di avere una busta paga netta più alta (oltre il 9 per cento della retribuzione lorda, un aumento sul quale non graveranno tasse).
Nella pubblica amministrazione si potrà restare al lavoro fino ai 70 anni, se l’amministrazione lo chiederà e il dipendente sarà d’accordo.
Altrettanto corposo, e di bandiera politica, il capitolo famiglia.
Il bonus mamme con due figli viene esteso anche alle lavoratrici autonome, purché con un reddito imponibile inferiore ai 40 mila euro lordi l’anno.
Il governo ha inoltre previsto un bonus di mille euro una tantum per ogni figlio nato o adottato dal 2025 da italiani, da europei residenti o da cittadini non Ue, ma con permesso di soggiorno europeo, purché abbiano un Isee inferiore a 40 mila euro. Viene inoltre esteso a tutti il bonus nido per coloro che hanno un Isee fino a 40 mila euro.
Infine, va segnalata, tra le altre moltissime cose, la sforbiciata del 50 per cento dell’attuale tetto di stipendio (il parametro è il primo presidente di Cassazione) per i dirigenti degli enti che ricevono un contributo pubblico. Ma sono esclusi dalla sforbiciata i dirigenti della pubblica amministrazione, delle varie autorità, dell’Inps, dell’Istat, delle agenzie fiscali.
Si poteva fare di più? Di più no. Ma di certo si poteva fare diversamente, con maggiore attenzione ai problemi sociali e, tanto per citare alcuni temi, presentando un piano per uno sviluppo credibile di un paese che rimane uno dei più industrializzati del mondo ma in cui continuano a mancare politiche che ne incrementino la competitività (concorrenza), l’efficienza (vedasi per esempio alla voce treni), l’innovazione (vedasi alla voce investimenti pubblici in ricerca). E mi fermo qui, perché l’elenco sarebbe molto lungo.
L’appuntamento: oggi ci vediamo a Roma?
Il saggio di Manlio Graziano
Avete letto l’ultimo pezzo di Manlio Graziano per Appunti? E’ un lungo saggio che risponde alla domanda che molti si fanno: ma chi sta vincendo la guerra in Ucraina?
Il dialogo Stefano Feltri - Laura Turini su Stroncature
Nei giorni scorsi ho presentato il mio libro Dieci rivoluzioni nell’economia mondiale (che l'Italia si sta perdendo), uscito nei mesi scorsi per Utet, in un evento organizzato dal bel progetto Substack Stroncature. Con me c’era anche un’altra ormai storica firma di Appunti, cioè Laura Turini. Trovate il video qui:
Notizia positiva: Utet mi ha comunicato che hanno ristampato il libro, se volete lo trovate qui:
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Articolo dettagliato ed interessante
Articolo veramente ben fatto e spiega bene la manovra 2025. Da professionista che si occupa di fisco è interessante e giusta la maggior tassazione sulle crypto/bitcoin.
Comunque (per me) rimangono dei problemi strutturali sia del sistema pensionistico sia di quello fiscale da valutare negli anni a venire, chi vivrà vedrà...