Il governo laburista ha spinto il parlamento a votare in modo trasversale un intervento di emergenza per tenere aperti gli altiforni di British Steel. L’inizio di una nuova epoca?
Uk seppur in declino da decenni continua a ragionare da impero. Come anche il pezzo riporta l’acciaio è considerato un comparto base per la produzione di armi e quindi deve rimanere sotto controllo. Attenzione sotto controllo non vuol dire di proprieta’ pubblica, quello è un dettaglio. Un asset può essere sotto controllo anche se detenuto da privati (vedi big tech usa e vicenda tik tok)
Tutte le sovrastrutture economiche contano davvero poco quando parliamo di imperi. Comunisti e capitalisti, categorie iper rilevanti soprattutto nella narrazione italiana, sono tutti d’accordo quando c’è l’interesse nazionale o imperiale da tutelare.
Ah poi, cosa centri la Brexit in questa vicenda faccio fatica a capirlo. Altra visione distorta del dibattito italiano: considerare la Brexit una questione economica quando invece si è trattato di una forte scelta politica che nessun partito ha più messo in discussione.
Per me quanto successo per l’acciaio inglese e la sostanziale unità delle forze politiche per i provvedimenti presi al riguardo e’ un sintomo che travalica gli usuali schemi.
Vorrei ricordare che negli ultimi cinquant’anni, il pensiero economico dominante in Occidente si è fondato sull’idea di globalizzazione: una convinzione radicata che questa era l’unica strada per la miglior crescita economica, tecnologica e culturale che tra l’altro avrebbe anche favorito la cooperazione tra gli Stati, portandoli a superare antichi nazionalismi in nome di un interesse comune globale. Questa visione ha permeato tanto la politica quanto l’economia, spingendo verso la costruzione di mercati integrati, organismi sovranazionali e catene produttive senza confini.
Oggi, però, questo paradigma mostra profonde crepe. L’intensificazione degli scambi e delle interdipendenze, anziché consolidare l’unità politica tra i Paesi, ha spesso accentuato le tensioni interne, alimentando una nuova stagione di sovranismi. Le crisi economiche, le diseguaglianze, i conflitti geopolitici e le fragilità emerse nelle catene globali di approvvigionamento hanno spinto molte nazioni a rivalutare il concetto di autonomia, sicurezza e identità nazionale.
Da un lato abbiamo ancora la retorica della globalizzazione che informa molte élite politiche e culturali; dall’altro, una realtà fatta di barriere commerciali, chiusure strategiche e crescente sfiducia reciproca.
In questo scenario, il sogno di un “mondo senza confini” si sta rapidamente trasformando in un mosaico di interessi nazionali sempre più conflittuali e gli Inglesi,con il loro storico pragmatismo,mi sembra si siano muovendo verso questa nuova realtà
Uk seppur in declino da decenni continua a ragionare da impero. Come anche il pezzo riporta l’acciaio è considerato un comparto base per la produzione di armi e quindi deve rimanere sotto controllo. Attenzione sotto controllo non vuol dire di proprieta’ pubblica, quello è un dettaglio. Un asset può essere sotto controllo anche se detenuto da privati (vedi big tech usa e vicenda tik tok)
Tutte le sovrastrutture economiche contano davvero poco quando parliamo di imperi. Comunisti e capitalisti, categorie iper rilevanti soprattutto nella narrazione italiana, sono tutti d’accordo quando c’è l’interesse nazionale o imperiale da tutelare.
Ah poi, cosa centri la Brexit in questa vicenda faccio fatica a capirlo. Altra visione distorta del dibattito italiano: considerare la Brexit una questione economica quando invece si è trattato di una forte scelta politica che nessun partito ha più messo in discussione.
Per me quanto successo per l’acciaio inglese e la sostanziale unità delle forze politiche per i provvedimenti presi al riguardo e’ un sintomo che travalica gli usuali schemi.
Vorrei ricordare che negli ultimi cinquant’anni, il pensiero economico dominante in Occidente si è fondato sull’idea di globalizzazione: una convinzione radicata che questa era l’unica strada per la miglior crescita economica, tecnologica e culturale che tra l’altro avrebbe anche favorito la cooperazione tra gli Stati, portandoli a superare antichi nazionalismi in nome di un interesse comune globale. Questa visione ha permeato tanto la politica quanto l’economia, spingendo verso la costruzione di mercati integrati, organismi sovranazionali e catene produttive senza confini.
Oggi, però, questo paradigma mostra profonde crepe. L’intensificazione degli scambi e delle interdipendenze, anziché consolidare l’unità politica tra i Paesi, ha spesso accentuato le tensioni interne, alimentando una nuova stagione di sovranismi. Le crisi economiche, le diseguaglianze, i conflitti geopolitici e le fragilità emerse nelle catene globali di approvvigionamento hanno spinto molte nazioni a rivalutare il concetto di autonomia, sicurezza e identità nazionale.
Da un lato abbiamo ancora la retorica della globalizzazione che informa molte élite politiche e culturali; dall’altro, una realtà fatta di barriere commerciali, chiusure strategiche e crescente sfiducia reciproca.
In questo scenario, il sogno di un “mondo senza confini” si sta rapidamente trasformando in un mosaico di interessi nazionali sempre più conflittuali e gli Inglesi,con il loro storico pragmatismo,mi sembra si siano muovendo verso questa nuova realtà