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La scuola degli anni Venti
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La scuola degli anni Venti

Quello che è successo in Italia tra 1922 e 1925 ricorda molto quanto sta capitando ora, nel 2025. Da Mussolini-Gentile a Meloni-Valditara. Un saggio di Christian Raimo

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Christian Raimo
apr 09, 2025
∙ A pagamento
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La scuola di Gentile non possiamo ridurla a una scuola fascista, la scuola di Valditara non possiamo ridurla a una scuola postfascista, nonostante entrambi siano ministri di governi che dichiarano la loro ideologia senza infingimenti: stiamo parlando invece di una ideologia liberal-nazionalista che ha continuità che sono profonde e di lunghissima durata

Christian Raimo

Le analogie tra quello che è accaduto alla scuola italiana tra il 1922 e il 1925 e quello che sta accadendo alla scuola italiana esattamente cento anni dopo sono tante e tali che viene la tentazione di fare un paragone tra il governo Meloni-Valditara e quello Mussolini-Gentile che può portarci a due esiti interessanti: riflettere sui rapporti tra il fascismo e il liberalismo di un secolo fa, e riflettere sui rapporti tra il postfascismo e liberalismo e neoliberismo di questi tempi.

La storiografia sulla scuola fascista rivela vari nodi intrecciati: un po’ perché tutta la storia della scuola è sempre complicata dalla difficoltà di lavorare sulle fonti primarie (quello che si fa a lezione, anche i quaderni, i disegni, i compiti a casa…) ed è in genere meno considerata dagli storici quasi fosse una storia ancillare; un po’ perché la riflessione sulla scuola fascista si concentra soprattutto sull’aggettivo fascista trascinando con sé tutte le questioni storiografiche del fascismo.

La scuola fascista: tra forma e sostanza

I due libri monografici di riferimento sono uno del 1981 e uno del 1994. Il primo si intitola La scuola italiana durante il fascismo e l’ha scritto Michel Ostenc, il secondo s’intitola Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime 1922-1943 e l’ha scritto JürgenCharnitzky.

Volendo essere piuttosto grossolani, nel primo passa l’idea che il progetto di fascistizzazione attraverso l’educazione sia stato piuttosto fallimentare e che la scuola sia rimasta meno trasfigurata dall’infezione totalitaria del fascismo; nel secondo si ricostruisce meticolosamente la politica scolastica del regime e si cerca invece di vedere come sia problematico mostrare e dimostrare la penetrazione dell’ideologia fascista nella scuola, proprio a causa delle difficoltà – soprattutto nelle fasi di affermazione del fascismo – di riconoscere questa penetrazione avvenuta in modo pulviscolare e viscoso.

Continuando a essere schematici, possiamo individuare quattro fasi della scuola fascista che un po’ corrispondono anche a una periodizzazione del fascismo in sé.

La prima è quella legata alla riforma Gentile, alla sua lunga elaborazione avvenuta anche nell’Italia prefascista e ai suoi immediati effetti; la seconda ha luogo con la trasformazione del regime e con l’ambizione di fascistizzare le istituzioni (la seconda parte degli anni venti); la terza è a partire dal 1929-30 dopo i Patti lateranensi, con l’introduzione del libro di testo unico, l’adesione forzata dei docenti al fascismo; la quarta coincide con il progetto imperialistico del fascismo e quindi con una pedagogia di regime che va a supportare questo progetto.

Potremmo definire la prima fase insieme liberale e fascista o pre-fascista, le altre tre fasciste tout-court.

Il momento che ci interessa analizzare è proprio il primo.

Il 1925 è l’anno terminus a quo in cui il fascismo ostenta la sua involuzione illiberale, l’anno della rivendicazione da parte di Mussolini del delitto Matteotti, scelta che comincia a provocare per esempio la presa di distanza/allontanamento di Giuseppe Lombardo Radice, il pedagogista che più di tutti collabora con Giovanni Gentile per la sua riforma.

Giovanni Gentile

La scuola fascista quanto è stata fascista? Il progetto gentiliano quanto è fascista? Non è un caso, forse, che venga proprio dal figlio di Giuseppe Lombardo Radice, il matematico e pedagogista Lucio Lombardo Radice, un’interpretazione del rapporto tra fascismo e scuola come anfibolica.

In un suo saggio intitolato Le due scuole, messo a postfazione di …voi siete la primavera d’Italia. ... L’ideologia fascista nel mondo della scuola 1925–1943 (un volume sulla scuola fascista pubblicato nel 1982) Lucio Lombardo Radice parla di «duplice anima della scuola», indicando una convivenza quasi ontologica tra elementi antidemocratici-totalitarie elementi democratici-antitotalitari, pensando che i primi possano essere soprattutto relegati a aspetti secondari, superficiali, o sovrastrutturali.

La diarchia era molto evidente. Da una parte la scuola – preside, professori (compreso quello di religione) – con le sue lezioni, dall’altra l’Opera nazionale balilla, colle sue gerarchie e le sue adunate.

I ragazzi avevano una doppia vita: erano da un lato alunni, dall’altro balilla, giovani italiane, avanguardisti. Due personalità, diverse anche nel vestire. Due culture. L’una umanistica, in questo o quel senso, ma comunque umanistica (per questo non abbiamo collocato in un angolo a parte l’insegnante di religione, allora direi sempre sacerdote, portatore in generale di un umanesimo cristiano), l’altra antiumanistica, sciovinistica, carica di boria della nazione, di impero e sopraffazione.

Due collettività separate, e rette da leggi e idealità diverse.

La classe, nella quale la disciplina era impegno di studio intelligente, di comprensione, spesso anche di creatività, di dialogo, di rispetto per il diverso. Il plotone, dove disciplina significava “credere, obbedire, combattere”; obbedire senza discutere agli ordini (del Duce in linea di principio, del capo-manipolo suo rappresentante in terra in linea di fatto).

Quest’idea di uno strabismo pedagogico e di una convivenza non solo possibile ma strutturale tra forme democratiche e forme antidemocratiche non convince diversi storici, prima fra tutte Monica Galfré, che è tornata diverse volte proprio sulle implicazioni storiografiche oltre che politiche di questa ipotesi di duplicità: sbrigarsela con la duplicità come fa Lucio Lombardo Radice, o parlare di fallimento come fa Ostenc, per Galfré non ci fa né riconoscere né studiare fino in fondo se e come è avvenuto il processo di fascistizzazione della scuola e della società in generale.

Nel 2010 Galfrè scrive un saggio che pone in maniera dichiarata questo interrogativo, Consenso e coercizione nella scuola fascista, che inizia così:

Appare ancora profondamente radicata, nella ristretta cerchia degli specialisti e più in generale nella memoria collettiva, un’immagine consolatoria e assolutoria della scuola del ventennio fascista: quella cioè di un mondo pienamente asservito al regime, ma solo o quasi solo negli aspetti esteriori.

Fin dai suoi esordi la storiografia è sembrata arenarsi su un dilemma di per sé più che legittimo che però, invece di stimolare la ricerca, ha finito per ipotecarne e inibirne gli sviluppi: la scuola è stata fascista solo nella forma o anche nella sostanza?

Prima del regime

Giuseppe Lombardo Radice

Nel 2017, nella sua storia della scuola italiana Tutti a scuola!, la questione si allarga anche alla storiografia degli anni successivi al fascismi, in una sorta di storia degli effetti della riforma Gentile.

Se studiamo la scuola fascista con questa cautela, ci fa tirare quasi un sospiro di sollievo rispetto agli spettri del fascismo che oggi vediamo all’orizzonte, ma può essere un effetto distorsivo.

Leggere la scuola come “il tallone d’Achille” del progetto di fascistizzazione della società, e come l’esempio più preciso di quella prospettiva storiografica che definisce il fascismo come “totalitarismo imperfetto”, non ci fa mettere a fuoco come i totalitarismi crescono e si radicano anche quando non sono perfetti.

Per questo qui stiamo occupando di qualcosa di più preciso invece che dell’intero ventennio. Per rispondere alla questione fascismo/democrazia nella scuola occorre concentrarci innanzitutto sulla fase 1922-1925, la riforma Gentile e dintorni.

Prendiamo per esempio i programmi per le scuole elementari del 1923, redatti proprio da Giuseppe Lombardo Radice come addentellato della riforma Gentile; questa è la premessa che scrive Giuseppe Lombardo Radice:

Si addita al maestro il risultato che lo Stato si attende dal suo lavoro, in ciascun anno di scuola, pur lasciandolo libero di usare, per ottenerlo, i mezzi opportuni.

I quali, per molte ragioni, sono sempre varii e mutevoli in rapporto alla situazione concreta nella quale il maestro si trova, in un dato ambiente scolastico, ed in rapporto con la personale cultura del maestro e con la particolare tempra che egli sarà riuscito a dare, attraverso una vigile esperienza, al proprio spirito di educatore.

Non stiamo parlando di autonomia scolastica, ma sicuramente sembra ci si richiami a un’idea di libertà di insegnamento che non era inclusa né specificamente né implicitamente nello Statuto albertino, dove si parlava genericamente di libertà individuali, ma che sarà tutelata dall’articolo 34 della Costituzione.

Qui il liberalismo di Gentile e Lombardo Radice che pare di fatto potere convivere con quegli elementi che invece alludono alla trasformazione del fascismo in un’autocrazia.

Più indicativo infatti è il contenuto di questi programmi, soprattutto per quanto riguarda la storia, e soprattutto tenendo conto di come in generale occorre concentrarsi sul progetto pedagogico che veniva conferito all’insegnamento della storia già in epoca liberale dall’Ottocento in poi.

La storia nell’età delle nazioni e degli imperi deve contribuire a creare la cittadinanza come una sorta di statuto morale.

Ecco qui la prima analogia con quello che accade oggi. Un approccio molto simile lo troviamo in Loredana Perla e Ernesto Galli della Loggia, coordinatrice generale e coordinatore per la storia della Commissione di revisione delle Nuove indicazioni nazionali.

L’invenzione della tradizione

Ernesto Galli della Loggia

Cosa sono le Indicazioni nazionali? Una sorta di carta costituente per la scuola. Hanno sostituito da più di vent’anni i programmi. Il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara ha deciso di rivedere quelle del 2012, ed è da poco uscita la prima bozza.

Ecco un brano delle pagine di questa bozza dedicate alla storia.

La storia, come si mostra nei grandi testi che l’hanno raccontata, intesa cioè come indagine e ragionamento intorno agli avvenimenti, al loro svolgimento, alle forze che li hanno prodotti e alle qualità dei loro protagonisti, si è sempre accompagnata anche a un giudizio morale su quanto era oggetto del suo racconto.

In questo modo essa ha rappresentato una pagina decisiva del modo come si è costruita non solo la nostra comprensione del mondo ma la stessa nostra consapevolezza del bene e del male.

Come può avvenire tutto questo?

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