Casta e mazzette
Sotto la stabilità del governo Meloni si intravedono spinte dirompenti: il ritorno dell’idea che i politici siano una casta e il sistema della corruzione a Milano. Con l'analisi di Carlo Tecce
A Milano il sindaco Sala ha delegato alla Commissione per il Paesaggio il compito di prendere decisioni in deroga al piano ufficiale e in violazione della legge, e nella commissione c’erano architetti a libro paga degli stessi costruttori che presentavano i progetti. E questi architetti in conflitto di interessi incassavano decine di migliaia di euro, perfino milioni
L’Italia non è mai sembrata così politicamente stabile come oggi, sotto la guida di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio da quasi tre anni e senza rivali. Eppure.
Eppure vediamo il ritorno di due forze, diciamo due caratteristiche della vita pubblica italiana, che hanno generato i maggiori sconvolgimenti politici degli ultimi cinquant’anni: l’ostilità per la cosiddetta “casta” e la corruzione all’intreccio tra mondo degli affari e politica, di nuovo a Milano, di nuovo con la procura che scoperchia un sistema, non soltanto pochi casi di mazzette.
La diffusa consapevolezza che i partiti un tempo di massa si fossero trasformati in una casta arroccata a difesa del privilegio ha innescato, quasi vent’anni fa, la transizione populista dell’Italia che ha portato all’ascesa del Movimento Cinque stelle e alla fine del bipolarismo.
Ma le radici di quel populismo anti-politico affondavano più lontano, nella sfiducia - ben motivata - verso la classe politica che aveva travolto la prima Repubblica, quando la procura di Milano con l’inchiesta Mani Pulite aveva fatto crollare Tangentopoli, la città delle tangenti che garantiva il potere ai partiti, in particolare al Psi di Bettino Craxi.
Come è iniziata la rivolta
La rivolta contro la Casta inizia nel 2007, con la pubblicazione del libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, due giornalisti del Corriere della Sera: è il quotidiano dell’establishment, espressione di quelli che allora si chiamavano “poteri forti” e non ancora di Urbano Cairo, a cavalcare la campagna sugli sprechi della politica.
Stipendi, vitalizi, mense a prezzi simbolici, auto blu.
Il primo interprete politico di quella rivolta populista non è Beppe Grillo, ma Luca Cordero di Montezemolo, che da presidente della Confindustria si presenta ai margini della politica pronto a sostituire i politici di professione, rammolliti dalle loro attitudini predatorie.
Ma Montezemolo, con la sua Italia Futura, non è il campione giusto per cavalcare quella rabbia che sarà alimentata poi dalla crisi finanziaria dei mutui subprime e della stagione dell’austerità.
Il 2007 è stato l’ultimo anno di benessere dell’Italia e neanche lo sapevamo. Poi è arrivata la crisi, Beppe Grillo, lo sconvolgimento del quadro politico, le elezioni del 2013 che scongelano un elettorato non più blindato dalle appartenenze ideologiche e neppure dall’anti-berlusconismo.
Quella lunga stagione si chiude, simbolicamente, con il referendum dell’autunno 2020: cambia la Costituzione, gli italiani votano per tagliare un terzo dei parlamentari. Per risparmiare, perché se lo meritano, perché con meno poltrone verranno eletti soltanto i migliori.
Non cambia assolutamente nulla e oggi, nell’estate 2025, sembra di essere tornati indietro di quasi un ventennio. Panorama, oggi di Maurizio Belpietro, ha una copertina sui parlamentari che rivogliono il vitalizio cancellato dall’allora presidente della Camera dei Cinque stelle Roberto Fico, che nel 2018 ha imposto il sistema pensionistico contributivo anche ai deputati. Alcuni senatori già lo hanno riavuto.
Il ricorso dei deputati è stato, al momento, respinto.
Torna ovunque l’ex pornostar Ilona Staller, che reclama indietro i suoi soldi, e basta leggere le sue dichiarazioni dove farnetica di “partito dell’amore” di un “sottomarino invisibile ai radar nell’Oceano pacifico” (intervista al Tempo) per rinfocolare ogni impulso anti-Casta.
Uno dopo l’altro stanno saltando i tetti ai compensi degli amministratori nel settore pubblico, si creano strani organismi mezzo statali e mezzo privati per sfondare l’insopportabile vincolo dei 240.000 euro.
Dopo che nell’autunno 2023 il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida aveva fatto fermare il Frecciarossa su cui viaggiava perché troppo in ritardo, in modo da saltare su una più rapida auto blu, nell’estate 2025 c’è il caso di Adolfo Urso: accompagna la moglie e il figlio in aeroporto, Fiumicino, la signora con la scorta salta la fila, l’attore Luca Zingaretti - il commissario Montalbano - riprende e denuncia tutto.
Urso, ministro per le Imprese e il Made in Italy, sceglie di peggiorare la sua situazione: prima dice che è la scorta a decidere le esigenze di sicurezza, poi spiega in una lettera a Repubblica che una grave minaccia incombe sulla sua famiglia dopo che qualcuno, nel 2023, ha inviato una lettera con dei proiettili per fare pressione sul ministero riguardo all’uso del golden power, minacciando ritorsioni.
Ora, premesso che chiunque abbia un profilo pubblico ha ricevuto almeno qualche minaccia anonima, non si capisce come questi facinorosi interessati ai paletti - peraltro spesso secretati - del governo sulle acquisizioni di imprese italiane potrebbero disturbare la signora Urso ai controlli di un aeroporto pieno di sicurezza.
Queste immagini di Casta da Seconda Repubblica non piacciono a Giorgia Meloni, che è molto attenta a trasmettere un'immagine austera e quasi frugale del suo governo, nonostante le sue vacanze nel resort di lusso Borgo Egnazia, o i bagni nella spiaggia del Twiga, e nonostante la villetta con piscina da 1,2 milioni di euro in un quartiere residenziale di Roma Sud, comprata senza neppure bisogno del mutuo.
Il conto arriverà anche alla destra
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