Essere è avere
IL DIBATTITO DI APPUNTI - E se la rabbia che pervade le società occidentali fosse la sublimazione dell’individualismo metodologico che è a fondamento del liberalismo economico e sociale ?
Cos’è la prevalenza dell’identità se non il frutto di una delle tecniche base del marketing, la segmentazione della clientela attuale o potenziale?
Fabrizio Tesseri
Buongiorno a tutte e tutti,
L'ultimo pezzo di Giorgio Meletti ha riportato nel dibattito estivo di Appunti sulla politica della rabbia la dimensione economica, e ha suscitato un vivace dibattito nella comunità.
Oggi interviene Fabrizio Tesseri che - a modo suo - ci spinge a ragionare sul rapporto tra rabbia, lavoro, consumi, status, da un’altra prospettiva.
Fabrizio è un importante funzionario pubblico che però quando scrive per Appunti usa molto come chiave interpretativa la sua profonda conoscenza del territorio da cui viene e dove è rimasto a vivere, quello di Latina e dell’Agro Pontino. Un prisma attraverso il quale osservare dinamiche generali e di lungo periodo.
Come tutti i suoi pezzi per Appunti, anche questo è insieme profondo, perfino poetico, e spiazzante.
Buona lettura e, spero per quasi tutti e tutte voi, buone vacanze
Stefano
Il dibattito di Appunti - Come rispondere alla rabbia
I sostenitori della democrazia liberale sembrano destinati a diventare una frustrata minoranza, per effetto della rapida scomparsa dei partiti più moderati, per l’ascesa delle destre radicali e per l’affermarsi di figure e forze anti-sistema, non più soltanto populiste ma anti-democratiche.
Da Donald Trump negli Stati Uniti, ad Alternative für Deutschland in Germania, a Nigel Farage in Gran Bretagna, a Marine Le Pen e Jordan Bardella in Francia.
Questo rinnovato successo delle foze più antidemocratiche ha colto molti di sorpresa e suscita sconcerto.
Cosa si può fare? Ne discutiamo su Appunti per tutta l’estate a partire dal libro di Carlo Invernizzi-Accetti Vent’anni di rabbia (Mondadori)
Il marketing della solitudine
di Fabrizio Tesseri
E se la rabbia che pervade le società occidentali fosse proprio la sublimazione dell’individualismo metodologico che è a fondamento del liberalismo economico e sociale che prevale in gran parte dell’Occidente?
La suggestione mi viene suggerita dalla contemporanea lettura del bellissimo dibattito sulla rabbia qui su Appunti (e l’intervento di Gloria Origgi cita in apertura proprio l’individualismo metodologico) e dell’ultimo saggio di Francesco Costa, Frontiera, edito da Mondadori. In particolare, il capitolo Identità che, guarda caso, precede il capitolo intitolato Violenza.
L’atomizzazione della società contemporanea, facilitata e sfruttata dai social media, ha come risultato, tra gli altri, proprio l’estremizzazione delle pulsioni identitarie. Non più e non solo, riferite a gruppi più o meno omogenei, ma a livello individuale.
Nessuna coscienza o contrapposizione di classe, nemmeno tra comunità, ma un confronto continuo tra sé e generici altri o un altro, ben definito.
Così, anche in Paesi come gli Stati Uniti, in cui il reddito medio pro-capite continua a crescere e dove la condizione individuale presente, nonostante le enormi diseguaglianze distributive, se confrontata al passato, recente o remoto, è migliore, quando non nettamente migliore di prima, le persone si percepiscono impoverite, discriminate, escluse. E si arrabbiano.
Il negative bias regna sovrano, non solo sul web e sui social, e spesso assume la forma inconsapevole di autocommiserazione, nel confronto con modelli idilliaci impersonati da influencer, star dello sport o dello spettacolo, politici, che usano i social esattamente allo stesso modo, per promuovere se stessi e non un’idea, valori.
E noi tutti, formati da decenni di promozione dell’individualità, del leaderismo, della performance, troviamo sempre più difficile sentirci e dirci tutto sommato soddisfatti. E ci arrabbiamo.
Vabbè, scendo di tre o quattro livelli, non che pensi di essere stato chissà dove finora, e torno al mio registro e alle storie che conosco e che vivo.
La prevalenza del bar
Qui da me, il Comune ha asfaltato la strada principale che esce dalla città, partendo da uno degli assi di sviluppo urbanistico e commerciale principale degli ultimi venti anni, attraversando una periferia residenziale, prima di dirigersi verso il capoluogo di provincia, “la grande città del Nord” cantata anni fa da De Gregori. Una strada a grande traffico, percorsa da tutti, qui, e per tutti frutto di continue imprecazioni per le buche. Da vent’anni.
Buche? Più che altro era un percorso fuoristrada in asfalto di diverse epoche, colore, consistenza. Il Comune, dopo oltre vent’anni, ha asfaltato tutto il tratto di propria competenza, fino al centro della città, circa 3 chilometri, stando a Google Maps. Beh, i commenti sui social sono stati per il 90 per cento del tipo “sì, ma sotto casa mia ci sono le voragini”.
È un esempio, semplice e apparentemente fuori scala rispetto ai temi del dibattito, ma credo che in verità sia perfettamente coerente con la dominanza della rabbia, del risentimento, su qualsiasi discorso Politico, maiuscolo.
È il rovesciamento, uguale e contrario, della sindrome Nimby, con un connotato individuale molto marcato: “non asfaltate la strada davanti casa mia perché non ve ne frega niente di me!”
Inoltre, se “Io” è quello che conta, una conseguenza quasi grammaticale è che conti soprattutto ciò che è, non è o che sento essere “mio”. Essere è avere.
E allora la macchina grande, l’esibizione di ricchezza, presunta o reale, come esibizione di sé, accompagnata sempre, sempre, da discorsi su come vada tutto male, su quelli che ti rubano il lavoro, sulla criminalità (tutte le statistiche sui reati comuni sono in calo da anni), sulla politica che è solo per tutelare “gli altri”, sulle tasse che sono troppe, è tutto uno schifo. E intanto hai fatturato, guadagnato, speso, più dello scorso anno.
Il bar, insomma. La prevalenza del bar. In formato diffuso, social.
D’altra parte, le sezioni dei partiti non ci sono più. Ci sono al massimo dei comitati elettorali di singoli candidati che tirano su le serrande a ogni tornata elettorale. I giornali stampano poche copie, ne vendono ancora meno e quelle lette lasciamo stare. Quasi tutto ridotto a clickbait cartaceo.
La discussione pubblica è inesistente. Qualche isola di nuova formazione in questo mare deserto di dati, notizie e poca informazione.
Su queste “pagine” di Appunti, per esempio, poche settimane fa c’è stato un dibattito su un’auspicata democrazia diretta su base “elettronica” e una rinnovata democrazia rappresentativa, con la prima che va esattamente nella stessa direzione di ritenere superata e superabile qualsiasi elaborazione collettiva a favore di un assemblearismo digitale permanente.
La democrazia dei “Napalm 51”, estremizzo e semplifico.
Ecco, penso che siamo all’interno dello stesso dibattito: occorre indagare e comprendere la rabbia e trovare delle risposte, un superamento, culturale e politico. Costruire rappresentanza e non assecondare, inseguire, facilitare l’identitarismo.
Un club troppo esclusivo
Propongo una provocazione: cos’è la prevalenza dell’identità se non il frutto di una delle tecniche base del marketing, la segmentazione della clientela attuale o potenziale?
Siamo passati dalla famiglia del Mulino Bianco, modello tanto irrealistico quanto aspirazionale, all’illusione del prodotto o servizio su misura individuale, personalizzato, sempre e ovunque.
È tutto un’esperienza ritagliata sulla mia necessità o aspettativa, che magari non so ancora di avere. Il gelato mora e lavanda o la camminata a piedi nudi nell’acqua fredda e calda. Sì, lo so ha un nome che fa tanto benessere nordico, ma è marketing. È acqua calda e fredda. Appunto.
Nel suo saggio Francesco Costa mette in risalto come la risposta politica della sinistra alla prevalenza dell’identità individuale negli Stati Uniti sia stata quella di esasperare ancora di più il concetto stesso di identità, pensando illusoriamente di includere tutti nel riconoscimento puntuale di diritti, prerogative, bisogni, ma sempre su base identitaria, mai collettiva. L’aggiunta di tutte le lettere dell’alfabeto all’acronimo LGBT.
Usando gli schemi dell’individualismo metodologico e la sua declinazione nella Teoria dei Club di James Buchanan, è come se immaginassimo un grande club, di cui tutti gli individui esistenti possono far parte a pieno titolo, ognuno con le sue specificità.
Paradossalmente, ma nemmeno tanto, ciò può essere equivalente ad avere un club con un singolo membro e tanti club quanti sono gli individui. In queste condizioni però, senza una regola “costituzionale” che governi il “mega club” o la moltitudine di club, si cade nel conflitto permanente.
Nella società gassosa, altro che liquida. E gli atomi, nei gas, si scontrano molto di più che nei liquidi, sono più instabili, più arrabbiati.
E qui entra in gioco un grande filosofo sociale che, per primo, ha analizzato il fenomeno dell’identità e della rabbia: Marx, Groucho Marx, che brillantemente diceva di sé: “non vorrei mai far parte di un club che mi accettasse tra i suoi membri”.
Ecco, credo che sia tempo di uscire dal marketing, dalla personalizzazione, e cercare di recuperare una dimensione collettiva, nella contemporaneità, certo, ma che vada oltre l’ombelico di ognuno.
Tornare a ragionare come individui con i propri simili, in club più numerosi di noi stessi, meno numerosi che l’intero. Alcuni più esclusivi di altri, coltivando l’ambizione di aderire a un club più prestigioso.
E magari, riconoscendoci simili ad altri, un po’ della rabbia potrebbe iniziare a trasformarsi in Politica, maiuscolo.
Grazie per l'ottima riflessione, ricca di significato. In particolare, mi è piaciuta la frase "una società gassosa" più che liquida. Inoltre, trovo molto importante il concetto di "Tornare a ragionare come individui con i propri simili...". Sono tutti concetti di estrema rilevanza. Per fare ciò, a mio avviso, bisogna iniziare dai codici (valori e linguaggi) degli individui di oggi. Certo, sarebbe bello e giusto iniziare dal marketing, e concordo con l'idea, ma non è sufficiente per cambiare il punto di vista di milioni di persone, giovani compresi. Bisogna creare uno storytelling che parta dalla rabbia e dall'ignoranza dell'individuo per portare a uno scontro emotivo di un protagonista con ciò che ci lega ai nostri simili: l'emozione e l'empatia. La politica è troppo spesso un'astrazione e troppo lontana dalla logica individualista. Il marketing è sicuramente una leva importante, ma va coordinato con una più ampia visione di comunicazione. Comunque, complimenti davvero e grazie per l'importante riflessione.
Complimenti per la lucidità e la chiarezza dell'analisi. Sono totalmente d'accordo: tutti gli schemi sociali in cui siamo inquadrati spingono ad elevare l'individualità a protagonista del vivere. Se sto bene io, stanno bene tutti. Ciò che penso io è la verità assoluta. Quel che piace a me è sicuramente la scelta migliore. E chissenefrega di quel che fanno, pensano, sognano gli altri. Accade nella società, sul lavoro, in famiglia. E i social network, lungi dall'aver avvicinato le persone, le hanno rese ancora più distanti, sconosciute, finte, ostili.