I paradossi della (quasi) nazionalizzazione delle acciaierie inglesi
Il governo laburista ha spinto il parlamento a votare in modo trasversale un intervento di emergenza per tenere aperti gli altiforni di British Steel. L’inizio di una nuova epoca?
Che paradosso: il governo guidato da Keir Starmer, accusato di aver tradito il proprio mandato e di essersi ‘venduto al capitale’ in meno di 48 ore ha (quasi)nazionalizzato il più grande stabilimento inglese di produzione dell’acciaio
Marzia Maccaferri
Un procedimento d’emergenza per salvare gli altiforni della British Steel a Scunthorpe è diventato legge in tempi record.
Il Parlamento britannico, richiamato eccezionalmente dalle ferie pasquali lo scorso 12 aprile – la prima seduta straordinaria di sabato in oltre 40 anni – ha approvato in un solo giorno una nuova normativa che consente al governo di entrare nel management dell’azienda cinese Jingye, proprietaria degli stabilimenti e accusata di voler boicottare la produzione per spingere l’importazione diretta del prodotto finito dalla Cina.
La legislazione prevede l’autorizzazione all’acquisto di materie prime, sospeso dall’azienda cinese da tempo, al fine di garantire la continuità della produzione e il pagamento degli stipendi di circa 3.500 lavoratori.
In casi estremi, è previsto l’uso della forza.
Il primo carico di materiale grezzo, inviato dagli Stati Uniti, è arrivato nel porto di Immingham, North Lincolnshire, martedì mattina e sosterrà la produzione per alcune settimane.
Non si tratta, chiariamolo fin da subito, della nazionalizzazione della British Steel, come qualche ingenuo commentatore ha festeggiato sulla stampa, anche quella italiana.
Tuttavia, è questa una legge-tampone il cui esito finale, ha precisato il ministro per le Imprese Jonathan Reynolds, rimane con tutta probabilità la ‘proprietà pubblica’.
Che paradosso: il governo laburista guidato da Keir Starmer, accusato di aver tradito il proprio mandato e di essersi ‘venduto al capitale’, di aver riproposto un blairismo fuori tempo implementando una sfacciata politica neoliberista, in meno di 48 ore ha (quasi)nazionalizzato il più grande stabilimento inglese di produzione dell’acciaio.
Certamente ha aiutato il fatto che i precedenti governi conservatori siano i responsabili della contorta situazione in cui un nodo industriale strategico come l’autosufficienza della lavorazione dell’acciaio sia finito in mano a una ‘potenza straniera’, espressione d’altri tempi ora tornata di moda.
L’ennesimo esempio della politica miope e isolazionista seguita alla Brexit, che è ormai diventata il prototipo dell’autolesionismo economico globale imposto da Trump, come ha scritto il New York Times. Un primato non invidiabile.
Ma non illudiamoci che la tutela dei posti di lavoro sia il motivo principale dell’ennesima u-turn – perché sì, anche questa è una radicale retromarcia del primo ministro visto che durante la campagna elettorale per enfatizzare le distanze dal suo predecessore, Starmer aveva escluso qualsiasi nazionalizzazione.
Potrebbe infatti sembrare un episodio minore, un parziale tentativo di spostare l’attenzione dai veri problemi, come l’economia o lo sciopero dei netturbini a Birmingham. Ma la politica – e la storia – sono processi un po’ più complicati e contraddittori e vanno analizzati con lenti meno sfuocate.
La legislazione d’urgenza ha visto il consenso di quasi tutto il parlamento dimostrando come il governo non sia per nulla in difficoltà; si è trattato di un voto bipartisan sostenuto dalla destra ultraliberista e perfino dai parlamentari di Reform che chiedono un’immediata nazionalizzazione.
Effetto guerra
Da un punto di vista simbolico, la (quasi)nazionalizzazione è stata spinta dalla nuova ‘tolleranza’ alla politica del riarmo: uno slittamento del discorso pubblico iniziato da anni e per il quale la guerra in Ucraina ha giocato il ruolo principale.
A questo si è sommata la cultura del ‘salviamo una eccellenza britannica’, nella versione nazionalista, e quella paternalista del ‘salviamo i posti di lavoro inglesi’.
Il paradosso di un ‘governo neoliberalista’ che opta per una ‘politica di sinistra’ a sostegno di un comparto industriale considerato strategico nel nuovo ordine geopolitico ha ottenuto pure il (tiepido e ipocrita) consenso di pacifisti á la Corbyn e di gruppi extraparlamentari di sinistra che, con una posizione analoga a quella di Nigel Farage, ne chiedono l’effettiva nazionalizzazione.
Senza voler cadere in un banale realismo politico da bar sport, sebbene nessuno lo dica apertamente, il vero timore che ha ‘unito’ il Parlamento è stato quello di non riuscire a produrre le proprie armi.
Come le nazionalizzazioni del governo Attlee nel secondo dopoguerra non sarebbero state possibili senza l’accentramento amministrativo e simbolico imposto dallo sforzo bellico, con le dovute differenze di contestualizzazione, l’interventismo di Starmer ci segnala quanto la situazione sia cambiata; e quanto miope sia continuare a usare gli strumenti della fase precedente per interpretarla.
Il paese della Thatcher e di Blair non esiste più, e da un pezzo. Quali strumenti politici e simbolici questo governo laburista possegga per muoversi nel nuovo contesto, beh, questa rimane ancora una domanda senza una risposta certa. Il primo segnale, forse, va ricercato nell’annuncio nelle celebrazioni ufficiali per gli 80 anni della fine della seconda guerra mondiale.
Se, come riteneva George Orwell, la cultura inglese la si comprende appieno soltanto dagli sgabelli di un pub, allora forse l’annuncio che in occasione del V-Day i pub potranno rimanere aperti straordinariamente fino all’1 di notte, è un primo segnale.
I nuovi seminari dello Spykman Center
La nuova inchiesta podcast
La Scomunica - Episodio 1: Parole e fatti
Perché Papa Francesco ha coperto i peggiori scandali sessuali della Chiesa mentre in pubblico prometteva la massima intransigenza?
La Scomunica - Episodio 2: L'amico vestito di bianco
Gli scandali sessuali hanno segnato la storia recente della Chiesa, e gettano un’ombra sul papato di Francesco che si è appena concluso. Il Vaticano sa, ha sempre saputo, anceh e soprattutto durante gli anni di Jorge Mario Bergoglio, quando i problemi tanto a lungo nascosti sono emersi.
Se vuoi sostenere Appunti, uno spazio di informazione e di analisi libero che si regge su lettrici e lettori, il modo migliore è regalare un abbonamento a qualcuno a cui tieni
Da leggere su Appunti
Geopolitica di un Papa di transizione
La scelta dell’impopolare battaglia contro la legalizzazione dell’aborto, per esempio, fu fatta proprio per consolidare una minoranza organizzata e fortemente motivata intorno ai famosi principi «non negoziabili» controcorrente. Una Chiesa democratica si farebbe condizionare dallo spirito del tempo e perderebbe la sua identità, finendo con l’essere indistinguibile
Per me quanto successo per l’acciaio inglese e la sostanziale unità delle forze politiche per i provvedimenti presi al riguardo e’ un sintomo che travalica gli usuali schemi.
Vorrei ricordare che negli ultimi cinquant’anni, il pensiero economico dominante in Occidente si è fondato sull’idea di globalizzazione: una convinzione radicata che questa era l’unica strada per la miglior crescita economica, tecnologica e culturale che tra l’altro avrebbe anche favorito la cooperazione tra gli Stati, portandoli a superare antichi nazionalismi in nome di un interesse comune globale. Questa visione ha permeato tanto la politica quanto l’economia, spingendo verso la costruzione di mercati integrati, organismi sovranazionali e catene produttive senza confini.
Oggi, però, questo paradigma mostra profonde crepe. L’intensificazione degli scambi e delle interdipendenze, anziché consolidare l’unità politica tra i Paesi, ha spesso accentuato le tensioni interne, alimentando una nuova stagione di sovranismi. Le crisi economiche, le diseguaglianze, i conflitti geopolitici e le fragilità emerse nelle catene globali di approvvigionamento hanno spinto molte nazioni a rivalutare il concetto di autonomia, sicurezza e identità nazionale.
Da un lato abbiamo ancora la retorica della globalizzazione che informa molte élite politiche e culturali; dall’altro, una realtà fatta di barriere commerciali, chiusure strategiche e crescente sfiducia reciproca.
In questo scenario, il sogno di un “mondo senza confini” si sta rapidamente trasformando in un mosaico di interessi nazionali sempre più conflittuali e gli Inglesi,con il loro storico pragmatismo,mi sembra si siano muovendo verso questa nuova realtà
Uk seppur in declino da decenni continua a ragionare da impero. Come anche il pezzo riporta l’acciaio è considerato un comparto base per la produzione di armi e quindi deve rimanere sotto controllo. Attenzione sotto controllo non vuol dire di proprieta’ pubblica, quello è un dettaglio. Un asset può essere sotto controllo anche se detenuto da privati (vedi big tech usa e vicenda tik tok)
Tutte le sovrastrutture economiche contano davvero poco quando parliamo di imperi. Comunisti e capitalisti, categorie iper rilevanti soprattutto nella narrazione italiana, sono tutti d’accordo quando c’è l’interesse nazionale o imperiale da tutelare.
Ah poi, cosa centri la Brexit in questa vicenda faccio fatica a capirlo. Altra visione distorta del dibattito italiano: considerare la Brexit una questione economica quando invece si è trattato di una forte scelta politica che nessun partito ha più messo in discussione.