Pacchi, doppipacchi e contropaccotti in Libia
Il caso Haftar-Piantedosi tra sfide psicologiche e geopolitica spicciola
L’ennesima buffonata di Haftar ha probabilmente motivazioni geopolitiche e annunciano l’ennesimo cambio di alleanze del generale. I turchi, che Haftar non hanno mai amato, vedono il loro obiettivo finale vicino – distruggere ogni velleità di isolamento nel Mediterraneo orientale – e se tale obiettivo si raggiunge grazie ad Haftar va bene lo stesso
Dario Cristiani
Dario Cristiani è visiting senior researcher all’Institute of Middle Eastern Studies, King’s College oltre che ricercatore associato dell’Istituto Affari Internazionali
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Prendo in prestito Nanny Loy per titolare questo pezzo, ma credo sia un titolo estremamente appropriato per descrivere tutte le sorpresine che il generale cirenaico (in realtà nato a Sirte, quindi tecnicamente ancora Tripolitania) Khalifa Haftar ha riservato all’Italia in questi anni.
L’8 luglio il ministro degli Interni italiano, Matteo Piantedosi, è stato “respinto alla frontiera” all’aeroporto Benina di Benghazi e rimandato in Italia. L’X – ex Twitter – in italico in subbuglio e sollazzo, con la gara, oramai standard, a chi fa la battuta più sagace sperando che Zoro o chi per la lui la noti e ci spenda due secondi in tv (ma Propaganda è in vacanza, quindi no niente tv a questo giro).
Battute a non finire sul contrappasso piantedosiano, da respingitore a respinto, tripudio di foto fatte con l’intelligenza, o scemenza, artificiale, di lui in acqua con salvagente e via discorrendo.
Sarò diventato pesante io che con l’età “non mi mangio più un’emozione” espressione molto pregnante napoletana, qui italianizzata (probabile), ma nessuna di queste cose mi ha fatto ridere, molte le ho trovate stupidotte, per altre servirebbero espressioni in napoletano ben più pertinenti per definirne il perimetro di vacuità.
Va bene provare a capire l’eccitazione per una roba del genere e per la battuta scontata ma la questione qui è molto più complicata, sia rispetto ai fatti avvenuti a Bengasi sia rispetto alla questione complessiva e le sue motivazioni profonde
L’incidente diplomatico
Piantedosi era in viaggio in Libia, parte di una delegazione più ampia formata dal Commissario europeo agli Affari Interni e alla Migrazione, Magnus Brunner; dal ministro greco alla Migrazione e all’Asilo, Athanasios Plevris e dal ministro dell’Interno maltese, Byron Camilleri. Il gruppo si è prima recato a Tripoli dove ha incontrato il Primo Ministro del Governo di Unità nazionale libico Abdul Hamid Dbeibeh, il ministro degli Affari Esteri Taher Baour e il ministro dell’Interno, Imad Trabelsi (quest’ultimo ex leader della milizia al-Sawaiq).
Dopo, a Bengasi, il quartetto è stato fermato alla frontiera in quanto “non gradito”, a causa di – parole delle autorità della Libia orientale, del “mancato rispetto delle procedure di ingresso.”
Il fallimento dell’incontro a Bengasi tra la delegazione dell’Unione Europea e il generale Haftar è stato causato da una divergenza protocollare.
Secondo quanto riportato da fonti diplomatiche europee, la delegazione guidata dal Commissario Ue aveva accettato di incontrare esclusivamente Haftar, escludendo i ministri del governo parallelo della Cirenaica.
Tuttavia, Haftar ha insistito affinché partecipassero all’incontro anche il primo ministro Osama Saad Hammad e il ministro degli Esteri dell’esecutivo orientale, Abdelhadi Al-Hwaij, condizione non concordata inizialmente.
Le delegazioni europee si trovavano già nell’area VIP dell’aeroporto di Benina, pronte per l’incontro, quando è arrivata la richiesta del generale.
Secondo alcune ricostruzioni riportate dalla stampa, tra cui Politico, l’azione di Haftar era probabilmente (io direi sicuramente) premeditata.
Le motivazioni? Varie, ed eventuali: affermare la legittimità del governo dell’est; ribadire che è il governo che dipende da lui, e non viceversa; dimostrare - come fa spesso da undici anni a questa parte - che qui, a Bengasi e dintorni “comando io, decido io, solo io”; umiliare simbolicamente l’Unione europea.
I rapporti di Haftar con l’Ue
Su quest’ultimo punto, va detto, umiliare l’Ue dopo le attenzioni e le squisitezze europee degli ultimi giorni verso Haftar e famiglia sarebbe veramente una scortesia notevole, ma l’uomo è volubile, non ha contrappesi, e le circostanze geopolitiche e diplomatiche stanno certamente cambiando, e con esse l’approccio di Haftar.
Giusto qualche giorno fa, Haftar aveva incontrato il ministro degli Esteri greco Giorgos Gerapetritis.
Obiettivo solenne: rafforzare le relazioni tra la Libia orientale e la Grecia nei settori del commercio, della cultura e dello sviluppo.
Durante il colloquio, Haftar aveva invitato le imprese greche a partecipare attivamente alla ricostruzione della Libia, offrendo opportunità economiche nella regione sotto il suo controllo.
Il ministro greco aveva elogiato il ruolo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) l’ombrello di milizie sotto il controllo di Haftar che si presentano come esercito nazionale, nella stabilizzazione del paese e nella rapida crescita urbana registrata in diverse aree, sottolineando l’importanza della cooperazione bilaterale per la ripresa della Libia.
A fine giugno, Bengasi aveva fatto da cornice alla firma di diciassette memorandum d’intesa tra il Fondo Nazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo della Libia, guidato da uno dei quattro figli di Haftar, Belkacem, e un gruppo di imprese italiane.
L’iniziativa, che segna un rilancio concreto della cooperazione economica tra Italia e Cirenaica, ha visto la partecipazione dell’ambasciatore italiano a Tripoli, Gianluca Alberini, del console generale a Bengasi, Francesco Saverio De Luigi, e del presidente della Camera di Commercio Italo-Libica, Nicola Colicchi.
Gli accordi spaziano dall’energia alle infrastrutture, dal trattamento delle acque all’edilizia, fino alla formazione, all’ingegneria e alla digitalizzazione. Inoltre, in questa cornice, c’era stato anche il primo volo Ita Airways tra Roma e Bengasi in 13 anni, evento simbolico per la ripresa del partenariato economico tra Italia e Cirenaica.
Insomma, qualche settimana dopo queste attestazioni di stima politica ed economica, Haftar respinge i ministri greci e italiani alla frontiera, umiliandoli. Non ha molto senso. In teoria.
Eccesso di real politik
Come detto prima, questa azione ostile non è necessariamente un’azione, specifica, contro l’Italia.
Ma, guardando a ritroso, sin dalla sua resistibile ascesa nel 2014, Haftar ha spesso e volentieri preso l’Italia “a pesci fetenti” trovando però, sorprendentemente, sempre qualcuno disposto ad accettare di farsi trattare male, scambiando debolezza e insensatezza geopolitica per realpolitik.
Già ai tempi dell’ascesa di Haftar come principale signore della guerra in Cirenaica, le relazioni si fecero immediatamente tese quando il governo Renzi rifiutò la richiesta di ottenere armi per sostenere la sua lotta contro gli “islamisti” (lotta selettiva, visti alcuni degli alleati di Haftar sono salafiti duri e puri, ma qui non c’è spazio per parlarne).
L’Italia quelle armi non le diede, qualcun altro lo fece. All’epoca, lo spauracchio era lo Stato Islamico, che fu poi sconfitto in Libia, nel 2016, ma non da Haftar, ma da alcune milizie misuratine con gli americani a supporto.
Le armi e il supporto militare che Haftar ottenne da Emirati Arabi Uniti, Egitto, Francia e Russia servirono invece a conquistare tra il 2016 e il 2017 la cosiddetta Mezzaluna Petrolifera, quell’area del bacino della Sirte dove la Libia custodisce circa l’80% delle proprie risorse petrolifere.
Negli anni successivi, Haftar ha usato questo controllo per lanciare blocchi petroliferi usati come clave geopolitiche che, inevitabilmente, hanno danneggiato l’Italia, data l’importanza della Libia per l’approvvigionamento italiano.
Nell’agosto 2018, Haftar dichiarò, tramite la House of Representatives (HoR), il parlamento di Tobruk sotto il suo controllo politico, l’ambasciatore Giuseppe Perrone “persona non gradita”.
Perrone fu costretto a lasciare la Libia, e l’Italia invece di tenere il punto, abbozzò, mandando Perrone a Teheran. Qualche mese dopo, Haftar tenne l’Italia ostaggio alla Conferenza di Palermo.
Organizzata dal governo giallo-verde italiano presieduto da Giuseppe Conte per rispondere all’esuberanza francese in Libia, la conferenza di fatto venne tenuta ostaggio da Haftar, che per giorni non diede risposta rispetto alla sua presenza all’evento.
Una volta a Palermo, il generale impose all’Italia l’esclusione della delegazione turca e qatarina da un incontro riservato, creando fortissimo imbarazzo all’Italia e rovinando i rapporti con i due paesi più attivi nel supporto al Governo dell’Accordo Nazionale.
Nell’economia globale delle relazioni italo-libiche, probabilmente è questo il momento in cui l’Italia ha realmente perso l’influenza residua che aveva rispetto al governo di Tripoli, che iniziò a non fidarsi più tanto di Roma.
Gli anni successivi hanno visto poi altri problemi: l’intemerata militare di Haftar nell’aprile 2019, conclusasi con sconfitta militare e sorprendente sopravvivenza politica, e il cessate il fuoco di ottobre 2020, dinamiche che ha consegnato definitivamente le chiavi delle dinamiche diplomatiche in Libia a turchi e russi, marginalizzando sempre di più Roma.
In quei mesi di guerra, Haftar spesso e volentieri tirava missili e bombe sull’aeroporto di Misurata, dove c’erano i militari italiani, senza ottenere alcuna risposta, non diplomatica e certamente non militare.
L’unico che se n’era accorto era il bravo Daniele Raineri, all’epoca al Foglio, ma le cose che scriveva rimanevano inascoltate.
Nel 2020, in pieno delirio da Covid-19, le forze di Haftar sequestrarono due pescherecci italiani nel settembre 2020, tenendo in ostaggio, maltrattandoli, 18 pescatori per oltre due mesi.
L’anno scorso l’Italia, su imbeccata americana, era intervenuta per impedire l’arrivo di droni cinesi destinati alle milizie di Haftar, bloccandoli per violazione dell’embargo ONU, passaggio che a – almeno stando a Dagospia, anche se io ebbi riscontri simili da altre fonti – costò il posto al diplomatico che aveva messo questa informazione nel report, Alfredo Conte, all’epoca Direttore per il Medio Oriente e Nord Africa, perché guai a disturbare Haftar.
In tutto questo, chiaramente, c’è posto per la minaccia sistematica di mandare barche di migranti in Italia.
Certo, il problema non era forte come dalle coste della Libia occidentale, ma barchini e pescherecci arrivavano anche dalla Libia orientale, con destinazione Calabria e Sicilia.
Insomma, il repertorio di Haftar era completo e variegato: petrolio, migranti, violenza, pretese diplomatiche.
Ce ne sarebbe abbastanza, quindi, per approcciare il generale libico-americano - ha doppia cittadinanza, avendo vissuto in Virginia fino al 2011, dopo che gli americani se lo portarono a casa quando Gheddafi voleva farlo fuori dopo l’umiliazione in Ciad del 1987 – in maniera un attimino più guardinga. Ma niente.
Il nuovo contesto
Dicevamo, prima, che forse forse il motivo per cui Haftar ha fatto questa imboscata agli europei è un cambiamento delle contingenze geopolitiche.
Nelle ultime settimane, nel delirio che sta tornando a essere la Libia, pare che il parlamento libico, la HoR, abbia finalmente deciso di ratificare il memorandum d’intesa marittimo firmato nel novembre 2019 tra Tripoli e Ankara, quello che fu il vero motore dell’intervento militare turco in Libia che cambiò le sorti del conflitto.
Il recente Consiglio europeo del 26 giugno 2025 ha denunciato nuovamente l’intesa marittima tra Libia e Turchia. Nelle conclusioni, il Consiglio ha dichiarato che il memorandum tra Libia e Turchia “viola i diritti sovrani di Paesi terzi e non è conforme al diritto internazionale”.
L’Ue ha inoltre definito l’intesa illegittima, ribadendo il proprio sostegno alle posizioni di Grecia e della Repubblica di Cipro. In risposta, la Turchia ha accusato Grecia e Cipro greca di voler imporre “rivendicazioni massimaliste” e ha difeso l’accordo come “pienamente legittimo” secondo il diritto internazionale.
Il portavoce del Ministero degli Esteri turco, Oncu Keceli, ha detto che l’Ue, invece di avallare rivendicazioni giuridicamente infondate, dovrebbe invitare i suoi membri a rispettare il diritto internazionale.
Nel frattempo, la Grecia ha annunciato il dispiegamento di tre navi da guerra nel Mediterraneo orientale, nelle acque tra le coste libiche e turche, con l’obiettivo dichiarato di contenere il traffico di migranti irregolari provenienti dalla Libia.
Il primo ministro Kyriakos Mitsotakis, a margine del vertice europeo, ha affermato che la presenza navale costringerà le imbarcazioni dei trafficanti a retrocedere dalle coste libiche, sebbene voci critiche interne allo stesso governo greco abbiano ridimensionato la mossa, sostenendo che non avrà effetti reali sul controllo dei flussi. Probabilmente, queste navi da guerra serviranno anche ad altro.
Il cuore della controversia resta il memorandum del 2019, che ha definito gli eventuali confini marittimi tra Libia e Turchia, escludendo del tutto le rivendicazioni di Grecia e Cipro su determinate aree.
La Turchia ha sempre sostenuto che l’intesa, ratificata dal proprio parlamento nel dicembre 2019, sia finalizzata a tutelare i diritti di Ankara e Tripoli nel rispetto del diritto internazionale, e la considerava una risposta forte, adeguata e proporzionale ai tentativi politici ed economici di isolarla nella regione.
Per Ankara, il memorandum stabiliva i limiti occidentali della propria giurisdizione marittima e rappresenta un netto rifiuto di qualsiasi fatto compiuto imposto nel Mediterraneo orientale.
Nell’ ottobre 2022, le parti hanno poi ampliato l’accordo con un secondo memorandum che consentiva alla Turchia di cercare petrolio e gas nelle acque territoriali libiche e nell’entroterra, estensione che la Grecia dichiarò subito illegittima.
In Libia, la HoR eletta nel 2014, non aveva mai riconosciuto né ratificato gli accordi. Tuttavia, recenti segnali indicano un possibile cambiamento.
Secondo fonti parlamentari, la HoR avrebbe istituito una commissione tecnica per riesaminare il memorandum del 2019, in un contesto di miglioramento delle relazioni tra Ankara e la Cirenaica.
Tra questi, visite in Turchia da parte di parenti di Haftar, e incontri ufficiali con rappresentanti turchi, oltre a un disgelo nei rapporti tra Turchia ed Egitto, che finora avevano ostacolato la ratifica dell’intesa (ma che resta preoccupata dall’attivismo turco in Libia).
Ora, se la motivazione haftariana fosse veramente questa, per l’Italia ci sarebbe sia una lezione da imparare, sia un problema geopolitico più immediato da gestire.
Per ciò che concerne la lezione: la Turchia sta trattando ora con Haftar da una posizione di forza, dopo che il suo intervento militare in supporto delle forze del GNA nel 2019 aveva ribaltato l’andamento della guerra che il generale aveva lanciato.
Piaccia o meno, anche alle anime candide o agli accademici, quelli seri, raffinati, post-positivisti, che considerano un insulto analizzare le relazioni internazionali secondo canoni di forza bruta e dilemmi di sicurezza, ma la realtà dei fatti è questa: la Turchia, anche se all’epoca in maniera non del tutto convinta, decise di intervenire militarmente per rompere l’isolamento in cui si trovava nel Mediterraneo orientale rispetto alle dinamiche energetiche e geopolitiche dell’epoca, e il suo intervento in Libia è da sempre legato – e motivato – da questa questione.
Intervento legittimo sulla base del diritto internazionale – la Turchia intervenne su richiesta di un governo legittimo che aveva richiesto supporto militare contro l’aggressione da parte di gruppi interni – il governo di Tripoli aveva chiesto questo supporto anche all’Italia, che però aveva declinato.
All’epoca, tanti si spinsero a motivare l’intervento sulla base di nostalgie ottomane e legami ancestrali.
Ricordo ancora la lezioncina che mi fu fatta da un italiano “ben informato” che mi spiegò che Fathi Bashaga, l’allora ministro degli interni del GNA e principale alleato turco nell’organizzare la resistenza, aveva il cognome che veniva dal turco (Pasha arabizzato in Basha non avendo l’arabo la P, e Aga) e che quindi Erdogan andava in Libia per ravvivare l’impero ottomano ma non per altro.
Io feci notare che c’erano migliaia di cognomi così in Libia, e che probabilmente il motivo era più immediato ed eminentemente geopolitico.
Qualche anno dopo, Bashagha si è poi alleato con Haftar contro gli altri cognomi di origine ottomana del GNA. In uno shift simile, ma da una posizione di forza, la Turchia ora sta cercando di spingere Haftar ad accettare questo accordo, che resta il vero motore dell’azione turca in Libia.
A memoria, Haftar con i turchi non ha mai fatto le sceneggiate che ha fatto con greci e italiani in questi anni.
L’Italia, con la sua realpolitik dell’equidistanza (copyright dimaiano, dicembre 2019) – che qualcuno criticò in tempi non sospetti – ha finito per trovarsi ad essere considerata inutile strategicamente e militarmente a Tripoli, con qualche eccezione economica (Eni e dintorni, ma Eni è un caso peculiare e specifico) e bistrattata e umiliata quando si può a Bengasi.
Per ciò che concerne il problema geopolitico, invece: che la Grecia e Cipro si uniscano contro la Turchia, siamo nell’ambito della normalità. Per l’Italia, la questione è un po’ diversa e nettamente più complicata. Sorprendentemente (ma non troppo), il governo Meloni sta rafforzando in maniera esponenziale le relazioni e la convergenza con la Turchia di Erdogan.
L’Italia sarà il primo paese in Europa a produrre il drone turco Bayraktar TB2, l’attuale governo ha dato il via libera alla vendita di Piaggio Aerospace ai turchi, e Roma cerca la sponda turca in varie situazioni.
A pensare ciò che diceva la premier Giorgia Meloni della Turchia quando era all’opposizione, questo mutamento è tanta roba.
Rispetto alla questione del memorandum tra Turchia e Libia per la delimitazione di un ipotetico confine marino tra Libia e Turchia nella zona del Mediterraneo Orientale, senza entrare troppo nel dettaglio tecnico, l’Italia riconosce la sovranità greca sulle isole dell'Egeo, la relativa capacità delle stesse di formare una Zona Economica Esclusiva (ZEE) e la UNCLOS, la legge del mare delle Nazioni Unite.
Inoltre, nel giugno 2020, l’Italia firmò un accordo con la Grecia per la delimitazione della zona economica esclusiva tra i due Stati nel mare Ionio, accordo che all’epoca fu visto anche come una risposta indiretta al Memorandum tra Turchia e Libia per la delimitazione di un ipotetico confine marino tra Libia e Turchia nella zona del Mediterraneo Orientale.
Però, soprattutto in Libia, l’Italia l’opzione di mettersi i turchi contro non ce l’ha, e negli ultimi mesi Roma ha legato in maniera abbastanza forte i propri destini geopolitici a quelli di Ankara.
L’ennesima buffonata di Haftar ha, quindi, probabilmente motivazioni geopolitiche e annunciano l’ennesimo cambio di alleanze del generale.
I turchi, che Haftar non hanno mai amato, vedono il loro obiettivo finale vicino – distruggere ogni velleità di isolamento nel Mediterraneo orientale – e se tale obiettivo si raggiunge grazie ad Haftar va bene lo stesso.
Il “respingimento” del quartetto Ue chiaramente non è stato un respingimento ma una sceneggiata diplomatica: Haftar vuole mandare segnali, alzare la posta ulteriormente, può voler tante cose.
In Italia, la cosa ha scatenato ilarità fornendo l’occasione per fare tutti la stessa battuta su Piantedosi.
Ma, a quanto pare, in pochi hanno colto sia il problema di fondo rappresentato dal modo in cui Haftar si è posto verso l’Italia e l’Europa in genere, in questa occasione e in questi anni, sia la questione specifica che, alla luce delle relazioni attuali tra Roma e Ankara, rischia di diventare un problema da gestire enorme, e cioé un’eventuale ratifica del MoU turco-libico da parte del parlamento (in teoria) ancora legittimo.
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Concordo sull’ironia amara che in Italia di questa cosa si sia parlato solo in chiave piantedosiana senza un minimo tentativo di analisi, almeno sui canali mainstream. Su Appunti se ne parla.
Sono temi che mi piacciono ma devo ammettere che della Libia non ci ho mai capito tanto, o meglio direi di tripolitania e cirenaica. Servirà approfondire, magari Appunti ci aiuterà con approfondimenti a cadenza regolare. Lo spero.
A naso direi che la convergenza con Ankara ha un senso per l’Italia in senso strategico (magari in chiave antifrancese?) ma in generale una stabilizzazione favorevole o almeno non ostile ai nostri interessi penso sia nella top 3 degli interessi Italiani nel mediterraneo, stretto o allargato che sia.
A prescindere dal problema di fondo che credo gli italiani possano aver compreso Piantedosi merita tutta l'ironia possibile..