Appunti - di Stefano Feltri

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Il vuoto in fondo a destra

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Molti speravano che l'arrivo di Trump spingesse l'Unione europea a compattarsi. Sta succedendo il contrario, come dimostrano gli accordi sulle nomine della Commissione e il caos franco-tedesco

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Stefano Feltri
nov 23, 2024
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Appunti - di Stefano Feltri
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Il vuoto in fondo a destra
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Il caos trumpiano avanza, e nessuno in Europa riesce ad arginarlo. Speriamo che dal caos, come diceva Friedrich Nietzsche, a un certo punto esca una stella danzante e non un fungo atomico

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Quando è stato eletto Donald Trump, molti commentatori hanno espresso l’auspicio che, come reazione, l’Unione europea facesse qualche salto di personalità, e che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sviluppasse una leadership tale da bilanciare le incertezze che una seconda presidenza Trump comporta. 

Quello che abbiamo visto è qualcosa di molto diverso. L’ultima settimana di negoziati intorno alla Commissione è stata segnata da manovre di raro cinismo perfino per gli standard europei, con i partiti disposti a rischiare addirittura il collasso dell’intera Commissione von der Leyen per affermare il proprio potere, in modi che possono soltanto allontanare gli elettori. 

Altro che nascita di una Europa politica in risposta alle turbolenze americane, al massimo c’è il prevalere della politica sulle questioni strategiche. E di una politica sempre più di destra. 

Fitto e non solo

Se guardiamo ai negoziati dalla prospettiva di palazzo Chigi, tutto è bene quel che finisce bene: c’è l’accordo politico per avere Raffaele Fitto vicepresidente esecutivo della Commissione, come richiesto da Giorgia Meloni e come proposto al Parlamento da Ursula von der Leyen. 

I Socialisti e i Liberali hanno dovuto digerire che von der Leyen porti in una delle caselle più alte della Commissione un esponente di un partito che non appartiene alla coalizione che in teoria sostiene von der Leyen. 

I Conservatori e riformisti, in sigla Ecr, di Meloni sono fuori, ma il governo italiano ha indicato Fitto, che è di Fratelli d'Italia e dunque di Ecr. Avrebbe potuto scegliere qualcuno di Forza Italia, che è nel Partito popolare europeo e dunque nella coalizione di governo europea, ma ha puntato su Fitto. 

L’ala sinistra della maggioranza, durante le audizioni, ha cercato di tenere il punto anche se Fitto non viene dalla tradizione post-fascista che accomuna tanti in Fratelli d’Italia, è un democristiano transitato per Forza Italia e approdato al partito di Giorgia Meloni soltanto perché è quella la principale forza del centrodestra italiano. 

Ma Fitto non ha il profilo tipico del sovranista anti-europeo, anzi, è stato europarlamentare e ministro per gli Affari europei. 

Certo, il suo inglese che in teoria ha studiato per mesi in vista della nomina è stato appena sufficiente per leggere una dichiarazione programmatica, mentre per le altre domande dai parlamentari ha usato l’interprete. E le sue risposte sui dossier di competenza, a cominciare dal Pnrr, sono state un po’ vaghe, ma gli europarlamentari hanno visto di peggio. 

Il problema è che, mentre Socialisti e Liberali conducevano queste schermaglie di principio su Fitto sapendo di non poter ottenere quasi nulla, il Partito popolare europeo guidato da Manfred Weber ha tentato una spallata alla Commissione per espellere l’unica commissaria importante espressa da un governo socialista, cioè la spagnola Teresa Ribera, che nella squadra di von der Leyen deve occuparsi di concorrenza e transizione ecologica. E’ la vera numero due. 

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