La battaglia per le teste degli studenti
Il centrodestra attacca il libro dello storico Carlo Greppi per i giudizi su Fratelli d’Italia, ma è il ministero di Valditara a usare la scuola a scopi politici
La storia è una grande lezione di metodo: dobbiamo sempre chiederci come sappiamo quello che sappiamo
Carlo Greppi
Giuseppe Valditara è il ministro più woke di questo governo. Perché soltanto chi ha una mentalità woke può pensare che cambiando il modo in cui si scrivono le parole si cambi la testa delle persone che usano quelle parole. E che cambiando le parole, cambino i comportamenti.
Qualche anno fa c’era la compianta Michela Murgia ad animare i dibattiti intorno all’uso della schwa per evitare che tutte le parole fossero declinate al maschile, così da sancire anche nell’uso della lingua l’affermazione del patriarcato che permea la società.
La schwa non ha avuto vita lunga, non mi pare che la usi quasi più nessuno, ma quell’idea woke che le parole plasmino la realtà è stata adottata dalla premier Giorgia Meloni, che parla solo di “nazione” invece che di Stato o di Repubblica e che si fa chiamare “presidente del Consiglio” al maschile. Come se questi accorgimenti stilistici, ripetuti a ogni occasione ufficiale, sedimentassero una certa idea di mondo, una idea di destra che si contrappone agli sforzi progressisti.
E ora c’è il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, al centro di costanti polemiche per le sue campagne soprattutto nominalistiche: come i vertici del Partito totalitario del libro 1984 di George Orwell, Valditara sembra convinto che dare nomi diversi alle stesse cose ne trasformi la natura più in profondità di quanto potrebbe mai fare una riforma tradizionale.
La nuova frontiera di questa fede nella grammatica è che non conta solo come chiamiamo le cose, ma anche come scriviamo i loro nomi. In una intervista a Libero, il ministro Valditara ha spiegato le ragioni della sua “lotta contro lo stampatello”, so che è un po’ difficile soffermarsi sulla sola idea senza sorriderne, ma per lui è una cosa serissima:
“Lo stampatello nel linguaggio social indica chi urla, il corsivo presuppone cura, attenzione, riflessione, è il contrario della sciatteria”, spiega il ministro che i social deve frequentarli assai poco.
Altrimenti ricorderebbe che una delle prime mode su TikTok è stata proprio quella del “corsivo” di Elisa Esposito, una breve stagione che non è rimasta nella memoria collettiva come dimostrazione di riflessione e profondità di pensiero.
Comunque, Valditara ha la fede di ogni profeta di quella cultura woke che tanto aborre: chiamare l’esame di Stato di nuovo “di maturità” lo renderà subito una questione più seria e meno burocratica.
E di fronte alla complessità, specie alla complessità tecnologica, sono le parole la difesa più efficace: basta una citazione di Cicerone e subito il ministro sente di poter ricondurre il grande dibattito sull’intelligenza artificiale a dimensioni gestibili per lui e per la scuola.
A forza di spostarsi a destra, insomma, il ministro Valditara finisce per abbracciare alcune convinzioni del campo più culturale a lui più distante. Non soltanto la fiducia nella potenza delle parole, ma anche l’avversione per smartphone e social che negli Stati Uniti e non solo è una questione molto progressista, roba da New York Times, mentre la destra trumpiana e sovranista si allea con le grandi aziende digitali e predica l’assenza di ogni regolamentazione.
Valditara è della Lega, e ha queste sue singolari idee, la sua battaglia è contro la scuola uscita dal Sessantotto, oggetto dei frequenti editoriali sul Corriere della Sera dello storico Ernesto Galli della Loggia che infatti il ministro ha voluto come consulente.
Nell’altro grande partito di governo, Fratelli d’Italia, c’è una attitudine più tradizionale - diciamo così - alla scuola, e più coerente con l’ossessione di quel mondo per il contrasto all’influenza progressista nel mondo della cultura.
Augusta Montaruli è una battagliera parlamentare di Fratelli d’Italia, è stata sottosegretaria all’Università, si è dovuta dimettere dopo la condanna in Cassazione per una questione di rimborsi spese quando era in Regione Piemonte. Di lei vengono sempre ricordate altre due cose.
La prima è una foto di quando militava nella destra universitaria, con il braccio teso nel saluto romano davanti al cartello di Predappio, il Paese di Benito Mussolini
La seconda è una bizzarra scelta dialettica, in un talk show su La7, nel quale Montaruli zittisce Marco Furfaro del Pd abbaiando.
Augusta Montaruli ora è al centro di un’altra vicenda che interseca le battaglie di Valditara. Ha denunciato il caso di un libro di testo per le scuole superiori nel quale c’è una breve sintesi della ascesa di Fratelli d’Italia che lei non ha gradito.
Il libro di testo è Trame nel tempo firmato da Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi e Carlo Greppi è pubblicato da Laterza (una casa editrice con cui collaboro anche io).
A pagina 666 si parla di Fratelli d’Italia, c’è un riferimento alla connessione del partito con la sua “base dichiaratamente fascista - come dimostra anche l’inchiesta di Fanpage del giugno 2024” e poi ci sono riferimenti ad alcuni provvedimenti approvati dalla maggioranza di governo che vengono presentati come “misure dichiaratamente liberticide”.
La Storia di tutti
La versione di Carlo Greppi
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