Un gioco da ragazze
Mentre il campione imbattibile prende l’aurea del superuomo, se la donna manifesta doti incredibili sembra che debba essere promossa di categoria e passare a quella degli uomini, dove si fa sul serio
Nel caso di una atleta donna che faccia risultati stupefacenti ci chiediamo se sia veramente una donna mentre nel caso degli atleti che mostrano caratteristiche fisiche fuori dal comune non ci viene in mente di chiederci se sono veramente uomini
Filippo Riscica
In questi giorni è stato proprio difficile sottrarsi all’accesa polemica intorno all’incontro tra Imane Khelif e Angela Carini. Questa discussione, tra l’altro, non è circoscritta all’interno della stampa italiana. Ha occupato spazio anche sulla BBC e sul New York Times, e anche Elon Musk gli ha dedicato un tweet.
La questione è certamente complessa perché coinvolge tanti aspetti. Quelli legati alla determinazione biologica del sesso di cui ben pochi possono dire di sapere veramente qualcosa.
La strumentalizzazione del dibattito pubblico chiaramente cavalcata dalle destre in chiave anti-woke.
I finanziamenti poco chiari dietro alla IBA (che organizza i mondiali) che aveva squalificato Khelif, ma che non è riconosciuta dal Comitato Olimpico. Coinvolge poi, in maniera più ampia e diffusa, i preconcetti che le persone hanno rispetto a quello che voglia dira essere una atleta donna.
A me sembra che questi preconcetti siano veramente il punto dirimente, perché la propaganda di destra che sfrutta questo caso fa leva su questi preconcetti che sembrano banalità incontrovertibili, ma che altro non sono che false assunzioni.
Campioni incredibili
Di Fausto Coppi, il Campionissimo, si diceva che avesse capacità polmonari fuori dalla norma, che con un solo respiro inalasse molto più ossigeno di un ciclista normale e anche dei suoi più forti rivali. Sarebbe stata questa anomalia ad avergli consentito di vincere più di tutti, imponendo ritardi abissali ai suoi avversari.
Parlo di Coppi e non di campioni più recenti, perché la sua figura, per la distanza, è avvolta nel mito e proprio per questo mi permette di sottolineare il mio punto. Nella bagarre su Imane Khelif la biologia non c’entra niente.
Il problema è nei nostri preconcetti e negli obiettivi politici di chi fomenta queste polemiche.
Coppi certamente non è un caso unico. Per fare altri due esempi, nei primi quindici anni del 2000, il nuoto maschile è stato dominato da Ian Thorpe e Michael Phelps, due atleti che dominavano le proprie specialità e avevano caratteristiche fisiche considerate fuori dal comune.
Di Phelps si dice abbia una capacità polmonare di circa 12 litri, mentre la media maschile è di 6 litri. Anche Ulisse, il programma di Alberto Angela, dedicò un servizio alla nuotata fuori dal comune di Phelps.
Perché, quindi, un’atleta che è sempre stata considerata una donna, che rispetta i criteri del Comitato olimpico e che sono ben noti prima dell’inizio delle Olimpiadi, ma che sembra essere nella sua specialità più forte della gran parte delle sue avversarie non è osannata?
Questa asimmetria tra reazioni a prestazioni fuori dal comune maschili e femminili ha caratteri paradossali.
Se un uomo, come Coppi, come Phelps, come Bolt, mostra una schiacciante superiorità nei confronti degli avversari, si scatena una caccia alle caratteristiche biologiche che ne sanciscano l’innato dominio sugli altri.
La biologia, in questo caso, viene piegata ai nostri bisogni per giustificare una ammirazione che vogliamo essere dovuta doti innate.
Nel caso delle campionesse donne, invece, sembra che alle vittorie non segua una simile ossessione per sanzionare con la biologia le loro prestazioni.
Piuttosto, questa viene invocata per delegittimarle.
Ci chiediamo se sia veramente una donna mentre nel caso degli atleti che mostrano caratteristiche fisiche fuori dal comune non ci viene in mente di chiederci se sono veramente uomini.
Il punto che spesso si confonde è che questa non è una questione puramente fattuale. Queste non sono questioni da risolvere semplicemente chiedendo a un medico di stabilire i fatti. Questi sono casi in cui i fatti semmai ambigui e non rispettano le nostre euristiche di catalogazione.
Soprattutto, sono fatti che noi usiamo per dire che certe cose devono o non devono essere fatte.
Per esempio, che una atleta non deve partecipare a una competizione in forza di caratteristiche biologiche che la avvantaggiano, mentre credo sembrerebbe assurdo a chiunque negare a un atleta come Phelps di partecipare a una gara in forza di caratteristiche fisiche fuori dal comune.
Quindi, mentre il campione imbattibile prende l’aurea del superuomo e viene idolatrato quasi fosse un dio, se la donna manifesta doti atletiche incredibili sembra quasi che debba essere promossa di categoria. Quasi fosse pronta al gioco serio tra uomini.
Questa è dunque la prima banalità incontrovertibile che altro non è che una falsa assunzione. Ossia, che ci sia una gerarchia per la quale se tu donna hai caratteristiche fuori dalla norma, salti nella categoria superiore e dovresti competere con chi gioca seriamente.
La competizione è equa?
Nel caso dell’incontro tra Khelif e Carini, poi, si è aggiunto l’argomento dell’equa competizione.
Lo scontro tra le due atlete sarebbe stato impari, il che è abbastanza paradossale perché quasi per definizione in una competizione sportiva c’è la possibilità che la competizione non sia equa.
Giusto per fare un confronto pugilistico, di Mike Tyson si riportano come dato di merito l’aver vinto numerosi incontri per KO, fatto che mi sembra una dimostrazione palese di schiacciante superiorità.
Però, Tyson traeva da questa schiacciante superiorità la sua aura mitica e non è stato certo squalificato dalle competizioni perché la sua forza rendeva gli incontri impari.
Nel ciclismo, proprio alcune settimane fa, il Corriere dedicava un articolo alle prestazioni di Tadej Pagacar, l’ultimo vincitore di Giro d’Italia e Tour de France, che “non hanno precedenti nella storia del ciclismo”.
Anche in questo caso, le capacità fisiche fuori dal comune sono interpretate per legittimare ulteriormente la schiacciante superiorità di un atleta.
Siamo quindi di fronte a due scenari tutto sommato abbastanza simili, in cui ci sono atleti con caratteristiche fuori dalla norma che, grazie a queste caratteristiche, manifestano una superiorità competitiva rispetto alla maggior parte degli avversari. La differenza è che nel caso degli uomini nessuno cavalcherebbe l’onda nel dibattito pubblico a seguito del ritiro di un atleta perché lo scontro non era equo.
Questa mi sembra essere dunque la seconda banalità incontrovertibile che altro non è che una falsa assunzione. Ossia, le competizioni tra donne dovrebbero essere qualcosa di intrinsecamente equo.
Però, mi sembra palese, nessuno si sognerebbe di dire che una competizione tra uomini non possa essere iniqua.
Anzi, in maniera aneddotica, basta cercare gli innumerevoli video simili a questo intitolati, per esempio, quella volta in cui Cristiano Ronaldo umiliò gli avversari. Viene da chiedersi se, di fronte a una simile manifestazione di superiorità, qualcuno avrebbe difeso i giocatori se avessero abbandonato il campo per manifesta iniquità della competizione.
Le destre cavalcano l’onda
Quello che mi sembra chiaro, dunque, è che il dibattito stia in parte cavalcando queste due false assunzioni senza chiaramente renderle esplicite.
Io ritengo molto improbabile che i politici di destra che hanno cavalcato l’onda di questa polemica l’abbiano fatto credendo ingenuamente che la partecipazione della Khelif alle Olimpiadi sia una autentica ingiustizia.
Infatti, le regole del Comitato Olimpico sono ben note e nella passata edizione la partecipazione della Khelif non aveva suscitato particolare sdegno.
Ritengo più probabile che questi politici abbiano intenzionalmente sfruttato il caso per presentarlo cose esempio delle ingiustizie perpetrate dall’ideologia woke e avendo come fine l’ulteriore polarizzazione del dibattito pubblico su questi temi.
Dopotutto, cosa c’è di più immediato per portare avanti il proprio messaggio se non l’immagine di una campionessa in ginocchio e in lacrime dopo aver subito una ingiustizia?
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Premesso che il caso in questione non esiste perché frutto di pura disinformazione russa, la cosa non avrebbe nemmeno avuto alcuna risonanza se le sinistre in generale non avessero negli ultimi anni fatto il peggiore degli autogol nel sostenere la libertà di genere di chi vuole essere di un sesso diverso da quello che madre natura ha affibbiato. È cosa che non c'entra nulla con la politica della sinistra ma ormai associato con essa. L'insistenza su temi che non hanno nulla a che vedere con giustizia sociale e progresso toglie alla sinistra milioni di voti e dà la possibilità alle destre di attaccarla sulle idiozie tipo bagni per chi non si riconosce in un sesso o nell'altro, schwaa e assurdità simili. E la destra gode e governa.
Ottimo pezzo. È proprio vero: allargando un po’ il campo, le narrazioni che hanno ai loro estremi superomismo e vittimismo rispettivamente (e che si spera sempre si tengano bene alla larga di entrambe) sono incompatibili, e possono risultare a loro modo entrambe tossiche. Specialmente quando sfruttate da attori politici che puntano solo a creare divisione, se non peggio.