GKN, il futuro incerto della lotta
Dal 2021 i lavoratori presidiano lo stabilimento dell’azienda che produceva per Stellantis, per darle un futuro. Ora scoprono che 80mila metri quadri di fabbrica sono stati venduti a loro insaputa
È fin troppo facile pensare che mentre gli operai proteggevano coi loro corpi l’officina, a prezzo altissimo per la vita loro e delle loro famiglie, la partita della reindustrializzazione non sia in realtà mai partita
Gea Scancarello
Buon pomeriggio a tutte e tutti,
da alcuni anni intorno alla vicenda della fabbrica ex GKN in Toscana si consuma una specie di stress test del capitalismo italiano: si misura la solidità delle sue regole, la forza dei lavoratori, la serietà degli imprenditori, le prospettive di una economica che non si rassegna a perdere la sua vocazione manifatturiera.
Gea Scancarello, giornalista di LA7, ha seguito in questi anni la vicenda di GKN ed è co-autrice di un libro in arrivo il 15 novembre per Fuoriscena, Questo lavoro non è vita. La lotta di classe nel XXI secolo, il caso GKN, scritto con Dario Salvetti (Collettivo di Fabbrica).
Uno sviluppo imprevisto e sorprendente ci costringe però a occuparci della vicenda già oggi: mentre i lavoratori presidiano la fabbrica da anni, gli hanno venduto la fabbrica senza dir loro niente.
Leggete e fatevi un’idea,
buon pomeriggio,
Stefano
GKN, la lotta e l’ultima beffa
di Gea Scancarello
Da più di tre anni i lavoratori della ex GKN sono in assemblea permanente nello stabilimento in cui hanno lavorato fino al 9 luglio 2021. Lo presidiano fisicamente, dopo essere stati licenziati con una mail in uno dei procedimenti più selvaggi della recente storia industriale, per evitare che la proprietà si porti via i macchinari, lo svuoti e ne faccia l’ennesimo esempio di speculazione immobiliare a danno di 422 famiglie, e di un territorio intero.
Tre anni di lotta contro la deindustrializzazione e per il diritto al lavoro: sulla carta godono dell’appoggio di tutti; nella pratica, sono abbandonati a loro stessi. O forse addirittura raggirati.
Si scopre oggi, infatti, che gli 80 mila metri quadrati della fabbrica di Campi Bisenzio (Firenze), dove dal 1995 si producevano semiasse per i veicoli Fiat / Stellantis, sono stati venduti: l’azienda in pratica non c’è più.
È sparita dentro a un sistema di scatole cinesi, di società controllanti l’una dell’altra, non è escludibile create ad hoc per far perdere le tracce di denari e intenzioni. E, certamente, per far perdere la speranza alla più grande lotta operaia degli ultimi decenni. Il sapore della beffa è intenso.
Come è stato possibile?
Per capire bene questa storia, paradigmatica del peggiore capitalismo italiano, e dell’inerzia delle istituzioni preposte a regolarlo, bisogna fare parecchi passi indietro: la vicenda della ex GKN, che per qualche mese è stata capace di catturare l’attenzione di un pubblico normalmente distratto tanto per la brutalità dei modi quanto per la forza degli operai ridotti alla fame, ha parecchi snodi complessi. E una costante: i concetti di lavoro e di responsabilità dell’impresa privata descritti dalla Costituzione - rispettivamente all’articolo 4 e 41 - sono stati calpestati e ridicolizzati.
“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, recita la Carta.
Com’è possibile allora che un’azienda che ancora genera utili venga chiusa con una mail da un giorno all’altro, e poi passi di mano in mano senza sapere chi davvero tiene le redini, senza mai riavviare la produzione, cercando di liberarsi con ogni modalità dei lavoratori rimasti in carico a dispetto di ripetuti pronunciamenti dei giudici, snobbando tavoli ministeriali e quello che prevede la legge?
Se le risposte mancano, i fatti sono invece chiari. Proviamo a riepilogarli.
Nel 2018, la multinazionale britannica GKN, specializzata in componentistica per l’automotive e l’aerospaziale, vende gli stabilimenti italiani - uno a Campi Bisenzio, nella piana fiorentina; l’altro a Brunico (Bolzano) - al fondo speculativo Melrose Industries, il cui motto, diventato tristemente celebre, è Buy, Improve, Sell (Compra, Migliora, Vendi).
Per quasi tre anni, a dispetto della contrazione del comparto automobilistico, lo stabilimento continua a funzionare e a macinare utili, benché ridotti: il margine sta intorno al 2,5 per cento, non moltissimo per una multinazionale, men che meno per un fondo.
Il 9 luglio 2021, un venerdì, tre ore dopo l’uscita dell’ultimo pezzo dall’officina, i rappresentanti sindacali degli operai ricevono via mail la comunicazione che, da quel momento, la fabbrica è chiusa: la proprietà ha repentinamente deciso di dismettere e di avviare la procedura di licenziamento per tutti i lavoratori. Che scelgono di reagire: si precipitano ai cancelli, entrano nello stabilimento e, da quel momento in poi, resteranno continuativamente a guardia di macchine e spazi per impedirne lo smantellamento. Dunque la cancellazione del loro posto di lavoro.
Tre mesi dopo, un tribunale annulla i licenziamenti per vizi di forma: la produzione, però, non riparte.
Le strane mosse di Francesco Borgomeo
Entra in scena a questo punto Francesco Borgomeo, imprenditore che si è fatto conoscere per il rilancio del gruppo Saxa Gres (pavimentazioni stradali), già advisor, ossia consulente, di Melrose: bisogna seguire le sue mosse per capire perché la notizia odierna è così grave.
Borgomeo acquista da Melrose il pacchetto GKN, per una cifra che non è mai stata resa nota; cambia come prima cosa il nome allo stabilimento trasformandolo in QF: sta per quattro F, Fiducia nel futuro della fabbrica di Firenze.
Come segno di fiducia, annuncia il ritiro dei licenziamenti e l’imminente reindustrializzazione.
Nel gennaio del 2022 viene firmato un accordo quadro al ministero dello Sviluppo economico: si torna a produrre. D’altronde, cosa la si compra a fare una fabbrica?
Ma i soci industriali e il piano per riavviare lo stabilimento non arriveranno mai.
Mentre lavoratori e lavoratrici restano senza stipendi, e si organizzano in una lotta creativa che coinvolge il territorio e nomi noti delle arti e della cultura, Borgomeo inizia un balletto di dichiarazioni e di operazioni poco chiare.
Nel maggio del 2022 fonda la Pvar, la cui ragione sociale prevede, tra altre cose, “l’acquisto, la vendita, la permuta, la ristrutturazione e la gestione di beni immobili (…)” . Tre mesi dopo (ottobre 2022), la Pvar acquista tutte le quote di QF: diventa proprietaria di quella che era GKN.
Di questo passaggio gli operai non sanno nulla: in quello stesso periodo si stanno battendo perché vengano loro pagati i salari dovuti - sono formalmente ancora dipendenti, Borgomeo ha ritirato i licenziamenti - mentre la proprietà, cioè Borgomeo, chiede al governo di metterli in cassa integrazione: cosa che risulta impossibile da ottenere perché lui stesso non ha presentato un piano industriale di riconversione che giustifichi gli ammortizzatori sociali.
Sostiene che non può riavviare la produzione perché l’indisponibilità dello stabilimento, presidiato, glielo impedisce; gli operai gli chiedono chiarezza sul progetto.
C’è un sottile ribaltamento di senso: la proprietà suggerisce che i lavoratori non sono in lotta perché manca il lavoro, ma che manca il lavoro perché loro sono in lotta. Lo scetticismo del Collettivo di fabbrica ex GKN si rivela giustificato: a febbraio 2023, infatti, Borgomeo mette la QF in liquidazione volontaria, facendo saltare di fatto ogni ipotesi di reindustrializzazione.
A maggio, con il decreto Lavoro e con un’operazione senza precedenti, il governo Meloni concede a QF una cassa integrazione retroattiva, che consente agli operai di rifiatare un po’. Ma che solleva anche di fatto la proprietà da debiti e pagamento di salari.
I veri obiettivi
Nell’arco del 2023 succedono però due cose, che ci portano ai giorni nostri. E chiudono il cerchio.
Il 22 settembre 2023 vengono create altre due società: la Toscana Industry srl, che si occupa di “acquisizione di complessi aziendali, qualunque sia il loro oggetto sociale”, e la Sviluppo Immobiliare Toscana Srl, finalizzata all’“acquisto (...), vendita, (...) di terreni e immobili in genere. (...) acquisto, realizzazione, gestione (...) di strutture ricettive, para-ricettive (...) sia alberghiere che extralberghiere".
Le due società hanno in comune l’amministratore unico: Mirko Polito, manager allora 35enne di cui si sa molto poco. Passa un altro mese e la Toscana Industry Srl acquisisce il 50 per cento delle quote di Pvar (ricordiamolo: controllante di QF, dunque della ex Gkn).
Le quote della Pvar sono a questo punto detenute per il 50 per cento da Toscana Industry, per il 27 per cento, da Francesco Borgomeo, già amministratore unico e quotista unico della PLAR S.r.l., e per il restante 23 per cento, dalla stessa PLAR. Immancabilmente, Mirko Polito diventa anche amministratore unico della Pvar.
Tutti questi movimenti, e il profilo delle società, sono osservati con attenzione dal Collettivo di Fabbrica ex GKN, che denuncia pubblicamente:
“Variazioni societarie aumentano i sospetti di una finalità immobiliare nell’operazione QF. Ecco perché attaccano qualsiasi piano di reindustrializzazione, generando confusione.
Ecco perché si preparano a licenziarci tutti. (...) è lecito ipotizzare che sin dall’inizio l’obiettivo sia stato arrivare ai licenziamenti e a un’operazione immobiliare” .
Il timore che Borgomeo abbia acquistato la ex GKN (per quanto? Ha ricevuto finanziamenti?) grazie ad accordi riservati con Melrose, e che magari questi accordi comprendano una speculazione immobiliare, prende corpo.
D’altronde, è bene ricordarlo, la fabbrica sorge esattamente davanti a “I Gigli”, il centro commerciale più grande della Toscana, in un’area ad altissima cementificazione in cui c’è fame di nuova edilizia.
Di lì a pochi giorni, QF avvia un’altra procedura di licenziamento per gli operai che ancora non hanno abbandonato la lotta, a dispetto di due anni di fatiche e promesse tradite.
Dalla loro, oltretutto, i lavoratori avrebbero anche la legge: la numero 234 del 2021, firmata dall’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando e dall’allora sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessandra Todde, proprio sull’onda dell’indignazione suscitata dalla vicenda GKN.
La norma inquadra i passaggi per chi vuole chiudere un’azienda - spoiler: non si può mandare una email e tanti cari saluti - e incentiva progetti di reindustrializzazione dal basso che coinvolgano il territorio e i suoi stakeholder.
Proprio come nel piano di riconversione messo a punto dal Collettivo di Fabbrica, con l’aiuto di alcuni docenti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e di una pluralità di professionalità solidali, come vengono chiamate: dai legali agli economisti, passando per accademici e operai.
Eppure, nulla succede: il governo continua a non convocare un tavolo sui licenziamenti.
Manovre immobiliari
A cambiare le cose arrivano di nuovo i magistrati: anche questa seconda procedura di licenziamento viene annullata a fine 2023, sempre su ricorso Fiom, per vizi di forma. Ma degli stipendi dovuti agli operai nemmeno l’ombra.
La loro lotta si fa sempre più disperata, e creativa: per mantenere viva l’attenzione creano un festival di letteratura Working class, organizzano cortei e iniziative pubbliche al grido di “Insorgiamo”, girano l’Europa a illustrare il prototipo delle cargo bike che vorrebbero produrre una volta riacquisito lo stabilimento.
A fine febbraio - sono passati altri due mesi dall’ultimo rigetto dei licenziamenti da parte dei tribunali - QF ritira nuovamente i licenziamenti. E il 12 marzo 2024 il ministero delle Imprese e del made in Italy convoca infine tutti quanti: la data è importante, va annotata.
L’incontro va in fumo: al tavolo non si presenta il liquidatore di QF, Gianluca Franchi, perché il ministero ha dimenticato di inserire il suo indirizzo tra i riceventi (la missiva contiene comunque altri indirizzi aziendali: difficile pensare che la proprietà non fosse informata). Ma quello stesso giorno, si è appena scoperto, lo stabilimento che gli operai stanno difendendo strenuamente viene venduto.
A chi?
Ecco il colpo di scena: gli acquirenti sono Toscana Industry e Sviluppo Immobiliare Toscana, le due società a vocazione immobiliare che condividono l’amministratore Mirko Polito, quote azionarie nonché una commistione con la stessa proprietà di QF, Francesco Borgomeo, l’imprenditore che avrebbe dovuto riavviare la produzione di quella che fu la GKN.
La notizia rimane coperta per mesi, mentre il clima si fa sempre più velenoso: non solo si verificano episodi intimidatori - tra le altre cose viene sabotata la centralina elettrica alla vigilia del Festival di letterature Working class, mentre i droni continuano a volare sopra la ex fabbrica - ma il liquidatore, Franchi, arriva al punto di minacciare una richiesta danni all’attore Elio Germano per aver promosso proprio quel festival.
Agli operai non resta che un’ultima mossa: lo sciopero della fame. Dura 13 giorni, e centra - almeno apparentemente - l’obiettivo: la Regione Toscana mette in discussione una legge per requisire lo stabilimento e avviare finalmente la riconversione. Il progetto avrebbe il supporto anche di un azionariato popolare che, in tre mesi, raccoglie oltre un milione di euro.
Sappiamo ora però che molto probabilmente lo sforzo è stato inutile: lo stabilimento, il luogo fisico difeso con ogni mezzo dagli operai, è passato di mano. A società a vocazione immobiliare. Senza che alcuna istituzione se ne accorgesse. Proprio nel giorno, anzi, in cui la proprietà avrebbe dovuto presentarsi a un tavolo di crisi, se solo il ministero non avesse dimenticato un indirizzo nella convocazione.
“Se si tratta di un raggiro, coinvolge veramente tutti: lavoratori, territorio, Campi Bisenzio, Firenze, Toscana ma anche potenzialmente istituzioni e Tribunale del Lavoro. Non sappiamo, ad esempio, a che titolo oggi il liquidatore di QF parli dello stabilimento o vi abbia acceduto finora, in alcuni casi addirittura coinvolgendo le forze dell’ordine”, dice oggi la Rappresentanza sindacale unitaria della ex GKN, masticando amarissimo.
“Avevamo previsto tutto e ora ne abbiamo l’ufficialità: la partita è stata probabilmente sin dall’inizio immobiliare ed è per questo che non comincia mai la discussione sulla reindustrializzazione. Chi invece si è voltato dall’altra parte, l’ha fatto per distrazione o coscientemente?” è la domanda finora senza risposta.
E adesso?
QF martedì comparirà di fronte alla Regione Toscana, dopo aver giocata un’ultima carta avvelenata: ha fatto sapere a mezzo stampa che se gli operai abbandonano lo stabilimento, si incaricherà di trovare per loro un altro - ben più piccolo - capannone per avviare il piano industriale.
Ma in qualità di cosa fa quest’offerta, ormai, QF? Non è più proprietaria dell’immobile. E nel frattempo ha spostato la propria sede legale a Roma. Dalla visura camerale, inoltre, emerge che non ha più nemmeno una sede operativa.
È fin troppo facile pensare che mentre gli operai proteggevano coi loro corpi l’officina, a prezzo altissimo per la vita loro e delle loro famiglie, la partita della reindustrializzazione non sia in realtà mai partita: l’obiettivo era sempre stato un altro. Abbiamo scherzato, insomma.
Buona pace per i lavoratori rimasti senza stipendio, senza lavoro e senza la dignità che l’uno e l’altro conferiscono. Ma anche per l’Italia intera: in gioco a Campi Bisenzio non c’è solo il salvataggio di un’industria, ma anche la difesa dei diritti di chi ci lavora e, non ultimo, la capacità del pubblico di intervenire strategicamente, riconvertendo in produzioni ecologicamente avanzate.
Il dialogo Stefano Feltri - Laura Turini su Stroncature
Nei giorni scorsi ho presentato il mio libro Dieci rivoluzioni nell’economia mondiale (che l'Italia si sta perdendo), uscito nei mesi scorsi per Utet, in un evento organizzato dal bel progetto Substack Stroncature. Con me c’era anche un’altra ormai storica firma di Appunti, cioè Laura Turini. Trovate il video qui:
Notizia positiva: Utet mi ha comunicato che hanno ristampato il libro, se volete lo trovate qui:
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