8 Commenti
ago 21Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Grazie per l'ottima riflessione, ricca di significato. In particolare, mi è piaciuta la frase "una società gassosa" più che liquida. Inoltre, trovo molto importante il concetto di "Tornare a ragionare come individui con i propri simili...". Sono tutti concetti di estrema rilevanza. Per fare ciò, a mio avviso, bisogna iniziare dai codici (valori e linguaggi) degli individui di oggi. Certo, sarebbe bello e giusto iniziare dal marketing, e concordo con l'idea, ma non è sufficiente per cambiare il punto di vista di milioni di persone, giovani compresi. Bisogna creare uno storytelling che parta dalla rabbia e dall'ignoranza dell'individuo per portare a uno scontro emotivo di un protagonista con ciò che ci lega ai nostri simili: l'emozione e l'empatia. La politica è troppo spesso un'astrazione e troppo lontana dalla logica individualista. Il marketing è sicuramente una leva importante, ma va coordinato con una più ampia visione di comunicazione. Comunque, complimenti davvero e grazie per l'importante riflessione.

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ago 13Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Complimenti per la lucidità e la chiarezza dell'analisi. Sono totalmente d'accordo: tutti gli schemi sociali in cui siamo inquadrati spingono ad elevare l'individualità a protagonista del vivere. Se sto bene io, stanno bene tutti. Ciò che penso io è la verità assoluta. Quel che piace a me è sicuramente la scelta migliore. E chissenefrega di quel che fanno, pensano, sognano gli altri. Accade nella società, sul lavoro, in famiglia. E i social network, lungi dall'aver avvicinato le persone, le hanno rese ancora più distanti, sconosciute, finte, ostili.

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ago 13Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Ottimo, si capisce quel che vuole dire. Condivido.

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Vorrei offrire uno spunto più che un giudizio, perché è da un po' che ci penso, ma non ho ancora definito un quadro sufficientemente articolato: È il libro di Giorgia Serughetti dal tito La società esiste (ediz.Tempi nuovi ) che mi sembra caschi a fagiolo in questa discussione e integrativa del post a cui rispondo. Il punto di snodo fra la società sociale (mi scuso per il gioco di parole) e la ricerca di identità attuale sta proprio nel motto thatcheriano "La società non esiste, esiste solo l'individuo" L'arduo problema, oggi è reinventare spazi collettivi, giacché la rabbia è figlia dell'impotenza dell'individuo rispetto all'inaudita concentrazione di potere dei nuovi media

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ago 12Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Che il liberalismo economico ci abbia reso monadi insoddisfatte e rabbiose è ormai evidente da decenni, i social media, non so sinceramente con quanta predeterminazione, ma sicuramente con spirito da conquistadores di lande pubblicitarie inesplorate, hanno solo amplificato a dismisura il fenomeno, a cui sembra impossibile opporsi, pena l’esclusione da questo eterno hic et nunc in cui il flusso continuo di immagini e informazioni ci costringe a vivere.

Milioni di teste, compresa la mia, piegate sullo schermo, pronte ad infliggersi frustrazioni di ogni tipo, drogate di immagini di esistenze inesistenti, e più cresce la rabbia e lo scorno perché non si ha quello che si vede, più si vuole guardare, si indugia in una prassi autodistruttiva che merita attenzione e che, a mio avviso, affligge anche i più savi e lucidi utenti di questi media che di sociale non hanno mai avuto molto. In questo eterno presente di bisogni individualistici da soddisfare, il passato non conta e il futuro non possiamo vederlo, accecati come siamo da desideri consumistici e, se il futuro non esiste - in un mondo ormai fatto e raccontato solo per immagini - allora perché occuparsene? Perché riunirsi, perché dibattere, perché provare a cambiare le cose? Vorrei che rispondere a queste domande mi risultasse tanto facile quanto porle, ma non è così, la pars destruens, quella fatta di parole, rabbia, insoddisfazioni e paure, in questo caso carburanti del pensiero poi non così negativi, è più semplice di quella che ci coinvolge fisicamente e materialmente, quella che ci spinge ad agire, a prendere parte, ad essere parte di un tutto. In risposta a questo commento vorrei ricevere mille messaggi di speranza, centinaia di inviti all’azione, io vorrei sì che qualcosa succedesse “in my backyard”.

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ago 12Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Caro Tesseri, io apprezzo sempre la sua nettezzaq e lucidita e il suo rifuggire da complicate elucubrazioni, quali ho talora fatto fatica a seguire e a intepretare presso i suoi colleghi di dibattito. Io, anziano ormai ma non di meno frequentatore di social dalla loro nascita, rifletto spesso, e non da ora o da ieri, sul ruolo che essi hanno avuto e che lei giustamente ricorda. Un ruolo spesso smentito, o minimizzato, mentre invece continuo a ritenerlo fondamentale: l'uso del social media ci ha reso più istericamente e irosamente individualisti, ci ha dato l'illusione di "aver sempre ragione" perchè comunque scribacchiando i nostri post o commenti finiamo per isolarci, anche da coloro che secondo noi ci sono favorevoli. I confronti sul campo sono esclusi o ridotti al lumicino. Ma siamo sempre ancora al "che fare". Quello che sui social ognit anto qualcuno propone (sui social e dai social...) di rinunciare ai social e tornare nelle piazze? La materia è complessa e data la mia vecchiaia, temo che vere inversioni di tendenza non ne vedrò

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ago 12Messo Mi piace da Fabrizio Tesseri

Mi piace molto il concetto di bar globale. Senza approfondire, la suggestione italica del bar Sport ovunque è il rimando nostrano a Facebook permanente. E aggiungo: in Facebook non si scrive per comunicare ma per mettere e mettersi in mostra. Degli altri, frega il giusto.

Concludo: la rabbia è probabilmente figlia di una pervasiva assenza di responsabilità collettiva che giustifica una massa di adolescenti permanentemente piagnucolanti. Non è mai colpa loro, il mondo ce l’ha con loro e non li capisce. Dietro questi milioni di mammoni, i veri drammi storici - i poveri, gli immigrati schiavizzati, le vittime delle guerre, i rifugiati- scompaiono.

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Quello che Lei descrive è la medesima situazione (social a parte) che esisteva quando giovane ero io che oggi ho 61 anni. I giovani, dal mio punto di vista, dovrebbero almeno cercare strade alternative alla generazione precedente. Io trovo che sia la mia generazione ad essere arrabbiata, brutale, autoreferenziale. I giovani li vedo (parlo della realtà nella quale vivo) passivi, rassegnati (?), assenti e senza desideri di prospettiva. Questo mi inquieta ancor più della rabbia della mia generazione

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