La condanna al sistema degli abusi
Il parroco di Enna Giuseppe Rugolo, quello del podcast La Confessione, è stato condannato anche in appello. E con lui crolla la rete di omertà e complicità
L’avvocato Lovison è un esperto di violenza sessuale sui minori a 360 gradi, per così dire: infatti nella diocesi di Ferrara-Comacchio non soltanto difende i preti pedofili ma Messina, contemporaneamente fa parte dell'équipe diocesana per la Tutela dei minori
Giorgio Meletti e Federica Tourn
La vicenda di cui si parla qui è quella al centro del podcast La Confessione, realizzato con il contributo di Appunti nel 2024, e il tema è quello degli abusi nella Chiesa, soprattutto nella Chiesa italiana, al quale abbiamo dedicato il podcast La Scomunica (dieci puntate). Trovate tutto su Spotify o qui su Appunti.
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Anche in appello il parroco di Enna Giuseppe Rugolo è stato giudicato colpevole di violenza sessuale su minori. E il dispositivo datato 1 luglio 2025 suona come una condanna esplicita non solo del parroco abusatore ma anche di tutto il sistema di negazione, difesa strenua e protezione degli abusatori dispiegato in questo caso (che però è solo esemplare di un sistema perfettamente organizzato e oliato) dalla Chiesa cattolica e dalla Conferenza espiscopale italiana in generale, e dalle diocesi di Piazza Armerina e di Ferrara in particolare.
La sentenza della prima sezione penale della Corte d'appello di Caltanissetta, presieduta dalla giudice Roberta Serio, ha di fatto confermato la sentenza di primo grado, che il 5 marzo 2024 aveva condannato il prete a quattro anni e sei mesi per violenza su minori, ex articolo 609 bis e quater del codice penale (quindi su minori di 16 anni) e tentata violenza sessuale, con interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e interdizione perpetua dall'insegnamento nella scuola di ogni ordine e grado.
La riduzione della pena è dovuta all’applicazione dell’attenuante della particolare tenuità del fatto per due vittime individuate dal processo, mentre viene confermata in pieno la credibilità dell'accusatore principale di Rugolo, il giovane architetto ennese Antonio Messina.
Alla storia degli abusi di Rugolo e alle manovre della Chiesa per coprirlo - in prima linea il vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, protetto a sua volta da papa Francesco - è stato dedicato l'anno scorso il podcast La Confessione (link).
“Per noi questa sentenza è la riaffermazione della verità perché riconosce le responsabilità del sacerdote, che è stato difeso sin dall'inizio dal vescovo e dalla diocesi di Piazza Armerina”, commenta Eleanna Parasiliti, avvocata di Messina.
“La sentenza ha riformato esclusivamente l'aspetto della pena e ha confermato l'impianto accusatorio contro don Giuseppe Rugolo – aggiunge – la riduzione della pena riguarda soltanto le molestie nei confronti degli altri due ragazzi, di cui è stata riconosciuta la lieve entità”.
La curia arcivescovile è stata estromessa dalla responsabilità civile a causa di un dettaglio tecnico, perché l'ente da citare era la diocesi, ma, annuncia Parasiliti, “noi comunque ricorreremo contro la diocesi di Piazza Armerina in sede civile”.
In primo grado la curia vescovile era stata riconosciuta responsabile civile e condannata a rispondere in solido con il sacerdote del risarcimento delle parti civili.
“Provo soddisfazione per la sentenza e per la condanna che conferma la condotta abusante di Rugolo – commenta a caldo Antonio Messina – E poi non dimentichiamoci che il vescovo Gisana andrà a processo per falsa testimonianza per quello che ha fatto durante l'istruttoria e il processo di primo grado per coprire Rugolo. Spero che questo risultato serva a far trovare alle vittime il coraggio di denunciare gli abusatori. A questo proposito, voglio sottolineare che in caso di abuso non ci deve rivolgere mai alle diocesi e ai servizi tutela minori della chiesa perché non sono in grado di aiutare le vittime: qui abbiamo addirittura l'avvocato del prete che fa parte dell'équipe del Servizio protezione dei minori della diocesi di Ferrara”.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado era anche emerso chiaramente il sistema abusante che caratterizza la diocesi di Piazza Armerina guidata dal vescovo Rosario Gisana, ora rinviato a giudizio per aver mentito durante il processo a Rugolo.
L’udienza pre dibattimentale del processo che vede imputati per falsa testimonianza il vescovo Rosario Gisana e il suo vicario giudiziale Vincenzo Murgano, parroco della Chiesa Madre di Enna, si è tenuta il 26 maggio al tribunale di Enna ma il processo è stato rinviato al 29 ottobre prossimo a causa dell'astensione per incompatibilità della giudice Rosaria Santoni, la stessa che aveva scritto la motivazione della sentenza del processo Rugolo.
La battaglia di Antonio
Antonio Messina, una delle vittime, all'epoca sedicenne, aveva testimoniato davanti agli inquirenti di essere stato abusato da Rugolo per quattro anni, dal 2009 al 2013. Il prete, 43 anni oggi, era stato arrestato il 27 aprile 2021 in seguito alla denuncia di Messina alla polizia nel dicembre 2020. I genitori di Messina avevano raccontato delle violenze di Rugolo al vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, che non solo non aveva fatto nulla per quattro anni, pur avendo avuto conferma del comportamento abusante di Rugolo anche da un altro ragazzo, ma aveva addirittura promosso il prete a parroco della chiesa di San Cataldo, una delle parrocchie più grandi di centro di Enna.
Dietro le pressioni di Antonio Messina, monsignor Gisana aveva infine avviato una investigatio previa all'inizio del 2019 ma l'inchiesta aveva stabilito che le responsabilità di Rugolo erano limitate al periodo in cui era ancora seminarista e quindi non potevano essere, secondo quanto prescrive la legge canonica, di competenza della Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero preposto a decidere dei casi di abuso sessuale su minori.
Gli altri abusi, secondo quanto sostenuto dai giudici ecclesiastici, non rientravano nei casi di competenza del dicastero vaticano perché risalivano a quando Antonio era ormai maggiorenne e Rugolo non ancora sacerdote. Rugolo era quindi partito per la diocesi di Ferrara, ufficialmente “per un periodo di studio”, in attesa che ad Enna si calmassero le acque.
Ed è proprio la diocesi di Ferrara, guidata dall'arcivescovo Gian Carlo Perego, che si è presa cura sin dal primo momento del sacerdote accusato di abusi sessuali: incurante delle accuse gravissime a suo carico, l'ha messo subito a contatto con i minori affidandogli un campo estivo e poi ha provveduto a organizzargli una difesa quando le cose si sono messe male.
Per la precisione, è stato don Alessio Grossi, lo psicologo della diocesi a cui don Rugolo era stato affidato nel 2019 durante il suo trasferimento a Ferrara – trasferimento pensato come momentaneo dopo l'investigatio previa, in vista di un pronto ritorno del prete a Enna – a procurargli l'avvocato Denis Lovison, che lo ha difeso sin dal primo momento insieme al catanese Antonino Lizio.
Giudicare sé stessi
Lovison è un esperto di violenza sessuale sui minori a 360 gradi, per così dire: infatti nella diocesi di Ferrara-Comacchio non soltanto difende i preti pedofili ma, come ha sottolineato Messina, contemporaneamente fa parte (insieme allo psicologo Alessio Grossi) dell'équipe diocesana per la Tutela dei minori.
Certo è un modo singolare di contrastare l’abuso sui minori quello di difendere gli abusatori, ma la Cei ci ha abituati da tempo a contraddizioni grossolane come la nota indagine sulle responsabilità della Chiesa fatta dalla Chiesa stessa.
È un vezzo antico quello di giudicare sé stessi e non si può dire che a Ferrara non l'abbiano imparato bene.
Non è peraltro l'unico caso: l'avvocato milanese Mario Zanchetti, noto difensore di preti pedofili, nel 2020 è stato delegato del padre provinciale per la Tutela delle persone vulnerabili della provincia euromediterranea della Compagnia di Gesù e membro per un triennio, dal 2019, dell'équipe del Servizio tutela minori dell'arcidiocesi di Milano, di cui ha scritto anche le linee guida.
Antonio Messina, intanto, dovrà rispondere di diffamazione aggravata, insieme ad altre 27 persone, nei confronti del giornalista ennese Pippo Primavera.
Il 27 giugno, il gip del Tribunale di Enna Michele Martino Ravelli ha ordinato alla procura della Repubblica, che aveva chiesto l'archiviazione della querela, l'imputazione coatta per alcuni commenti su Facebook in cui si faceva riferimento, senza nominarlo, all'ex direttore di ViviEnna.
Si profila dunque un peculiare maxi-processo con 28 imputati accusati di aver diffamato il giornalista Primavera con i loro commenti su Facebook. A conferma che i nervi in questa vicenda sono scopertissimi, come ci ha insegnato il numero di querele (temerarie e tutte archiviate) di cui è stata bersaglio la corrispondente dell'Ansa Pierelisa Rizzo, colpevole di aver dato conto di un processo che si svolgeva a porte chiuse non a tutela delle vittime ma su richiesta dell'imputato.
Al punto che l'avvocato di don Rugolo, giunto appositamente da Ferrara, è riuscito a tuonare contro il “processo mediatico” per un dibattimento a porte chiuse.
Da leggere su Appunti
La battaglia per le teste degli studenti
La storia è una grande lezione di metodo: dobbiamo sempre chiederci come sappiamo quello che sappiamo
Un'inchiesta seria è tanto più apprezzabile, quanto più si attiene ai fatti registrati., senza commenti insistiti volti a influenzare il lettore. Ringrazio gli autori.
Ho seguito i due podcast, e devo dire che non trovo altre parole che " scandalo " x esprimere il sentimento che provo.
L'ipocrisia e la falsità che tutta la chiesa, papi compresi ovviamente , stanno dimostrando nei confronti di questo odioso fenomeno mi da il voltastomaco.
Ma quello che mi inorridisce di più è che parlandone con amici e conoscenti con cui condivido storia e cultura , ho scoperto che c'è molta diffidenza nei confronti dei media che hanno scoperchiato il fenomeno e indulgenza verso abusatori e dei loro difensori. Figuriamoci cosa può pensare chi è organico al mondo cattolico.