Ma cosa vuol dire essere brat?
Brat è il concetto che ci mancava per definire i giovani della generazione Z e forse per definire una parte di noi stessi. Oltre che Kamala Harris
Brat lo siamo un po’ tutti: con i nostri errori, le nostre gaffes, il nostro desiderio di essere noi stessi anche quando la società ci impone dei codici, la nostra originalità
Gloria Origgi
Buongiorno a tutte e tutti,
Di solito c’è una certa rotazione delle firme qui su Appunti, ma oggi torna già la filosofa Gloria Origgi che pochi giorni fa è intervenuta nel dibattito sulla politica della rabbia.
Gloria mi ha proposto il pezzo che volevo leggere da un po’, un articolo che spieghi finalmente cosa vuol dire essere brat. E perché Kamala Harris è brat.
Se non avete idea di cosa sto parlando, nelle ultime settimane siete stati un po’ disconnessi da tutto.
Comunque, tranquilli, vi spiega tutto Gloria qui sotto.
Da parte mia, mi limito a dire che di solito sono un po’ scettico su queste istantanee mode lessicali (chissà che fine ha fatto la schwa, per esempio). Però mi devo arrendere all’idea che il nostro lessico pubblico ha bisogno di dare un nome alle cose, di classificare.
Gianluca Nicoletti ha fatto una intera serie di puntate di Melog basate sul dare un nome a comportamenti che forse ci sono sempre stati nelle relazioni di coppia o forse no (tipo: peopling, ovvero circondarsi sempre di altre persone per non trovarsi mai davvero in due).
Quindi, forse, avevamo bisogno della parola brat.
L’ho pensato quando mia moglie mi ha segnalato una vicenda di cui ieri si è parlato moltissimo sui social e non solo.
L’ex schermitrice e commentatrice Elisa di Francisca - in Rai - ha deriso Benedetta Pilato che si diceva molto felice di essere arrivata quarta, a 19 anni e soltanto per un centesimo di secondo. Di Francisca non capiva perché Pilato fosse soddisfatta e non affranta,visto che aveva mancato il podio.
La risposta - ho capito leggendo il pezzo di Gloria Origgi - è che Benedetta Pilato è brat, Elisa di Francisca no, perché è di un’altra generazione.
Scrive Gloria Origgi:
“La generazione Z, quella dei miei figli e dunque la migliore generazione che abbia mai conosciuto, è stufa di cartapesta: vuole gente vera, vuole essere autenticamente imperfetta, complicata e indefinibile: vuole essere brat!”
Chissà, magari ha ragione. E forse la generazione Z riuscirà a risolvere tutti quei rebus esistenziali - tra carriera, vita privata, famiglia - che hanno bloccato noi millennial in una nostalgia costante per un passato mitizzato, quegli anni Ottanta celebrati da apposite serie Netflix.
Voi cosa ne pensate? Soprattutto voi lettrici o lettori Appunti della generazione Z?
Buona giornata,
Stefano
Ma cosa vuol dire BRAT?
di Gloria Origgi
Forse molti di voi non sanno di stare passando una brat summer proprio in queste settimane…la nuova parola d’ordine dell’estate è brat, che ha attecchito nella cultura della generazione Z, nella moda, nello stile fino a sbarcare in politica!
I fatti sono noti e li riassumo brevemente: in giugno esce il nuovo album di Charli XCX, una cantante di successo per la generazione Z, con un suo stile misto di sofisticatezza, trash e disco. L’album ha la copertina verde limone e una scritta in stampatello al centro: brat. Diventa subito un hit e genera un numero infinito di memi che mimano una strana danza sotto le note di una delle canzoni dell’album, Apple.
Poi, domenica 28 luglio, Charli XCX posta un messaggio su X: “Kamala is brat”. La frase diventa un meme, ossia un piccolo artefatto culturale che si trasmette alla velocità di un virus, e una nuova ispirazione per la campagna elettorale: il quartier generale della campagna elettorale di Kamala Harris cambia il colore di sfondo del sito e mette un verde limone. Video tik tok cominciano ad apparire con sfondo verde e Kamala che balla, che dice cose incomprensibili sugli alberi di cocco e che ride: Kamala is brat! Ma cosa significa essere brat?
La parola significa in inglese: bambino viziato, che non obbedisce. Qual è stata la rapida trasformazione di significato per cui oggi brat significa qualcosa un po’ come cool, ma è diverso da cool?
Ovviamente i media sono andati subito a chiedere a Charli XCX cosa volesse dire brat. La ragazza, che non sembra particolarmente articolata sulla semantica del linguaggio, ha detto cose confuse come: “E’ un po’ come andare fuori con gli amici, magari in un contesto lussuoso, ma forse anche trashy, come comperare un pacchetto di sigarette con un grande accendino e fumarsele tutte in una notte. Indossare vestiti usati, una canottiera bianca senza reggiseno per esempio”.
Dunque, la ragazza non aveva idea di ciò che stava creando come fenomeno culturale quando ha lanciato il suo disco Brat. E’ questo il bello dei memi: il loro potere va ben al di là dell’intenzione del loro creatore.
Essere imperfetti
Oggi brat significa molto di più e per un numero sempre più alto di persone. È un nuovo stile di vita, diverso dal cool, ma altrettanto importante. Secondo quello che si può percepire sui social prima che brat diventi la parola dell’anno dell’Oxford English Dictionary, essere brat significa fondamentalmente essere imperfetti e accettare le proprie contraddizioni.
Non essere “tirati”, non essere “lookati”, avere fiducia in sé stessi senza saperne esattamente il motivo, accettare le proprie vulnerabilità, essere insieme forti e insicuri, essere autentici e un po’ incasinati, rifiutare i modelli di perfezione imposti dal mercato.
Difatti, la “brat attitude” come moda si contrappone alla “Barbie attitude” tutta rosa dell’anno scorso, scatenata dal film Barbie, che nella sua ironia proponeva ancora un modello di donna perfetta, bellissima, insomma un modello irraggiungibile.
Brat invece lo siamo un po’ tutti: con i nostri errori, le nostre gaffes, il nostro desiderio di essere noi stessi anche quando la società ci impone dei codici, la nostra originalità. Brat è il ragazzaccio che è in noi, che dice la cosa fuori posto e rovina la serata, che non ha paura di essere sé stesso in qualsiasi occasione, che si sente un po’ creep nelle situazioni convenzionali, che si comporta come gli gira e poi prova un misto di vergogna e di orgoglio di sé.
Brat è il concetto che ci mancava per definire i giovani della generazione Z e forse per definire una parte di noi stessi.
Brat significa che non c’è bisogno di tradirsi per esistere, che ci si può divertite giusto con un pacchetto di sigarette condiviso su una spiaggia una sera d’estate, che le nostre vulnerabilità vanno insieme alle nostre capacità, che si può essere veramente strafottenti nei confronti di questo mondo senza essere arroganti, ridere del bisogno di approvazione e di successo degli altri senza per questo giudicare.
Brat è caldo, inclusivo, un po’ pazzo, originale, autentico, senza ipocrisie, lievemente pasticciato, non “leccato” come cool, è per alcuni un paio di occhiali da sole retrò di quelli allungati che sembrano un po’ degli occhiali da sci, degli shorts scassati e una canottiera senza reggiseno.
Brat è libertà, è non stare negli schemi, non cedere alle norme impietose della moda e della bellezza, non essere i primi della classe, i migliori a scuola, al lavoro, in discoteca e a letto. Perché questi cosiddetti “migliori” non hanno mai assunto le proprie vulnerabilità, non ne hanno fatto un punto di forza quando i brats hanno capito finalmente che sono le vulnerabilità che ci rendono umani e che ci uniscono.
Siamo una sola specie umana sul pianeta non perché siamo razionali, o perché siamo aggressivi, o perché abbiamo inventato il capitalismo: siamo una sola specie perché siamo tutti vulnerabili alla violenza del caso che orienta le nostre vite.
La nuova felicità
Guardate attentamente i vostri figli per capire la bratitude: stressati da un sistema di ranking spietato che comincia alle elementari per il quale se non sei stato nella scuola giusta con i voti giusti sei fuori per sempre, con il senso che tutta questa corsa spietata non serve a niente perché comunque tra dieci anni saremmo arrostiti globalmente dal climate change, questi ragazzi sono cambiati: non vogliono troppe sovrastrutture, non ci credono: hanno l’ironia di capire che sono robe da tardo capitalismo e non sono assolutamente i pilastri della felicità.
Forse la felicità non la cercano nemmeno: cercano uno stile di sopravvivenza, non troppo negli schemi, più rilassato, ma con la tensione necessaria per fare degli incontri, non troppo costoso, a sputtanare il capitalismo che ci fa pensare che essere cool vuol dire avere gusti da miliardari.
Brat non è ricco, non è perfetto, non è allineato completamente con i trends, come cool è: brat è un po’ trascurato, indipendente, autonomo, imperfetto perché la bratitude ci insegna che se vuoi essere te stesso non puoi piacere a tutti, sarai disprezzato da alcuni, ma altri riconosceranno il tuo coraggio di essere te stesso, con i tuoi limiti e difetti.
Brat è il concetto di cui avevamo bisogno per capire i nostri figli e capire noi stessi: la vita non è una corsa, perché se sei primo gli altri non li vedi più: la vita è più simile a un pacchetto di sigarette condiviso su una spiaggia.
Senza gli altri non siamo niente e l’eccellenza individuale non è che un modo di farci sottomettere alle regole di una società spietata.
Brat significa comperare i tuoi vestiti a due euro nei negozi dell’usato, non bere troppo perché giusto non ti piace, essere sempre te stesso al prezzo a volte di qualche incertezza. Per essere esseri umani riusciti non c’è bisogno di essere perfetti: c’è bisogno di amare e di accettare ciò che è diverso da noi.
Olimpiadi brat
Un meme funziona, secondo i teorici dell’argomento, quando riesce a catturare in un’espressione catchy, facile da registrare in memoria, un insieme di emozioni, norme sociali, desideri e rivendicazioni che non avevano cittadinanza nel linguaggio precedente: un meme seduce perché nuovi comportamenti, nuovi modi di essere, finalmente hanno un nome.
Per esempio: ho guardato la cerimonia delle Olimpiadi parigine e ho adorato l’operazione così discussa, ma senza essere capace di definirla. Poi ho finalmente capito: la cerimonia delle Olimpiadi era brat! Sincera, ma eccessiva, irriverente ma autentica (niente di più parigino poteva essere presentato al pubblico), con qualche sbavatura, imperfetta, coraggiosa, eccessiva, nuova, fuori dalle regole!
Un meme funziona perché dà parola a qualcosa che era già lì ma nessuno sapeva come parlarne. Brat è imperfezione, stravaganza, non stare nel modello che va bene per tutti, non essere compiacenti, non essere né winners né losers, ma essere solo sé stessi.
La generazione Z l’ha capito: inutile sbattersi per gli standard impossibili che questo mondo globale ci ha imposto, perché l’unica cosa che conta è essere sé stessi, accogliere i propri limiti, i propri difetti e farne qualcosa di veramente brat!
Kamala is brat è il migliore messaggio politico che poteva arrivare a questa campagna: significa che Kamala è vera, che ogni tanto ride troppo forte, che ogni tanto dice cazzate, ma è sé stessa, è chi è e non ha bisogno di fare finta di essere qualcun altro. È autentica e unica: nessuno può essere il mix culturale e il carattere di Kamala.
La generazione Z, quella dei miei figli e dunque la migliore generazione che abbia mai conosciuto, è stufa di cartapesta: vuole gente vera, vuole essere autenticamente imperfetta, complicata e indefinibile: vuole essere brat!
Mi sono interrogata ultimamente su cosa abbia motivato tante scelte rischiose, coraggiose e un po’ pazze che hanno caratterizzato la mia vita, una vita senza grandi successi e riconoscimenti, ma una vita di cui sono soddisfatta: beh, ora ho capito: da sempre sono stata brat!
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Come rispondere alla politica della rabbia: il dibattito su Appunti
I sostenitori della democrazia liberale sembrano destinati a diventare una frustrata minoranza, per effetto della rapida scomparsa dei partiti più moderati, per l’ascesa delle destre radicali e per l’affermarsi di figure e forze anti-sistema, non più soltanto populiste ma anti-democratiche.
Da Donald Trump negli Stati Uniti, ad Alternative für Deutschland in Germania, a Nigel Farage in Gran Bretagna, a Marine Le Pen e Jordan Bardella in Francia.
Questo rinnovato successo delle foze più antidemocratiche ha colto molti di sorpresa e suscita sconcerto.
Cosa si può fare? Ne discutiamo su Appunti per tutta l’estate.
Appunti e Dieci Rivoluzioni
Il Podcast: La Confessione
Ascolta La Confessione, il podcast di inchiesta che rivela per la prima volta da dentro come funziona il sistema di copertura e insabbiamento degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana.
Un podcast realizzato da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, realizzato grazie al sostegno della comunità di Appunti. Con la collaborazione di Carmelo Rosa e la consulenza per musiche ed effetti di Stefano Tumiati.
Attenzione all'ambivalenza della brat-titudine: se l'olimpiade di Parigi è brat (naturale, disinibita, spontanea), e se lo è Kamala, allora il più brat di tutti è Trump. Che guaio! Ennesima e ingannevole moda linguistica? Se "est modus in rebus" dovrebbe esserci anche "in verbis"...
Come spesso accade, si usano termini nuovi per descrivere concetti che nuovi non sono. Ero adolescente negli anni ‘80, forse il decennio più volgare del novecento (guerre mondiali a parte), in cui imperversava il dominio del look e dell’ ostentazione del denaro. C’era ovviamente chi non aderiva a questa estetica, chi si rifiutava di adeguarsi ai canoni dominanti. Una volta ci si auto definiva “alternativi” (per gli altri: “sfigati”), oggi si chiamano “brat”, ma probabilmente è la stessa cosa.