17 Commenti

Mi ci ritrovo perfettamente

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Ciao Fabrizio! Nella tua perfetta descrizione del quadro festivo locale, io colgo un 'giovane' appena entrato nell'età nostalgica. Per inciso io questa età l'ho passata da parecchio, e non 'coltivo' più i bei ricordi che in te pulsano di vita e di entusiasmante osservazione. Ho, sì, ritrovato nel tuo 'quadro' una bella parte di atmosfera del mio paese com'era fino a parecchi (parecchi!!!) decenni fa. Un paese che da 8.000 abitanti è passato a 18.000, che da terra di emigrazione è diventato monopolio di immigrazione, non può proprio definirsi una comunità-specchio in cui 'riconoscersi'. Tuttavia c'è molto vero in ciò che esprimi, e condivido perfettamente il fatto che in certi 'bagni' di folla si va alla ricerca di qualcosa che solo l'inconscio (e non solo il palato) può davvero definire bene per ciascuno dei presenti. Io che alle sagre non vado più per tutti i motivi possibili e immaginabili, (e aggiungo purtroppo: dieta, età, un marito disincantato; ma dico anche per fortuna: nuovi interessi e viaggi), trovo illuminanti due punti ben evidenziati nel tuo racconto. Il primo è quel tuo "come da ragazzino", tornato 'alla base' dopo i ferragosti da evaso. Il secondo "Le radici!". Ecco. Il mistero delle sagre credo stia qui: per un verso nel bisogno, o larvata ricerca di fermare il tempo rivivendo il passato; per altro verso dar spazio a quella parte di sé che rimane simbioticamente legata ai luoghi della crescita, della prime conoscenze/esperienze del mondo... Detto ciò, caro Fabrizio, come vorrei poterci essere in una delle 'tue' sagre, camminare sulle 'tue' strade tenendoti per mano e chiederti di fare un ballo con me (a volte usano ancora, non solo concertoni). E immaginare che tu, come fossi mio figlio, mi sorridessi felice e volteggiassi con me! Grazie per questo bel sogno! Un abbraccio, Loretta (mamma di un 42enne 'lontano')

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Ciao Loretta, prima di tutto grazie per le belle parole e la condivisione. Da parte mia, ti assicuro, nessuna nostalgia. Il ricordo, così come l'osservazione delle realtà che vivo, quelle globali per lavoro e quelle locali per "costituzione", semplicemente mi interrogano sul presente e, soprattutto, sul futuro. Troppo spesso, immersi nell'immenso flusso di notizie, di reel, di post, perdiamo il contatto con la realtà che è, per fortuna, sempre più complessa e profonda di come viene rappresentata.

Guardare il "piccolo mondo" della mia terra di origine mi serve per tentare di salvarmi dagli effetti della miopia, così come da quelli della presbiopia, e non perdere il contatto con la vita delle persone. E ti assicuro che questo, per me che vivo di grandi, grandissimi numeri, è fondamentale per fare bene il mio lavoro e per cercare di essere, passami l'enormità, una persona degna. Un abbraccio.

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ago 29Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Grazie Fabrizio. Mi riporti alla memoria l'invito del Direttore dell'Istituto Salesiano ai primi anni delle Superiori di mio figlio. Invitava i ragazzi ad essere 'strabici', cioè a vedere/guardare con un occhio lontano e con l'altro vicino, proprio per conoscere il mondo 'largo' senza perdere il contatto con la realtà vicina. Quello è' stato un bell'insegnamento anche per me, sul quale ho continuato a riflettere e, nei miei limiti, ad 'aprirmi' tuttora. Lo scambio che mi hai offerto è per me un privilegio. Ho conosciuto davvero una persona 'degna' che onora anche me! Buona serata! e buona continuazione nel tuo impegno. Ciao!

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fossi matto che vado in quella confusione, baccano per vedere tanti che non conosco ed altri che conosco ma che non mi interessano.

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Che racconto commovente, mi ci sono tanto ritrovata. Mi ha ricordato la sensazione che provo quando, purtroppo raramente, torno in Sardegna, in un microscopico paese di montagna, dal Veneto dove vivo ormai da più di trent'anni. Rivedere i luoghi, le feste ma soprattutto le persone che rappresentano le mie radici mi commuove sempre e la sensazione che ho è quella di non essermene mai andata via.

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Bello il racconto. Il bisogno di conoscerci o ri-conoscersi al di fuori dello schermo del telefono indubbiamente c'è, o ci sarebbe. Se poi la sagra sia il momento più adatto non ne sono sicura. Passata la banda, gli sbandieratori e i santi ondeggianti sulle spalle dei "prescelti" rimane qualcosa oltre al "anche tu quì"? :-)

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

In vacanza in una cittadina di mare in Campania, cilento, incontro la processione per Maria Assunta, come si conviene a ferragosto.

Caldo asfissiante e la giovane commessa del negozio mi dice, ho messo i pantaloni lunghi oggi, perchè passava la madonna in processione questo pomeriggio, ma sto proprio morendo di caldo.

Ecco la frase di questa ventenne al lavoro a ferragosto che per rispetto non aveva indossato dei pantaloncini mi ha ricordato come eravamo 40 anni fa, e sebbene non sia credente mi ha scaldato il cuore :-)

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Sì sì evviva Sarocco, tutto vero e bello. Qui in Svizzera questi riti sono molto popolari e frequentati sebbene un buon 25% degli abitanti sia di origine straniera. Ma è un gran segno di integrazione

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Che bello questo racconto! Poesia nel bello e nel triste. Durante la lettura ho sentito quell'odore, che nelle sagre è sempre profumo, di fritto e di dolci. Non sono più le stesse aggregazioni di tempo fa, ma ne sono legata, diciamo, per nostalgia. Insomma, si cambia per non cambiare mai

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Mi rendo conto di essere senza radici proprio durante la sagra del mio paese, che grida a squarciagola Pizze fritte... e anche qui un San Rocco con gli occhi che ti culminano. Sona nata e vissuta a Roma e in queste occasioni non riesco ad entrare. Piuttosto mi piace sedermi al bar della piazza e osservare le persone e inventare storie. Quelle più belle sono già passate di bocca in bocca...

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Molto carino e vero. E da' pienamente ragione alla intelligente presentazione che ne ha fatto Stefano Feltri.

Solo una cosa, per la verità, non torna, e penso debba essere esplicitamente rettificata:

vabbe' SanRocco, vabbè San Biagio... ma a San Defendente non lo batte nessuno - non dimentichiamolo, sennò ti voglio vedere a passare indenne per certi centri della bassa padana.. 🙄😊

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Le sagre ovvero lunghe code per mangiare cibo non proprio prelibato. Quelle che non sopporto proprio però sono quelle appena inventate, per acchiappare turisti ignari delle tradizioni del posto, a cui viene venduta la sagra come un evento tradizionale che si perde nelle notte dei tempi. E tu che invece in quel luogo di mare, ora turistico, ci sei nato e non ne avevi mai sentito parlare. Nascono d’improvviso sagre per ogni cibo, dalle lagane con i ceci, alla mozzarella, al pesce fritto. Si arriva in questi Borghi meravigliosi trasformati in enormi sale da pranzo per mangiare in piatti di plastica pietanze buone ma fredde, abbarbicati su gradini o spiaccicati su marciapiedi o semplicemente in piedi.

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ago 27·modificato ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Un Tesseri un po' commosso, poetico, nostalgico, che vorrei abbracciare. Qui da me in Alta Langa, nella fattispecie a Cortemilia i Santi patroni sono due, storicamente molto nemici e l'un contro l'altro armati: san Pantaleone ( medico e martire di una qualche persecuzione...) e san Michele (questo chi non lo conosce?). Si facevano feste rivali, processioni rivali, ormai abbandonate, chiese semivuote alle rispettive ricorrenze religiose, le feste rivali andate progressivamente in disuso: anche la fiera ostilità borghigiana finisce di non avere più rimpiazzi. Abbiamo anche qui un San Rocco, extra moenia, dove abitano letteralmente quattro gatti, stranieri compresi, e caparbiamente organizzano una messa nella cappella del cimitero e una festicciuola di famiglia al ristorante dove non mi risulta che nessuna gridi "Viva Sarrocco". Paese della Nocciola Tonda Gentile Trilobata che noi autoreferenzialmente proclamiamo La Più Buona del Mondo, tributaria dei Signori della Nutella (la Ferrero albese, per i 25 abitanti dell'orbe che non ne sapessero ancora...), un sindaco lungimirante si inventò nei primi anni '50 una Sagra della Nocciola, di cui è appena terminata, col nome di Fiera Nazionale, la 70esima edizione. Non ne faccio la storia e non ne descrivo i fasti. Il Nocciolo è un alberello con radici, ma in tutta sincerità, anche come "attivista" sagraiolo, non vedo convergere qui molta gente alla ricerca di "radici". L'impianto è mangiativo: una colossale e redditizia camminata enogastronomica, e poi in settimana bancarelle ed eventi più o meno significativi che attraggono quantità non esaltanti di popolo: si finisce per fare come nelle manifestazioni partitiche o sindacali: gli organizzatori sparano diecimila, ventimila; la questura (in questo caso un osservatore obiettivo e magari un po' cinico) suggerisce 1000, a esser buoni 1500. Concertone di Orietta Berti ottuagenaria con 3000 persone! Grandioso, almeno per noi. Io, anche se sono locale e lo sono stabilmente da oltre 40 anni, non vedo molte radici, non vedo quella gran voglia di identità collettiva. Ci si ritrova certo per vedere gente, per stare con la gente, mangiare e bere con la gente, ma in modo comunque corpuscolare, parcellizzato, ognuno si vede con la "sua" gente, con quella parla ride scherza e "che tempi signora mia...", su qualche migliaio di mangianti e beventi tutti insieme ti ritrovi con tre quattro dieci, quindici, facciamo venti. Non colgo una corrente comune, è un'aggregazione che comunica poco, non c'è affatto un "idem sentire", non si coglie per nulla quello che potrebbe concretizzarsi in qualcosa di comune anche, e necessariamente, sociale e politico. Non credo neanche al "Viva Sarrocco" di Ferretti. "Passata la festa gabbato lo santo": il motto può avere molteplici livelli di lettura, finita la processione dove c'è, o la strippazzata, ognuno per sè. Alla fine delle sagre, dopo la breve ipnosi collettiva dei fuochi d'artificio, da anni osservo, e dico anche con una certa malinconia, la diaspora un po' affannata di chi va a cercare l'auto per andarsene, i brevi ingorghi, gli ultimi schiamazzi, una mezz'ora, un'ora e le piazze e le vie ridiventano deserte, un po' sporche, gli addetti di Comune e Pro Loco, e molti volontari, si affannano per un po' a riordinare. Le giostre -regolarmente sottofrequentate...- che hanno imperversato rudemente sotto le mie finestre con miliardi di decibel si affannano a sbaraccare...La mattina dopo (ieri mattina, per la precisione cronologica) tutto come prima. Tutto come se nulla fosse successo.

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Panem et circenses...superbonus e pasta e fagioli. Paesi di pietra diventati pericolosissime torri dei morì milanesi e gli stessi questuanti per la festa hanno appena finito di firmare fatture per centinaia di migliaia di euro spese su case di nessun valore. Ovviamente, tutti in tunica bianca e rossa dietro il santo di turno. Continuo a fuggirmene e a non godermi questo sano ritorno al sentimento di comunità. Quale? Quella dell'arraffa arraffa? Sono certo che quel che accade al mio paese non accade al paese degli altri, Tesseri compreso. Un abbraccio ai tanti fortunati e commossi.

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Ognuno di noi ha il suo Sanrocco. Grazie per la bella riflessione.

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ago 27Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Condivido questa riflessione. Anche io, da bambina, avevo il mio San Rocco, nel paese di origine di mio padre, in provincia di Avellino. Arrivavano da ogni parte, dall'America addirittura! E sì, ci si ritrovava e ci si sentiva accomunati in processione dietro al Santo.

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