Cooperazione colposa
Dal carcere l’ex ad di Autostrade Castellucci lamenta la violazione dei propri diritti (e di quelli di altri 60mila detenuti). La Cassazione gli ricorda le sue responsabilità per la strage di Avellino
La Cassazione, con buona pace dei garantisti per il loro padrone, fissa in modo cristallino un punto: se tu sei l'amministratore delegato di una rete autostradale di tremila chilometri che decide quanto spendere per le manutenzioni e quanto risparmiare per gonfiare il dividendo dei signori Benetton e il tuo premio di risultato grazie al quale guadagni 6 milioni di euro all'anno, non puoi dire che la colpa dei 40 morti di Avellino è dei tuoi sottoposti
Giorgio Meletti
Nella vicenda a suo modo tragica di Giovanni Castellucci ciò che resta del morente capitalismo italiano potrebbe specchiarsi e chiedersi che cosa è andato storto. Invece i grandi capi stanno zitti e vigliaccamente lasciano che siano i loro cantori salariati a fare dell'ex amministratore delegato di Autostrade per l'Italia un martire, un nuovo Tortora, un nuovo Dreyfus. Dimenticando che i 40 morti di Avellino e i 43 di Genova non si sono suicidati, né sono stati portati via dalla cicogna.
Una premessa di carattere generale.
Chiunque sia contento che Castellucci sia dallo scorso mese di aprile in carcere (prima a Bollate, poi a Rebibbia) dev'essere un animale, perché non c'è delitto che meriti la punizione di stare oggi in un carcere italiano.
Questo vale per tutti i 60 mila detenuti, nessuno escluso, e anche i corifei dei manager ingiustamente reclusi dovrebbero ricordarselo, se non ogni giorno almeno ogni tanto.
La strage e il metodo
Castellucci sta scontando la pena definitiva a sei anni per il disastro che il 28 luglio 2013 costò la vita a 40 pellegrini di ritorno dal santuario di Padre Pio, e volati dal viadotto Acqualonga dove qualcuno si era dimenticato, da 25 anni, di controllare la corrosione dei cavi d'acciaio che fissavano al viadotto i guardrail di cemento detti New Jersey. Sia ben chiaro: quei cavi, dopo 25 anni, non erano corrosi, erano polverizzati, non c'erano più.
Val la pena di ricordare un altro dettaglio non irrilevante. Quando i magistrati di Avellino decisero il rinvio a giudizio per omicidio colposo di Castellucci e degli altri manager la notizia non fu data da nessun giornale o telegiornale italiano, non si sa se per distrazione o perché il gruppo Benetton, di cui Castellucci era il manager più rappresentativo, era uno dei più potenti inserzionisti pubblicitari.
Di questa storia si occupò solo il Fatto Quotidiano nel 2016, grazie al lavoro di Enrico Fierro, un grande reporter che non c'è più, aiutato anche dal fatto di essere di Avellino.
Per leggere su un altro giornale italiano la notizia che il potente Castellucci era imputato per omicidio si è dovuto aspettare il 14 agosto 2018, crollo del ponte Morandi di Genova, 43 morti.
A quel punto qualcuno ha cominciato a chiedersi se non ci fosse un sistema all'origine delle due stragi. Certo è che oggi Castellucci è in carcere per scontare la condanna definitiva per Avellino e imputato a Genova per il Morandi.
Castellucci ha lamentato che la condizione carceraria non gli consente di difendersi a Genova. Rinnova quello che è ormai un genere letterario inaugurato dall'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, il colletto bianco che scopre che si sta in sei in una cella da quattro.
Lamenta che è ostacolato il suo diritto alla difesa, che non riesce a parlare con i suoi avvocati e non riesce a scambiare con loro file e documenti.
Pone un problema serio e qualche rappresentante del potere esecutivo, legislativo e giudiziario dovrebbe sentirsi in obbligo di rispondergli qualcosa.
Fermo restando che è difficile capire se sia più urgente risolvere la questione del diritto di Castellucci di organizzare la sua difesa nel processo in corso o quello degli altri 60 mila di lavarsi.
Leggere la Cassazione
Per una curiosa coincidenza la protesta dell'ex manager dei Benetton arriva insieme alle motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha confermato la sua condanna a sei anni.
Il dispositivo, ad aprile, fu commentato in modo aspro dai tifosi dei padroni che non sbagliano mai, che sono arrivati ad attribuire al presidente della quarta sezione penale della Cassazione, Emanuele Di Salvo, di aver sigillato con la sua sentenza "una vendetta postuma nei confronti di un ex manager potente". Scopriamo dunque che la Corte di Cassazione è una specie di collettivo di antagonisti ubriachi, dediti alle vendette contro i padroni.
Al di là delle elucubrazioni di opinionisti che si guadagnano da vivere aggredendo i magistrati se condannano i ricchi o assolvono i poveri, e senza imbarcarsi in una lettura pedissequa di atti processuali di dimensioni spaventose, vale solo la pena di illuminare un punto che la Cassazione, con buona pace dei garantisti per il loro padrone, fissa in modo cristallino: se tu sei l'amministratore delegato di una rete autostradale di tremila chilometri che decide quanto spendere per le manutenzioni e quanto risparmiare per gonfiare il dividendo dei signori Benetton e il tuo premio di risultato grazie al quale guadagni 6 milioni di euro all'anno, non puoi dire che la colpa dei 40 morti di Avellino è dei tuoi sottoposti (cosa anche vagamente disgustosa, anche se molto praticata da lorsignori, tanto che uno dei sullodati sottoposti, condannato a sua volta, ebbe modo di farsi intercettare dai magistrati di Genova mentre inveiva contro il capo).
Il punto è proprio questo. La difesa di Castellucci non ha sostenuto che la manutenzione del viadotto Acqualonga fosse perfetta e solo una tragica fatalità avesse provocato la morte dei 40 pellegrini.
Ha sostenuto invece, detto in soldoni, che l'amministratore delegato di Autostrade non poteva andare a controllare personalmente tutti i bulloni sui 3 mila chilometri di rete.
Ha sostenuto che questo tipo di attività era delegata agli altri manager, i sottoposti, e che di per sé la delega annulla ogni responsabilità del delegante. Il che sottintende che bene hanno fatto i giudici a condannare i manager delegati.
Lo schema è: "Tu guarda se i viadotti sono a posto, adesso te l'ho detto, poi se non guardi sono cavoli tuoi". Questo è il sistema delle responsabilità come è organizzato nel capitalismo italiano che, così funzionando, ha il record dei morti sul lavoro. Sarà un caso?
La Cassazione, noto collettivo anarchico, ha detto no. Non funziona così il mondo, dicono i supremi giudici, quindi Castellucci deve rimanere condannato a sei anni (con l'augurio sincero che non se li faccia in carcere).
E qui, per concludere, potete leggervi direttamente la prosa dei giudici di Cassazione, molto più chiara di ogni possibile sintesi.
"Più recentemente, nel riferirsi proprio al principio dettato dalla citata sentenza 4968/2014, questa Corte ha ribadito il dato dell'assenza di effetto liberatorio della delega in caso di eventi dipendenti da carenze strutturali derivanti da gravi carenze organizzative di fondo ascrivibili ad insufficienze organizzative imputabili, a monte, alla politica degli organi di vertice (Sez. 4, n. 40682 del 03/10/2024, Parenti, Rv. 287206 - 02).
Applicando tali principi al caso di specie, deve ritenersi che - nell'ambito dei citati profili strutturali di organizzazione, non delegabili da parte dell'organo apicale - non possano non farsi rientrare (tenendo evidentemente in considerazione l'oggetto dell'attività sociale) le modalità di effettuazione dei controlli sulla complessiva sicurezza della struttura per gli utenti della medesima; affermazione che, nel caso di specie, è avvalorata e confermata anche dalla natura di servizio pubblico dell'attività affidata in concessione all'organizzazione.
Ne consegue che devono ritenersi di competenza dell'organo apicale le scelte in ordine a tipologia, frequenza e modalità dei controlli, potendo essere delegate al management subordinato e alle strutture locali solo aspetti attinenti alle concrete scelte operative.
Ne deriva quindi - in relazione specifica a quanto dedotto dal Castellucci nell'ottavo motivo di ricorso - che i profili inerenti alla frequenza e alla modalità di effettuazione dei controlli non possano che ritenersi, anche in specifica considerazione dell'oggetto sociale della concessionaria, a tutti gli effetti, come "strategici".
D'altra parte, in relazione ai citati poteri di alta vigilanza desumibili dal disposto dell'art.16, comma 3, d.lgs. n.81/2008, permane comunque in capo alla figura apicale un obbligo di sorveglianza e un potere/dovere di intervento sostitutivo in caso di inadempimento del delegato rispetto ai propri obblighi.
Potere/dovere che, come detto, non comporta l'obbligo di una verifica puntuale dell'adempimento degli obblighi nascenti dalla delega ma, in ogni caso, la predisposizione di un sistema organizzativo idoneo alla valutazione dell'attività del delegato, la cui mancata attuazione è tale - in caso di evento avverso - da radicare la responsabilità dell'organo in posizione apicale a titolo di cooperazione colposa".
Ciascuno può leggere attentamente a fare le sue valutazioni.
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L' articolo ha per tema una pronuncia della Cassazione che ribadisce un principio chiaro: chi è a capo di una organizzazione è responsabile del suo corretto funzionamento, indipendentemente dalle dimensioni. La catena del comando non è una trasmissione di responsabilità ma una delega di competenze che non esime dal dovere di controllare (per questo il direttore di un quotidiano può essere condannato per un articolo scritto da altri). Meletti dedica la gran parte del suo articolo a sottolineare come la sentenza del massimo organo giurisdizionale contraddica il superconsolidato meccanismo dello scaricabarile praticato in Italia dai tempi del banchiere Tanlongo e, marginalmente, aggiunge commenti di costume. Questi pochi commenti vengono presi a pretesto per tentare di screditare l' intero articolo sminuendo la figura dell'autore: tentativo fallito, a mio parere. Grazie sempre, Meletti.
Personalmente trovo l'articolo molto bello e chiaro e che potrebbe essere mutuato per ogni singola tragedia vissuta da questo "mai cresciuto paese" sulle responsabilità civili e sociali del fare impresa.
Mi dispiace di non poter veicolare con facilità alle persone che conosco dei contenuti così importanti e ben scritti, come faccio per le puntate di Revolution che più mi appassionano con un semplice e legale "condividi".
Piero