Ma chi ha vinto davvero in Venezuela?
Il presidente Maduro si è assicurato un terzo mandato in un'elezione che le opposizioni sostengono di avere vinto. Il voto è stato viziato dalle irregolarità e dall'incombente presenza dei militari
Il rischio è che si ripresenti l’effetto Juan Guaidò, che basandosi sull’illegittimità dell’elezione di Maduro nel 2018 si è proclamato presidente a inizio 2019. E non ha funzionato. Perché quel potere dichiarato non s’incarnava da nessuna parte nel Paese né fuori
Estefano Tamburrini
Non ha voluto sentire ragioni il Consejo nacional electoral (Cne), che senza attendere la chiusura di tutti i seggi, né conteggi e verifiche che di norma assicurano la regolarità del voto, ha dichiarato Nicolàs Maduro vincitore alle elezioni presidenziali tenutesi ieri in Venezuela con il 51,20 per cento dei voti ottenuti.
Un "risultato irreversibile", ha sottolineato il presidente del Cne Elvis Amoroso, sostenendo che "l’ottanta percento degli atti di scrutinio" erano stati messi a sistema.
Hanno quindi votato circa 10 milioni di elettori iscritti al registro permanente e ne sono rimasti fuori oltre 4,5 milioni di loro perché emigrati all’estero. Soltanto l’1 per cento di questi è riuscito a votare.
S’impone così, per un terzo mandato, il presidente venezuelano che, secondo il Cne, ha la meglio su Edmundo Gonzàlez Urrutia: candidato della Piattaforma dell’unità democratica (Pud) in sostituzione dell’inabilitata Maria Corina Machado.
Ma chi ha vinto davvero?
I risultati sono stati annunciati oggi, dopo la mezzanotte, nella ricorrenza dell’anniversario della nascita di Hugo Rafael Chavez, con la richiesta alla procura di “aprire un’indagine sull’aggressione al sistema di trasmissione dei dati”.
Già alle 22 i militari occupavano Caracas, mentre gli elettori presidiavano i seggi chiusi qualche ora prima. E per l’opposizione l’ottimismo della prima ora si è trasformato in ansia, rabbia e incertezza.
Una vittoria già anticipata da Jorge Luis Rodrìguez, deputato e a capo della campagna filogovernativa, che aveva persino invitato i simpatizzanti di Maduro a festeggiare nel Palacio de Miraflores, sede dell’esecutivo.
Nel frattempo, Machado dice di avere altri risultati sottolineando che “a vincere l’elezione è stato Gonzalez Urrutia con il 70 per cento dei voti”. Lo dimostrerebbero “quattro exit poll indipendenti, oltre ai numeri in mano all’opposizione”. E ai rappresentanti di lista dice “nessuno si muova dal seggio" ma "si resti ancora davanti ai seggi”, senza violenza “ma per festeggiare il risultato elettorale insieme alle famiglie e ai vicini di casa”.
Un appello già visto e sentito alle elezioni del 2014, quando il candidato Henrique Capriles Radonski ha denunciato i brogli elettorali senza però contare sulla totalità degli atti. È vero che oggi le cose sembrano più gravi, ma il metodo è lo stesso. Non c’è un piano B.
Poco prima dell’annuncio dei risultati, il portavoce dell’opposizione, Omar Barboza, chiedeva ancora più tempo al Consejo nacional elettoral “in nome della credibilità nel voto”.
Perché occorreva, a suo avviso, evitare mosse animate da “qualche precipitazione autoritaria volta a distruggere quanto costruito finora”.
Per Barboza, il rischio era quello di “dichiarare vincitore qualcuno che non ha vinto" mandando in frantumi la "strada civica e della riconciliazione”.
In quel momento, l’opposizione era in possesso solo del 30 per cento degli atti di scrutinio e diventava quindi impossibile dimostrare l’evidenza del risultato.
L’atto di scrutinio è un documento stampato da ogni macchina del voto dopo la chiusura del seggio, è l’unico documento che rende verificabili i risultati dell’elezione da parte di ogni attore politico e ne attestano la validità.
E infatti non tutti i rappresentanti di lista ne hanno ricevuto copia, sebbene lo prevedesse il regolamento Ley organica para los procesos electorales. Alcuni di loro sono stati persino mandati via dai militari senza che il processo si concludesse.
I rappresentanti di lista erano in 90mila volontari, distribuiti in tutti i collegi elettorali. Alcuni erano più esperti, altri invece avevano alle spalle appena da qualche ora di formazione. Potevano anche avere chiaro la necessità di tutelare il voto hasta el final, ma dall’altra parte c’erano i militari. E con loro l’ostentazione delle armi, l’abuso di potere, l’intimidazione.
Quindi l’opposizione dice di conoscere i risultati reali del voto elettronico, ma non ha in mano la documentazione pertinente per dimostrare di aver vinto.
Non le resta quindi che denunciare le irregolarità o esortare sempre i militari a “rispettare la voce del popolo” e far qualcosa per il proprio Paese: “è adesso, o mai”. Ma l’appello ai sentimenti dei militari non ha mai funzionato.
L’ambasciata degli Stati Uniti a Caracas su X si è detta preoccupata del fatto che “il risultato annunciato non rifletta la volontà né i voti del popolo venezuelano”.
Per gli Usa, “è fondamentale che ogni voto sia conteggiato in maniera giusta e trasparente, che i funzionari elettorali condividano immediatamente le informazioni con l’opposizione e gli osservatori indipendenti" chiedendo infine "la pubblicazione di tutti gli atti”.
Tutto come prima
Tra i mandatari che si sono complimentati con Maduro c’è il presidente cubano Miguel Diaz Canel, che ha dichiarato che la vittoria di Maduro “è il trionfo del popolo bolivariano e chavista, che ha vinto con trasparenza sull’opposizione pro-imperialista”.
Resta tutto uguale a prima, a Caracas, con Maduro che parla di “trionfo dell’indipendenza e della dignità nazionale”. E aggiunge: “Non ci sono riusciti con le sanzioni, non ci sono riusciti con le aggressioni né con le minacce. E non ce la faranno mai, contro la dignità del popolo venezuelano”.
È intervenuto anche, prima della diffusione dei risultati, il ministro della Difesa, Vladimir Padrino Lòpez, per celebrare il popolo che “ha votato per la pace” condannando “le sanzioni criminali dell’imperialismo americano e i loro alleati che "hanno fatto molto danno al Venezuela”.
Il ministro della Difesa fa riferimento alle sanzioni imposte dal Dipartimento del Tesoro statunitense contro il regime di Miraflores dall’aprile 2019 in risposta alla repressione sistematica del regime di Maduro durante le proteste nel 2014 e nel 2017.
Queste sanzioni hanno avuto un impatto sull’esportazione del greggio venezuelano e prevedevano la revoca di 718 visti di alleati e altre misure contro 150 personalità ed entità. Altre sanzioni sono state applicate dagli Usa nei confronti dei vertici militari del Paese, tra cui l’ex-capo dell’Intelligence Hugo Carvajal, per i rapporti sostenuti con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia attraverso il traffico e commercio illegale di droga.
Era la prima volta in sei anni in cui l’opposizione partecipava all’evento dopo il boicottaggio delle elezioni generali del 2018 per carenze di garanzie elettorali, come sostenuto anche dall’Unione europea e dalle cancellerie circostanti.
Le urne erano state aperte dalle 5 del mattino ma molti elettori erano ai seggi dalle 19 del giorno precedente. Loro, con qualche eufemismo imposto dal silenzio elettorale, parlano di un’"ultima speranza" prima che il Paese "venga abbandonato alla crisi".
Qualcuno ha trascorso delle ore di attesa sotto il sole, data la lentezza dell’iter in alcune zone del Paese. Molti venivano dalla Colombia, che a oggi ospita 2,5 milioni di sfollati venezuelani. Altri problemi tecnici si sono verificati con il malfunzionamento di circa 1.300 macchine, che secondo l’opposizione ha probabilmente inciso su 2 milioni di voti.
Che succede adesso?
Si delinea così uno scenario incerto, con Maduro che dichiara di aver vinto e i leader dell’opposizione che vorrebbero aperta la partita dell’elezione. Non si però come, in che modo, il presente risultato potrebbe essere sovvertito.
Anche perché le forze armate restano lì, immobili e lontane dai canti di sirena "Ahora o nunca" dell’opposizione. E poco potranno farci gli Stati Uniti, alle prese con altri problemi – le elezioni a novembre, le guerre in Ucraina e Gaza – e quindi distanti dalla questione sudamericana.
Il rischio è che si ripresenti l’effetto Juan Guaidò, che basandosi sull’illegittimità dell’elezione di Maduro nel 2018 si è proclamato presidente a inizio 2019. E non ha funzionato. Perché quel potere dichiarato non s’incarnava da nessuna parte nel Paese né fuori.
A dimostrarlo è stata, in parte, la disfunzionalità delle rappresentanze diplomatiche disseminate dal suo governo ad interim con il successivo ripristino delle ambasciate di Maduro nei Paesi occidentali.
Anche oggi si farebbe molta confusione, con due forze politiche che si contendono l’esecutivo producendo l’ennesima crisi istituzionale in Venezuela. Basta poco per destabilizzare un Paese che, crisi dopo crisi, fatica a reggersi in piedi.
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