"Il referendum è approvato nel caso in cui i sì siano almeno il 50%+1 dei voti espressi e almeno il 25%+1 degli aventi diritto."
Dove la seconda soglia può essere un numero scelto politicamente 0<50%. Zero significherebbe niente quorum, 50 è come ora. Un numero intermedio spinge chi veramente è per il NO ad andare comunque a votare, perché non può contare più di tanto sull'astensione. Chi promuove il referendum deve comunque assicurarsi che almeno un 25% assoluto voterà sì, che è una soglia comunque superiore a quella che abbia ottenuto qualsiasi partito da molti anni.
Concordo abbastanza con il lettore Livolsi: il problema è della finalità delle domande refendarie. Molte, e in particolare le ultime, sono state fatte per finalità diverse da quelle della consultazione dell'intero elettorato. La strumentalità dei quesiti è un fatto pericoloso perché rafforza l'attuale distorsione del dibattito politico. Il fallimento di questo referendum dovrebbe indurre ad aumentare le firme richieste e magari ragionare sul referendum propositivo. L'attuale pochezza del dibattito politico non può giustificare soluzioni scadenti.
Nel surreale dibattito pubblico che nasce dopo ogni referendum la proposta di eliminare il quorum è una delle più assurde e controproducenti.
Ricordo che mantenere il quorum al 50% + 1 dei votanti è uno dei modi per proteggersi dalle dittature: se sparisce il quorum, gruppetti armati di persone bloccheranno eventuali elettori prima che si rechino ai seggi, con buona pace della democrazia.
Se il problema dell'Italia è l'astensionismo, la norma più semplice da fare per risolverlo sarebbe: impediamo di votare per un periodo di tempo a chi si è astenuto troppe volte alle ultime elezioni, ad esempio: non hai votato negli ultimi quindici anni alle ultime cinque votazioni referendarie, stai in panchina per altri 5 anni.
In questo modo il quorum dei votanti si abbasserebbe e nessun partito si sentirebbe al sicuro dicendo "non andate a votare".
Considerando che uno dei costi delle votazioni è la "revisione delle liste elettorali", non credo che una revisione in tal senso avrebbe dei costi spaventosi.
Mi sorge tuttavia il dubbio che in realtà questo sia solo fumo negli occhi in chi ancora ci crede e continua ad andare al seggio perchè sono convinto che in Parlamento e nei dintorni ci sono persone più intelligenti che potrebbero fare proposte più funzionali.
Concordo con il lettore D'Adamo e trovo convincenti le argomentazioni di Maurizio Mascitti. Specilamente quando sottolinea un aspetto che regolarmente ci sfugge perchè viene poco o nulla trattato dall'informazione generale e neanche da quella settoriale e che è invece uno dei "vulnera" più insidiosi dell'attività legislativa di un parlamento democraticamente eletto. Parlo del "lobbysmo", presentissimo ovunque e talora persino legittimato e riconosciuto (se non sbaglio presso il Parlamento Europeo): gruppi non necessariamente ampi ma particolarmente influenti pullulano attorno ai parlamentari, suggeriscono norme, esaminano leggi in preparazione, sconsigliano questo consigliano quello in modo che, specie in materia fiscale -che è tra l'altro materia non "referendabile"-, ma non certo soltanto quella, i propri interessi vengano favoriti. E ciò regolarmente avviene, per logica molto più presso i partiti di destra che di quelli di sinistra: difficile immaginare una lobby di operai, o di immigrati regolari, o di insegnanti della scuola pubblica. Perchè ovviamente le lobby operano in una zona grigia: i parlamentari seducibili ne hanno varie forme di tornaconto, tra cui la più limpida è il pacchetto di voti che possono garantirsi. Su quelle meno limpide possiamo immaginarci di tutto.
L'obiezione del signor Fabio Marri non regge. Secondo lui una legge approvata da una maggioranza parlamentare non può essere abrogata da una minoranza di elettori. In realtà la maggioranza parlamentare non è espressione della maggioranza degli elettori ma solo di chi è andato a votare. Non essendo previsto un quorum per le elezioni politiche, governa chi le vince, anche se a votare fosse andata una minoranza di elettori. Il governo attuale, infatti, è espressione nemmeno di un quarto degli italiani. Quindi è giusto, va abolito il quorum, che non esiste per l'altro referendum, quello confermativo. È paradossale che occorra un quorum per abrogare una legge, che, passato un certo tempo, può essere ripristinata dal Parlamento, mentre non esiste per una modifica costituzionale che richiede tempi molto più lunghi e una procedura più complessa per essere nuovamente riproposta.
Mi è piaciuto molto questo articolo e ne condivido la tesi, grazie Maurizio! Mi rimane un quesito filosofico sul concetto di diritto di voto e il suo contrario: che dire di democrazie quali Brasile, Australia, Belgio ecc dove il voto è obbligatorio con tanto di sanzioni per chi si astiene? Si può parlare ancora di diritto in questi casi? Si potrebbe dire che il voto rimane un diritto perché è concesso (vs negato) — ma il suo esercizio invece non lo è (ammesso che si possa scindere il voto in senso concettuale dal suo esercizio pratico)?
Il problema non è il quorum ma i 500.000 voti per promuovere i referendum, che sono pochissimi. Gli ultimi referendum proposti sono stati sempre referendum stupidi, con temi poco coinvolgenti e su cui pochissimi ci capiscono, ci fosse stato un referendum sul divorzio oggi probabilmente avrebbe una partecipazione simile a quella dell'epoca. Ma se facciamo i referendum su, come diceva Gaber, "dov'è che i cani devono pisciare" allora chiaro che ci vanno in pochi. La nostra costituzione, a differenza di quella Svizzera immagino, vede il referendum come una cosa eccezionale (per fortuna direi, visto il livello culturale medio degli italiani) infatti vi sono forti limiti agli argomenti che si possono sottoporre a referendum. Se vogliamo trasformarlo in uno strumento per aiutare il parlamento a legiferare allora bisogna cambiare lo spirito della costituzione su questo tema. Dopodiché attenzione, perché stiamo ancora pagando i danni del referendum sul nucleare...
1- La nostra e’ una democrazia rappresentativa e quindi e’ compito dei nostri rappresentanti fare le leggi.
Se si toglie il quorum ad un referendum abrogativo praticamente tutte le leggi chi non piacciono, anche le più tecniche a e quindi poco comprensibili ad un elettorato che non è tenuto a conoscerle, permetterebbe anche a piccole minoranze di scardinare il sistema legislativo
.
2- Riguardo allo “scandalo” dell’ astensione, mi permetto ricordare che in qualsiasi società o libera associazione, le votazioni si svolgono secondo lo schema: votanti,favorevoli,contrari,astenuti.
Purtroppo quando si tratta di politica, ognuno cerca sempre di far valere le idee che nella circostanza gli tornano maggiormente utili o meno dannose.
La motivazione 2 è esposta in modo sommario/parziale: "Riduce il rischio che delle minoranze, piccole ma organizzate, tentino di modificare o cancellare leggi approvate a larga maggioranza parlamentare". Più chiaro e netto è stato il giudizio dell'insigne costituzionalista (non ricordo chi, nella ridda di voci seguite al fallimento di questi referendum), secondo cui il quorum è necessario, perché si tratta di abrogare una norma votata dal Parlamento con una maggioranza che rispecchia la maggioranza degli elettori. Posto che l'Italia è una democrazia rappresentativa e non assembleare, "diretta" vel similia, e il referendum è una eccezione al normale corso della vita politica (di cui si è fatto a meno nei primi 27 anni di Repubblica), è ovvio che per abrogare una legge voluta dalla maggioranza occorra un'altra maggioranza.
Articolo interessante. Per me il principio costituzionale del quorum mantiene un senso per il punto 2 citato nell'articolo. L'unica modifica che farei sarebbe nel fissare la soglia del quorum alla metà della percentuale di votanti delle ultime elezioni politiche nazionali per il rinnovo del Parlamento. E' infatti evidente come ormai la crescente massa di "turisti della democrazia" che non vota risulti decisiva nel far fallire qualunque referendum possa venire proposto. Fermo restando il diritto alla astensione, penso che il voto sia anche un dovere civico perchè se la sovranità appartiene al popolo, quest'ultimo ha il diritto-dovere di esercitarlo.
Sono totalmente d'accordo con la tesi e le motivazioni
Sono d’accordo
A me piace moltissimo questa proposta intermedia:
https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/referendum-quorum-matematico/
"Il referendum è approvato nel caso in cui i sì siano almeno il 50%+1 dei voti espressi e almeno il 25%+1 degli aventi diritto."
Dove la seconda soglia può essere un numero scelto politicamente 0<50%. Zero significherebbe niente quorum, 50 è come ora. Un numero intermedio spinge chi veramente è per il NO ad andare comunque a votare, perché non può contare più di tanto sull'astensione. Chi promuove il referendum deve comunque assicurarsi che almeno un 25% assoluto voterà sì, che è una soglia comunque superiore a quella che abbia ottenuto qualsiasi partito da molti anni.
Concordo abbastanza con il lettore Livolsi: il problema è della finalità delle domande refendarie. Molte, e in particolare le ultime, sono state fatte per finalità diverse da quelle della consultazione dell'intero elettorato. La strumentalità dei quesiti è un fatto pericoloso perché rafforza l'attuale distorsione del dibattito politico. Il fallimento di questo referendum dovrebbe indurre ad aumentare le firme richieste e magari ragionare sul referendum propositivo. L'attuale pochezza del dibattito politico non può giustificare soluzioni scadenti.
Nel surreale dibattito pubblico che nasce dopo ogni referendum la proposta di eliminare il quorum è una delle più assurde e controproducenti.
Ricordo che mantenere il quorum al 50% + 1 dei votanti è uno dei modi per proteggersi dalle dittature: se sparisce il quorum, gruppetti armati di persone bloccheranno eventuali elettori prima che si rechino ai seggi, con buona pace della democrazia.
Se il problema dell'Italia è l'astensionismo, la norma più semplice da fare per risolverlo sarebbe: impediamo di votare per un periodo di tempo a chi si è astenuto troppe volte alle ultime elezioni, ad esempio: non hai votato negli ultimi quindici anni alle ultime cinque votazioni referendarie, stai in panchina per altri 5 anni.
In questo modo il quorum dei votanti si abbasserebbe e nessun partito si sentirebbe al sicuro dicendo "non andate a votare".
Considerando che uno dei costi delle votazioni è la "revisione delle liste elettorali", non credo che una revisione in tal senso avrebbe dei costi spaventosi.
Mi sorge tuttavia il dubbio che in realtà questo sia solo fumo negli occhi in chi ancora ci crede e continua ad andare al seggio perchè sono convinto che in Parlamento e nei dintorni ci sono persone più intelligenti che potrebbero fare proposte più funzionali.
Concordo con il lettore D'Adamo e trovo convincenti le argomentazioni di Maurizio Mascitti. Specilamente quando sottolinea un aspetto che regolarmente ci sfugge perchè viene poco o nulla trattato dall'informazione generale e neanche da quella settoriale e che è invece uno dei "vulnera" più insidiosi dell'attività legislativa di un parlamento democraticamente eletto. Parlo del "lobbysmo", presentissimo ovunque e talora persino legittimato e riconosciuto (se non sbaglio presso il Parlamento Europeo): gruppi non necessariamente ampi ma particolarmente influenti pullulano attorno ai parlamentari, suggeriscono norme, esaminano leggi in preparazione, sconsigliano questo consigliano quello in modo che, specie in materia fiscale -che è tra l'altro materia non "referendabile"-, ma non certo soltanto quella, i propri interessi vengano favoriti. E ciò regolarmente avviene, per logica molto più presso i partiti di destra che di quelli di sinistra: difficile immaginare una lobby di operai, o di immigrati regolari, o di insegnanti della scuola pubblica. Perchè ovviamente le lobby operano in una zona grigia: i parlamentari seducibili ne hanno varie forme di tornaconto, tra cui la più limpida è il pacchetto di voti che possono garantirsi. Su quelle meno limpide possiamo immaginarci di tutto.
L'obiezione del signor Fabio Marri non regge. Secondo lui una legge approvata da una maggioranza parlamentare non può essere abrogata da una minoranza di elettori. In realtà la maggioranza parlamentare non è espressione della maggioranza degli elettori ma solo di chi è andato a votare. Non essendo previsto un quorum per le elezioni politiche, governa chi le vince, anche se a votare fosse andata una minoranza di elettori. Il governo attuale, infatti, è espressione nemmeno di un quarto degli italiani. Quindi è giusto, va abolito il quorum, che non esiste per l'altro referendum, quello confermativo. È paradossale che occorra un quorum per abrogare una legge, che, passato un certo tempo, può essere ripristinata dal Parlamento, mentre non esiste per una modifica costituzionale che richiede tempi molto più lunghi e una procedura più complessa per essere nuovamente riproposta.
Mi è piaciuto molto questo articolo e ne condivido la tesi, grazie Maurizio! Mi rimane un quesito filosofico sul concetto di diritto di voto e il suo contrario: che dire di democrazie quali Brasile, Australia, Belgio ecc dove il voto è obbligatorio con tanto di sanzioni per chi si astiene? Si può parlare ancora di diritto in questi casi? Si potrebbe dire che il voto rimane un diritto perché è concesso (vs negato) — ma il suo esercizio invece non lo è (ammesso che si possa scindere il voto in senso concettuale dal suo esercizio pratico)?
Il problema non è il quorum ma i 500.000 voti per promuovere i referendum, che sono pochissimi. Gli ultimi referendum proposti sono stati sempre referendum stupidi, con temi poco coinvolgenti e su cui pochissimi ci capiscono, ci fosse stato un referendum sul divorzio oggi probabilmente avrebbe una partecipazione simile a quella dell'epoca. Ma se facciamo i referendum su, come diceva Gaber, "dov'è che i cani devono pisciare" allora chiaro che ci vanno in pochi. La nostra costituzione, a differenza di quella Svizzera immagino, vede il referendum come una cosa eccezionale (per fortuna direi, visto il livello culturale medio degli italiani) infatti vi sono forti limiti agli argomenti che si possono sottoporre a referendum. Se vogliamo trasformarlo in uno strumento per aiutare il parlamento a legiferare allora bisogna cambiare lo spirito della costituzione su questo tema. Dopodiché attenzione, perché stiamo ancora pagando i danni del referendum sul nucleare...
Ottimo articolo. Mi è piaciuto molto il riferimento al lobbing, per il quale nel nostro Paese non è ancora stata fatta una legge apposita
Questo articolo mi ha convinto.
Due personali considerazioni:
1- La nostra e’ una democrazia rappresentativa e quindi e’ compito dei nostri rappresentanti fare le leggi.
Se si toglie il quorum ad un referendum abrogativo praticamente tutte le leggi chi non piacciono, anche le più tecniche a e quindi poco comprensibili ad un elettorato che non è tenuto a conoscerle, permetterebbe anche a piccole minoranze di scardinare il sistema legislativo
.
2- Riguardo allo “scandalo” dell’ astensione, mi permetto ricordare che in qualsiasi società o libera associazione, le votazioni si svolgono secondo lo schema: votanti,favorevoli,contrari,astenuti.
Purtroppo quando si tratta di politica, ognuno cerca sempre di far valere le idee che nella circostanza gli tornano maggiormente utili o meno dannose.
.
La motivazione 2 è esposta in modo sommario/parziale: "Riduce il rischio che delle minoranze, piccole ma organizzate, tentino di modificare o cancellare leggi approvate a larga maggioranza parlamentare". Più chiaro e netto è stato il giudizio dell'insigne costituzionalista (non ricordo chi, nella ridda di voci seguite al fallimento di questi referendum), secondo cui il quorum è necessario, perché si tratta di abrogare una norma votata dal Parlamento con una maggioranza che rispecchia la maggioranza degli elettori. Posto che l'Italia è una democrazia rappresentativa e non assembleare, "diretta" vel similia, e il referendum è una eccezione al normale corso della vita politica (di cui si è fatto a meno nei primi 27 anni di Repubblica), è ovvio che per abrogare una legge voluta dalla maggioranza occorra un'altra maggioranza.
Però la maggioranza degli elettori che il parlamento eletto rappresenta non è, di fatto, la maggioranza di tutti gli aventi diritto.
Articolo interessante. Per me il principio costituzionale del quorum mantiene un senso per il punto 2 citato nell'articolo. L'unica modifica che farei sarebbe nel fissare la soglia del quorum alla metà della percentuale di votanti delle ultime elezioni politiche nazionali per il rinnovo del Parlamento. E' infatti evidente come ormai la crescente massa di "turisti della democrazia" che non vota risulti decisiva nel far fallire qualunque referendum possa venire proposto. Fermo restando il diritto alla astensione, penso che il voto sia anche un dovere civico perchè se la sovranità appartiene al popolo, quest'ultimo ha il diritto-dovere di esercitarlo.
Bravo, complimenti per l’articolo
Ottimo articolo su cui ho potuto farmi un'opinione personale