Promesse fiscali in cambio di voti
Si avvicinano le regionali d’autunno, Meloni vuole ridurre l’Irpef e Salvini fare un altro regalo agli evasori. Ma questa politica non regge più
Il concordato biennale per le partite Iva, presentato lo scorso anno come un corno dell’abbondanza e per questo, pur di farlo accettare, corredato via via di supersconti, niente controlli per due anni, colpi di spugna totali, apertura anche agli evasori conclamati, e chi più ne ha più ne metta, è finito con un flop storico
Roberto Seghetti
Signore e signori, lo spettacolo del fisco amico ricomincia. Come i vecchi film di Don Camillo e Peppone, ripassati all’infinito dalle reti del Cavalier Berlusconi ogni volta che si avvicinavano le elezioni agli albori della seconda Repubblica (e anche oltre), appena si intravede un voto in bilico il governo Meloni torna a promettere mirabolanti sconti di tasse o altrettanto eclatanti colpi di spugna sui denari dovuti all’Erario.
Questa volta si cominciano a intravedere le elezioni regionali di autunno. E nonostante il voto sui referendum non sia riuscito a raggiungere il quorum, i milioni di voti messi insieme dai “sì” è stato evidentemente interpretato anche dai partiti di governo come un colpo di avvertimento. Per ora a salve, ma in futuro non si sa. E così, chiusi i seggi sui referendum, sono rispuntate le promesse da realizzare per l’estate.
Sono tutte belle, comprensibili, mirabolanti: manovre in cui ci guadagnano tutti e nessuno paga mai qualcosa. Salvo poi scoprire come è accaduto a fine 2024 che la pressione fiscale generale è aumentata dal 41,4 al 42,6 e che, nonostante le riduzioni formali decise con legge (il rinnovo e la stabilizzazione del taglio del cuneo fiscale), queste non hanno nemmeno coperto completamente l’aumento delle imposte e la perdita di potere di acquisto causate dal cosiddetto fiscal drag.
Che cosa sia è noto: non solo la rincorsa tra inflazione e rinnovo dei contratti di lavoro per i dipendenti è sempre in perdita, ma il rinnovo dei contratti, quando c’è, fa anche aumentare la quantità di reddito lordo.
Di per sé è un bene: busta paga lorda più pesante. Solo che così aumenta anche il reddito dichiarato al fisco e questo a sua volta fa scattare una crescita del prelievo, in modo particolare quando si supera il limite massimo previsto per il tuo scaglione di reddito.
Esempio: se io guadagni 27 mila euro lordi l’anno, vengo tassato con una percentuale di prelievo, oltre una soglia minima esente, pari al 23 per cento.
Se mi danno 200 euro lordi di aumento al mese (per fare conti semplici diciamo 2600 euro lordi l’anno, compresa la tredicesima), la quota di reddito superiore alla soglia dei 28 mila euro mi verrà tassata non al 23 ma al 35 per cento. In questo caso, cioè, i 1.600 euro oltre quota 28 verranno tassati al 35 anziché al 23 per cento.
Dunque, su questa parte di reddito pagherò molte più tasse di prima. Senza contare che dipendenti, pensionati e partite Iva senza forfait quando pagano l’Irpef allo Stato poi devono pagare anche le sovrimposte Irpef a Regioni e Comuni: un ulteriore prelievo che, messo tutto insieme, a volte tocca il 3 per cento.
In nome del ceto medio
Ma andiamo per ordine. In questi giorni sono state presentate a favore di telecamere e taccuini dei giornalisti ben due proposte, entrambe onerose, con qualche ragionevole spiegazione (in teoria) e diversi problemi nella realizzazione pratica.
A cominciare dal fatto incontrovertibile che mancano i denari. Tanto per citare due piccoli buchi nel bilancio pubblico: la crescita economica non sarà quella prevista; quindi ci saranno margini inferiori al previsto per spendere e spandere; l’aumento delle spese per il riarmo europeo e nazionale sarà in ogni caso assai pesante e toglierà dal tavolo molte risorse.
Una delle due proposte è quella rilanciata per l’ennesima volta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo all’assemblea nazionale dei commercialisti: ridurre dal 35 al 33 per cento il prelievo Irpef previsto per lo scaglione di reddito intermedio, cioè la parte di reddito lordo annuale dichiarato al fisco che va da 28 a 50 mila euro; anzi, se possibile, la presidente del Consiglio vorrebbe anche lasciare che il prelievo del 33 per cento valga fino ai 60 mila euro lordi l’anno (oggi oltre i 50 mila euro lordi il prelievo diventa del 43 per cento).
L’obiettivo è di ridurre il peso del fisco sul ceto medio, che oggi è di fatto il maggior contributore dello Stato sotto forma di gettito Irpef, in particolare da dipendenti, pensionati e partite Iva oneste. Obiettivo ragionevole? Senza alcun dubbio. Sufficiente? La riduzione dal 35 al 33 per cento sullo scaglione da 28 a 50 mila euro di reddito porterebbe 440 euro netti annui in più nelle tasche dei cittadini interessati.
Strumento adeguato? Dipende. Possibile? Se non si recuperano gli ingenti fondi dell’evasione fiscale, ci si può riuscire solo con qualche magheggio sui conti. Il costo di questa operazione varia infatti, a seconda della minore o maggiore ampiezza, da 2 a 4 miliardi di euro l’anno.
Domanda: ci sono questi soldi, senza andare a lesinare ancora di più i denari per la scuola, per l’assistenza, per la sanità, le assunzioni di medici e infermieri, dei quali vi è un a carenza straordinaria, o per i contratti del personale in questo comparto così martoriato? E, nel caso, dove possono essere scovate le risorse aggiuntive per finanziare questo passaggio? Magia, di nuovo il concordato biennale.
Memento: il concordato biennale per le partite Iva, presentato lo scorso anno come un corno dell’abbondanza e per questo, pur di farlo accettare, corredato via via di supersconti, niente controlli per due anni, colpi di spugna totali, apertura anche agli evasori conclamati, e chi più ne ha più ne metta, è finito con un flop storico: al momento della presentazione avevano promesso diversi miliardi di euro di incasso, a conti fatti ne sono entrati sì e no 1,6: ha aderito solo il 13 per cento dei contribuenti interessati.
Vi saranno poi i modesti incassi relativi al condono tombale connesso, ma quelle saranno entrate una tantum che non possono essere usate per uscite strutturali.
La volta precedente è andata così male che per tentare di rianimarlo anche in una seconda ondata (le nuove adesioni sono attese per settembre) il governo e i partiti della maggioranza in Parlamento, pur evitando di coinvolgere questa volta gli evasori conclamati, si sono dati da fare per ridurre ancora di più i doveri di coloro che accetteranno la proposta dell’Agenzia delle Entrate e che per questo saranno al sicuro da ogni verifica nei prossimi anni.
Tanto per dire: i tecnici del fisco, pur sapendo quasi al centesimo quale può essere stato il giro di affari di un ristorante, di un bar, di un medico, insomma di un professionista, di un lavoratore autonomo o di un imprenditore familiare, non potranno proporre al contribuente un aumento delle somme dichiarate maggiore del 10 per cento, se il voto del soggetto sulla pagella degli indicatori sintetici di affidabilità è 10, del 15 per cento se il voto è 9, del 25 per cento se il voto è 8.
Ecco: l’altra volta sono stati incassati 1,6 miliardi su una platea di oltre 4 milioni di contribuenti. Questa volta sono stati esclusi i sempre più numerosi forfettari (coloro che pagano secco il 15 per cento su al massimo il 75 per cento del fatturato, senza sovrimposte Irpef comunali e regionali) e gli evasori più sfacciati. Però si favoleggiano di nuovo entrate così rilevanti da metterle a sistema come fonti di una manovra strutturale sull’Irpef.
Credibile? Giudicatelo voi. A meno che non si faccia la solita furbata di prevedere una riduzione temporanea, lasciando poi ai conti dei governi futuri il compito di coprire i minori incassi con tagli di spesa o altre tasse.
Certo, i fondi si potrebbero anche trovare facendo una più incisiva lotta all’evasione fiscale. Ma questo governo può davvero pensare di essere creduto se promette una campagna di questo genere? Qui non è solo questione di fisco amico. Non è questione di parole.
Rottamazione infinita
Basti pensare al fatto che la seconda promessa rilanciata con forza in questi giorni sia quella rimessa al centro del dibattito politico da Matteo Salvini sulla nuova e totale rottamazione delle cartelle, con pagamento rateizzato fino a dieci anni senza interessi.
Proposta a dir poco scandalosa: siamo ormai oltre il ventesimo condono del governo Meloni e non c’è organo tecnico, che sia la Corte dei Conti o l’Ufficio parlamentare di bilancio o la Banca d’Italia, che non ricordi che questi interventi producono una riduzione delle entrate future, perché chi evade si aspetta che ce ne saranno sempre altri. Fatto che non bisogna essere un esperto per capirlo: basta mettersi nei panni di uno che non vuole pagare le tasse che deve.
Anche in questo caso vi sono spiegazioni teoricamente ragionevoli. “Mettiamo chi non ce l’ha fatta a pagare nelle condizioni di mettersi in regola: lui smette di essere fuori legge e lo Stato incassa qualcosa”. Già.
Ma ogni volta (è accaduto in ognuna delle quattro rottamazioni attuate fin qui) il numero dei contribuenti che hanno accettato, hanno pagato la prima o anche la seconda rata e poi hanno smesso di nuovo di pagare è stato notevole: hanno comprato tempo, si sono messi in regola rinviando controlli, sanzioni, interessi e poi, zac, di nuovo niente soldi.
Non fosse mai accaduto, si potrebbe ancora credere possibile. Alla quinta volta no. Alla quinta volta significa solo che Salvini vuole favorire gli evasori e considera anzi le imposte come un furto, “un pizzo di Stato” come disse Meloni non a caso in Sicilia.
In questo caso poi, converrebbe proprio a tutti chiedere una rateazione decennale, non solo a chi fosse davvero in difficoltà. Tanto più che lo stato di necessità viene previsto su autodichiarazione. Se è senza interessi, in dieci anni si spende infatti molto meno del previsto, perché nel frattempo l’inflazione erode notevolmente il valore della moneta nominale: tanto per dire, mille euro di oggi valgono circa il 20 per cento in meno di cinque anni fa.
In sostanza, con una simile rottamazione quinquies (magari per le politiche del 2027 Salvini ne proporrà anche una sesta) lo Stato perderà una montagna di denari. E gli evasori si limiteranno ancora una volta a comprare tempo per evitare la tagliola, in attesa che Salvini proponga o imponga un altro condono.
Non è un caso, insomma, se il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha puntato i piedi in entrambi i casi.
A Giorgia Meloni ha detto che l’obiettivo della revisione dell’aliquota intermedia Irpef è sì nel programma, ma la legislatura scade nel 2027. A Salvini ha lasciato che fosse il viceministro Maurizio Leo a puntare i piedi.
Ma fino a quando riuscirà a reggere? Finora Giorgetti è riuscito a tenere il bilancio su un sentiero quantitativo abbastanza contenuto.
Beninteso, va ricordato che la quantità delle spese e delle entrate è tutt’altra questione della qualità e che le due cose non vanno confuse: i conti in generale finora hanno retto, ma il governo ci è arrivato con scelte discutibili sul piano del progresso industriale, della tenuta dell’economia, dell’equità e della sostenibilità sociale.
Da oggi in poi comincia un’altra fase. La coperta è sempre più corta, ma la necessità di mantenere il consenso sarà sempre più forte. E’ dunque possibile che per l’estate ne vedremo delle belle.
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Il nuovo scontro di civiltà
Il contesto attuale conferma la necessità di conferire all’Unione europea un ruolo politicamente e geopoliticamente più rilevante
In realtà durante il primo e il secondo governo Prodi, con Vincenzo Visco alle Finanze, molto è stato fatto e recuperato. Gli ultimi governi di centrosinistra, pur con tutti i difetti che gli si possono trovare, hanno varato lo split Payment e il reverse charge (tra i suggerimenti del Nens, il centro studi fondato da Isco e Bersani) avviando un recupero di evasione che sta ancora dando frutti (dei quali si vanta il governo Meloni). Non è vero che non è stato fatto nulla e che non si può fare nulla. Questa è solo una narrazione politica.
Tutto vero, tutto giusto, tutto molto condivisibile e verificabile. MA è dal 2004 che ci ammansiscono all'avvicinarsi di ogni elezione politica, europea, regionale, locale .... (quindi praticamente ogni anno) con questa favoletta del taglio delle tasse, del non mettere le mani del fisco nelle tasche degli italiani, del pizzo di stato che verrà eliminato dal globo terracqueo insieme agli scafisti, del ceto medio che non ce la fa più e deve magicamente risorgere, .... e .... vengono sempre votati e in un eterno giorno della marmotta tornano sui giornali i proclami del condono tombale, della pace fiscale che finalmente metterà fine a questa guerra civile tra poveretti che vorrebbero tanto pagare le tasse ma proprio non ce la fanno e queste sanguisughe dell' Agenzia delle Entrate che vorrebbero metterli tutti su una strada a chiedere l'elemosina con i loro bambini e nonni anziani e non più autosufficienti. E chi paga le tasse continua a pagarne sempre di più e chi non le paga a pagarne sempre meno, ma Giorgia riceve le standing ovation all'assemblea dei commercialisti.