La lezione dell'Emilia-Romagna
Eventi climatici estremi un tempo rari diventano ricorrenti. Non si possono evitare tutti i danni, ma almeno si possono salvare vite
C’è un dato che mi ha positivamente colpito e che mi pare sia stato fagocitato dal rimpallo delle responsabilità di questi giorni, e cioè che una precipitazione ancora più intensa delle due precedenti alluvioni non abbia provocato alcun decesso
Emanuele Intrieri
A distanza di 16 mesi l’Emilia-Romagna è stata nuovamente colpita da una serie di alluvioni, principalmente nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna, in zone parzialmente sovrapponibili con quelle interessate dalle due alluvioni del maggio 2023. Non è un caso.
La conformazione meteorologica può causare il ristagno dei cicloni che vengono bloccati dalla barriera degli Appennini, con l’aria umida che, risalendo lungo la catena, si raffredda e fa condensare la pioggia.
Fino a qualche tempo fa era stato calcolato che piogge di questo tipo avessero un cosiddetto tempo di ritorno di 100 o 200 anni, cioè che in media avvenissero ogni secolo o due.
Il cambiamento climatico sta chiaramente stravolgendo i nostri modelli, gli stessi su cui ci basiamo quando calcoliamo l’altezza e la resistenza che deve avere un argine, come avevamo spiegato su Appunti in un precedente articolo.
L’evento di pochi giorni fa è stato addirittura più forte dei precedenti. Stavolta la precipitazione ha raggiunto in certe aree i 350 mm in 48 ore, mentre nel maggio 2023 i millimetri piovuti nello stesso intervallo di tempo erano 200, ed erano arrivati a 450 sommando le due alluvioni, quella del 1-3 maggio e quella del 15-17 maggio. Nonostante si sia trattato di un evento più intenso verificatosi in aree simili per estensione, non ci sono state vittime, mentre l’anno scorso furono 17.
E’ stato fatto quello che si poteva fare?
Da subito è diventato un caso politico con speculari accuse di lentezza tra governo e amministrazione regionale.
Gli interventi previsti sono poco meno di mille e sono peraltro ripartiti tra tre da diversi soggetti attuatori: protezione civile, che quindi è direttamente sotto alla presidenza del Consiglio, consorzi di bonifica, di cui abbiamo scoperto l’esistenza alcuni anni fa quando abbiamo iniziato a pagarne i bollettini, e l’Agenzia Interregionale per il fiume Po.
Di questi interventi più della metà risulta in corso, mentre la restante è circa equamente ripartita tra già completata e in fase di progettazione. Oltre agli interventi di ripristino, come quelli per la rimozione del materiale mobilitato o per la ricostruzione degli argini, si tratta di interventi di vario tipo, che vanno dai rafforzamenti degli argini, agli interventi sulla vegetazione e sui torrenti montani, alla sistemazione di frane, alla realizzazione di casse di espansione, cioè zone pensate per essere allagate e così far “sfogare” i fiumi prima che entrino nei centri abitati.
Queste ultime in particolare sono opere che richiedono anni per poter essere realizzate e sono state individuate dalla Commissione tecnico-scientifica nominata dalla giunta regionale per analizzare gli eventi del maggio 2023 come una delle principali contromisure da mettere in campo.
La Commissione ha sottolineato anche l’importanza di operare sin dalle zone a monte, con invasi montani che hanno la funzione di trattenere l’acqua, con l’ulteriore scopo di contrastare la siccità.
Si tratta quindi di lavori che interessano non solo le prossimità dei fiumi ma gli interi bacini a monte. Ulteriori interventi raccomandati consistono nell’allargamento degli alvei.
Tutte queste opere si scontrano però con la necessità di lasciare spazio ai fiumi togliendola a case, strade, capannoni, campi coltivati e in generale a tutto ciò che abbiamo costruito, con espropri e demolizioni; è quel che si dice ridurre il consumo di suolo (di cui si è già parlato in un altro articolo qui su Appunti) un approccio necessario ma che richiede molto tempo anche perché spesso non trova il consenso dei cittadini.
Prepararsi all’inevitabile
Le opere realizzate in questi mesi hanno probabilmente impedito un più grave bilancio, ma è chiaro, ed è stato anche sottolineato dalla Commissione, che contro eventi così concentrati non c’è territorio né intervento che tenga e la pulizia della vegetazione riparia e montana, di cui si è parlato tanto soprattutto in occasione delle alluvioni dell’anno scorso, sebbene sia utile non è certamente risolutiva.
Ma c’è un dato che mi ha positivamente colpito e che mi pare sia stato fagocitato dal rimpallo delle responsabilità di questi giorni, e cioè che una precipitazione ancora più intensa delle due precedenti alluvioni non abbia provocato alcun decesso.
Col tempo potremo capire esattamente come mai, ma non si può certo imputare, per lo meno non interamente, alle nuove opere, per la gran parte ancora da completare. Credo che la chiave stia nel fatto che tra questi disastri è passato poco più di un anno, un tempo sufficientemente lungo per prendere coscienza dell’accaduto ma non troppo da farne perdere la memoria.
Ho letto di molti sindaci che sono andati casa per casa a diramare e coordinare le evacuazioni preventive. Perché, per quanto improvvisa e imprevedibile, la pioggia ha comunque bisogno di tempo per far gonfiare un fiume e, se siamo preparati e sappiamo cosa fare, possiamo fare tesoro di questo tempo.
La maggior parte delle vittime delle alluvioni ricade in una di queste due categorie: persone che erano in macchina e che sono state travolte dall’acqua, spesso proprio perché erano uscite di casa apposta per “salvare” l’auto, e persone che si trovavano in seminterrati o al piano terra.
Basilari norme di auto-protezione, indicate nei piani comunali di emergenza, possono essere facilmente trasmesse alla popolazione e sono azioni che salvano la vita; il cittadino deve sapere prima cosa fare in caso di evento calamitoso, in modo da attuare tutte quelle misure che consentono di limitare i danni a se stesso e agli altri.
Insomma, nel mentre che si completano gli interventi strutturali, cioè i cantieri, con i loro tempi inevitabilmente lunghi e spesso ulteriormente allungati dalla burocrazia, stiamo già attuando gli interventi non strutturali, più economici, a quanto pare con successo.
Dobbiamo imparare che eventi un tempo rari oggi sono molto più comuni e che non sarà possibile impedire che facciano danni alle cose, ma se sapremo affrontarle potremo impedire almeno i danni alle persone. I territori che sono stati duramente colpiti hanno dimostrato di aver appreso la lezione, ma è necessario che la stessa attenzione venga estesa a tutto il Paese.
Senza dimenticare nel frattempo di stanziare fondi per opere di mitigazione diffuse, necessarie dal nord al sud. Il problema è che la prevenzione dà i suoi frutti nel lungo termine.
Tuttavia, per citare l’illustre ingegnere e idrologo Andrea Rinaldo, “le piene fra un po’ avranno un tempo di ritorno di quattro anni, come il ciclo elettorale”, così sarà più difficile ignorarle.
Emanuele Intrieri è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze. E’ anche membro del Centro di Competenza per il Rischio Idrogeologico del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile.
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Il tema mi interessa molto e mi è piaciuto questo articolo. Certo che ognuno dovrebbe fare la propria parte nel suo piccolo, ma a questa dovrebbe aggiungersi il sostegno pubblico locale e statale: non solo economico, ma strategico e di prospettiva es. non concedere mai più autorizzazioni a costruire in luoghi a rischio. Trovo determinante che vi sia altresì una politica globale in tal senso, altrimenti quel che si fa solo da una parte non risolve il problema. A livello internazionale si perde di vista l'indispensabile (la vita sulla terra) per inseguire il superfluo...
Dalla lettura dell'ottimo articolo ho ricavato la sensazione spiacevole che si prova assistendo alle immagini apocalittiche di un film di fantascienza. Purtroppo, sempre più spesso, questa sensazione ci prende nell'osservare le immagini reali ormai tanto frequenti. E sono rimasta colpita da una osservazione terribile nella sua ovvietà: dobbiamo sentirci sollevati non per la possibilità di scongiurare crolli e distruzioni ma semplicemente per il fatto che le popolazioni riescano a mettersi i salvo! Abbiamo forse superato la soglia del non ritorno?