Che fine farà l'Ucraina?
L'elezione di Donald Trump ha sbloccato uno stallo, e non è detto che sia una cattiva notizia. I Paesi europei ora devono decidere cosa fare. La Germania si è già riposizionata.
Sul fronte occidentale c’è una disponibilità senza precedenti a cercare una soluzione negoziata, di compromesso. E Putin come risponde? Con il più grande attacco aereo sull’Ucraina dall’inizio della guerra
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Le elezioni americane hanno sbloccato una situazione ucraina che sembrava congelata e che aveva come unico sbocco il lento logoramento della resistenza di Kiev. Adesso qualcosa sta succedendo.
Mentre Donald Trump lavora al suo piano per far finire la guerra il primo giorno che arriverà alla Casa Bianca, a gennaio, anche il premier Volodymyr Zelensky dice che “bisogna fare di tutto per far finire la guerra con la diplomazia il prossimo anno”.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, dopo aver spinto la coalizione al collasso e la Germania a elezioni anticipate, ora cerca consenso come “cancelliere della pace”, che ha evitato l’escalation (dice lui) e che - dopo oltre un anno - telefona a Vladimir Putin in una iniziativa poco coordinata con gli altri partner di ripresa di dialogo.
Sul fronte occidentale, dunque, c’è una disponibilità senza precedenti a cercare una soluzione negoziata, di compromesso. E Putin come risponde? Con il più grande attacco aereo sull’Ucraina dall’inizio della guerra, oltre 120 missili e 90 droni, per distruggere quel che resta dell’infrastruttura energetica del Paese.
Nei prossimi giorni si capirà se questo attacco va interpretato come il rifiuto di Putin a ogni soluzione negoziale - cosa assai probabile, almeno secondo gli ucraini - o come una dimostrazione di forza preliminare a sedersi al tavolo delle trattative senza sembrare la parte debole.
Le aspettative di Zelensky
A metà ottobre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha fatto l’ennesimo giro delle capitali occidentali per raccontare il suo “piano per la vittoria” presentato nel parlamento ucraino.
Lo ha illustrato anche agli allora due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Kamala Harris e Donald Trump.
I punti principali sono una prospettiva chiara di adesione alla Nato, supporto militare immediato e senza restrizioni all’uso anche in territorio russo, una deterrenza convincente contro la Russia basata su tutte le armi necessarie tranne quelle nucleari, prospettive realistiche di ricostruzione del Paese, con suo ingresso nell’Unione europea.
Soltanto così, è l’argomento di Zelensky, l’Ucraina può garantirsi un presente e un futuro di sicurezza rispetto alle ambizioni imperiali di Vladimir Putin. E soltanto così anche l’Occidente, per conto del quale gli ucraini sentono di star combattendo, può evitare che, dopo l’Ucraina, tocchi a Georgia e Moldova, o anche a Polonia, Finlandia, scatenando un conflitto frontale con la Nato.
Poi però sono arrivate le elezioni americane, Donald Trump ha vinto anche con la promessa di chiudere il conflitto entro 24 ore, appena arrivato alla Casa Bianca. Un messaggio diciamo così pacifista che è stato molto importante per la vittoria del candidato Repubblicano.
Gabriele Natalizia è professore di relazioni internazionali all’università la Sapienza di Roma e direttore del centro studi Geopolitica.info
Gabriele, cosa possiamo aspettarci da Trump e dal suo vice JD Vance in concreto sull’Ucraina? Che riducano il supporto militare dopo aver trovato un'intesa con Putin su come far finire la guerra o che invece, semplicemente, taglino le forniture a Kiev in modo da forzare l’Ucraina a una resa di fatto?
Il piano di pace attribuito a Donald Trump per l'Ucraina, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, prevede la cessione del 20% dei territori ucraini attualmente occupati dalla Russia, la creazione di una zona demilitarizzata di circa 1.000 km² e l'impegno dell'Ucraina a non aderire alla Nato per i prossimi vent'anni.
Sebbene l'amministrazione Trump sembri intenzionata a concludere rapidamente il conflitto in Ucraina, questo piano potrebbe essere percepito come una concessione significativa alle richieste russe.
È importante notare che la Russia non ha ottenuto una vittoria decisiva sul campo di battaglia, e accettare tali condizioni potrebbe essere visto come una capitolazione non solo per Kiev, ma anche per Washington. Come primo atto della nuova amministrazione, un accordo di questo tipo potrebbe essere interpretato come un segnale di debolezza, soprattutto da parte di Pechino, contraddicendo il principio di "pace attraverso la forza" sostenuto da Trump.
Inoltre, un piano che preveda la riduzione o l'eliminazione dei fondi destinati all'Ucraina potrebbe soddisfare le richieste di alcuni alleati, come l'Ungheria, che hanno espresso scetticismo riguardo al sostegno militare a Kiev. Tuttavia, è fondamentale che la Nato operi come una vera alleanza, piuttosto che come un sistema di assistenza, per mantenere la sua credibilità e deterrenza.
In sintesi, mentre la ricerca di una soluzione rapida al conflitto è comprensibile, è essenziale che qualsiasi accordo di pace non comprometta la sovranità ucraina né la posizione strategica degli Stati Uniti e dei loro alleati.
Il destino del conflitto in Ucraina riguarda anche il futuro della Nato, ora guidata da Mark Rutte. Che ruolo ha la Nato nella visione del mondo isolazionista di Trump e dei trumpiani?
Non direi che la visione di Trump sia isolazionista, perché l'obiettivo strategico che persegue rimane quello del primato americano su scala globale. Piuttosto, Trump si fa promotore di una visione riduzionista degli impegni degli Stati Uniti, basata su tre linee operative strategiche: il disimpegno, almeno parziale, dalle aree non ritenute strategicamente vitali; la richiesta agli alleati più facoltosi di condividere maggiormente le responsabilità; e l’aumento degli sforzi per contenere la Repubblica Popolare Cinese nell'Indo-Pacifico.
La Nato potrebbe svolgere, e anzi svolgerebbe ancora più coerentemente, una funzione in linea con questi tre imperativi, ai quali gli Stati Uniti di Trump non possono rinunciare.
Da un lato, si tratterebbe di difendere l'ordine internazionale laddove gli americani non intendono più impiegare le stesse risorse di un tempo, come nel continente europeo o nel vicinato meridionale.
Dall'altro, contribuire al contenimento della Cina rafforzando la cooperazione in ambito di sicurezza con i partner dell'Indo-Pacifico e monitorando e contrastando l'influenza cinese all'interno del raggio d'azione dell'Alleanza Atlantica.
L’attività di Trump sull’Ucraina è già cominciata, non può aspettare l’insediamento di gennaio. C’è anche già stata una telefonata con Vladimir Putin, anche se è stata smentita dal Cremlino probabilmente perché a Mosca non sono stati soddisfatti di come è stata diffusa la notizia.
Con queste premesse, ci sarebbe da aspettarsi che gli ucraini siano disperati, molto preoccupati per una imminente capitolazione. Ma non è così.
Ottimismo disperato
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