L'illusione natalista
Nessuno può dire ad altri se fare figli, quando farli, e neppure perché. Eppure in questo periodo molti governi sembrano convinti che questa sia la loro missione
Una volta avere figli era parte del percorso di vita, il desiderio di genitorialità era dato per scontato. Poi è arrivata la fase in cui il desiderio c’era, ma mancavano le condizioni per avere figli. Ora questo desiderio viene messo sempre più in discussione
Alessandra Minello
Davvero vogliamo uno Stato che ci dica di fare figli? Pare una domanda retorica, e anche poco intelligente.
Nessuno può dire ad altri se fare figli, quando farli, e neppure perchè. Eppure in questo periodo molto più che nel recente passato la natalità è al centro del dibattito e del discorso pubblico, ne parlano i media, le rappresentanti del governo, c’è addirittura una ministra per la denatalità.
L’utero delle italiane (si badi bene, solo delle italiane) è avvertito: c’è da sfornare figli della patria.
E non è solo il governo a sostenere la necessità di politiche pro-nataliste: lo fanno le associazioni cattoliche, lo ribadisce l’establishment conservatore, insegue a ruota la politica, bipartisan.
Donald Trump alla Conservative Political Action Conference del 2023 ha dichiarato: "Voglio un boom di bambini!", e il pronatalismo sta cominciando a essere accettato come un valore conservatore fondamentale.
Ma anche al di fuori degli scranni regali, pare esserci poca percezione della questione: “sonnambuli” ci ha definiti il Censis quando non ci accorgevamo della crisi demografica, ma ora che su questo c’è stato un risveglio, il sonno è calato nel modo in cui guardiamo alle soluzioni.
Abbiamo un velo che crea un’incapacità generalizzata di cogliere la deriva che la gestione del corpo da parte dello Stato sta prendendo e che passa anche attraverso questo, un’illusione natalista che pare offuscare le menti anche di chi il corpo delle donne lo ha sempre difeso.
L’incredulità verso le ingerenze di uno stato che non aiuta le famiglie che di figli ne desiderano, ma pretende che tutti (o meglio le coppie autoctone ed eterosessuali) abbiano figli in quantità deve ancora svegliarsi.
Eppure, l’illusione natalista si basa su due sviste.
La prima è che le politiche, anche quelle appositamente pensate per accrescere il numero di figli, spostano di poco la fecondità.
L’Europa sta attraversando da decenni una crisi delle nascite. Anche dove si sono fatte delle politiche che direttamente o indirettamente volevano agire sulla fecondità, ad esempio in Germania dove si è agito per accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro, sapendo che questa è legata positivamente all’aumento della fecondità, lo sforzo è riuscito solo in parte.
Il numero medio di figli per donna è passato da 1,4 a 1,6, ben lontano dalla meta dei due figli per donna che, in modo più o meno esplicito, si pongono le politiche nataliste, per soddisfare il ricambio generazionale.
Quando, poi, le politiche nataliste sono come quelle messe in piedi dal governo Meloni, ovvero orientate prevalentemente a favore di chi è già madre (ad esempio con gli sgravi fiscali per le madri di almeno due figli, ma rivolte al ristretto gruppo delle dipendente con lavoro a tempo indeterminato), è chiaro che il risultato atteso sia ancora più basso.
Sono più volte a incentivare il ruolo, come ha detto la premier durante la conferenza stampa di presentazione della legge di bilancio, di chi “ha già fatto il suo dovere verso lo stato”, che ad altro.
Per cambiare anche di poco la fecondità di chi desidera essere genitore le direzioni a cui guardare sarebbero decisamente più ampie.
Senza figli
Se osserviamo gli ultimi 15 anni in molti Paesi europei è calata la fecondità, solo parzialmente a causa della crisi economica, a cui si è aggiunta la pandemia prima e i conflitti bellici poi.
Non è stata una sorpresa vedere accadere questo nei paesi del mediterraneo: in quel momento storico non erano ancora i valori ad essere cambiati, ma le condizioni oggettive.
Quando il welfare si basa sulle famiglie, ma le famiglie arrancano per arrivare a fine mese la via è difficile.
Giovani che si inseriscono a fatica nel mercato del lavoro, pochi servizi e a prezzi non accessibili a tutte le famiglie sono tra i motivi. Ma a questi si aggiunge la cura sbilanciata tra i generi, a cui nel 2019 solo la Spagna ha apportato il correttivo dei congedi di maternità e paternità paritari.
Non solo: lì dove la genitorialità arriva sempre più tardi, i paesi in cui la fecondazione assistita rimane cosa per poche famiglie facoltose di certo non sono avvantaggiati.
Ma soprattutto, in questi paesi regna sovrana la consapevolezza di tutte le difficoltà che ci sono per creare condizioni ottimali per la genitorialità, così come il futuro pare plumbeo, non ci si può certo attendere una ventata di ottimismo riproduttivo.
E infatti in questo contesto a rimanere senza figli sono prevalentemente persone che i figli li vorrebbero.
Il restringimento delle coorti di potenziali genitori, infine, di certo non aiuta ad aumentare il numero di nuovi nati, tanto più nei contesti in cui il diritto alla genitorialità non è universale.
Gli unici paesi europei in cui recentemente la fecondità è cresciuta sono quelli dell'est Europa, in particolare quelli dell'ex blocco sovietico che però, contemporaneamente, hanno avuto una crescita molto forte dal punto di vista economico, per alcuni di questi anche grazie all'ingresso in Europa. È consueto che nei periodi di deciso boom economico ci sia una euforia riproduttiva.
La seconda svista, invece, viene dai paesi in cui la fecondità negli ultimi anni è calata. Per capire il meccanismo guardiamo lontano. In maniera a primo sguardo sorprendente la fecondità si è abbassata di recente e nettamente anche nei paesi nordici, dove non ci sono carenze di alcun tipo, nè in termini di servizi, nè di sostegno alle famiglie. Fino una quindicina di anni fa nel nord Europa coesistevano parità ai suoi massimi livelli e alta fecondità.
Da qualche tempo le cose non vanno più così.
Cultura e struttura
La crisi economica non ha toccato direttamente questi paesi, anche se potrebbero aver risentito della vicinanza di situazione di instabilità.
Il cambiamento, in nessuna parte giustificato da modifiche delle politiche verso le famiglie o verso i giovani, è di origine sociale.
Alcuni studi mostrano che la cultura, più che la struttura è cambiata: in Finlandia, ad esempio, il paese nordico che forse più di tutti ha visto scendere la sua fecondità, parte del calo è attribuibile all’aumento di generazione in generazione delle persone childfree, quelle che non vedono l’avere un figlio come parte del loro percorso di vita.
Questi paesi ci insegnano che ci attende nel futuro una ridefinizione dei valori, un cambiamento dei desideri, un nuovo focus nella vita che lascia meno spazio alla genitorialità come obiettivo unico.
In passato avere figli era indiscutibilmente parte del percorso di vita, non c’era lo spazio sociale per interrogarsi sul proprio desiderio di genitorialità, era dato per scontato.
Poi è arrivata la fase in cui il desiderio c’era, ma mancavano le condizioni per avere figli.
Dal futuro potremmo aspettarci una nuova fase, in cui questo desiderio viene messo sempre più in discussione.
Anche in Italia si inizia a vedere qualche sfumatura di questa direzione: i dati ci dicono che sempre più giovani vedono la vita senza figli come plausibilmente appagante.
I cambiamenti che vengono dai paesi più paritari arrivano da noi con lentezza e ritardo, ma arrivano. E uno stato che maschera con l’illusione natalista la spinta alla famiglia (tradizionale) è uno Stato che non ascolta questo cambiamento.
Scampoli di politiche, quindi, non solo non avranno effetto (ci sono evidenze che anche l’investimento recente nei servizi alla prima infanzia non dà ormai più alcun apporto alla fecondità), ma lasceranno inascoltata una parte della società.
E, si badi bene, non siamo qui a dire che le politiche per le famiglie non vadano implementate, arricchite, rese permanenti.
Siamo qui a ribadire che non si deve confondere il fine con i mezzi, che la motivazione per cambiare le politiche, per migliorarle, non deve essere l’illusione di combattere la denatalità.
Questa spinta può e deve essere un’altra: il benessere delle famiglie o, ma qui si rischia il passaggio davvero troppo audace per i governi del presente e del recente passato, la parità di genere.
Alessandra Minello è ricercatrice in Demografia al dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova. Studia le differenze di genere in Italia e in Europa negli ambiti della scuola, della famiglia e del lavoro. È autrice di Non è un Paese per madri (Laterza, 2022) e ha curato “Le equilibriste” (Save the Children 2023 e 2024).
Con Tommaso Nannicini ha appena pubblicato il libro Genitori alla pari (Feltrinelli)
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leggo l'ansia da estinzione casusa sovraffollamento....e sarebbe quindi giusto non riprodursi...
in raltà il pianeta è mezzo vuoto....di spazio ce n'è per altri miliardi di persone...
certo bisogna farlo in maniera sostenibile ambientalmente ..altrimenti la qualità della vita peggiora...
ma abbiamo tutti imezzi tecnici e scientifici per sostenere tale progressione..
...basta vedere il miglioramento dell'indice Globale della fame nel mondo (www.avvenire.it/economia/pagine/il-virus-nutre-la-fame-nel-mondo)...
ma anni di terrorismo ambientalista nichilista hanno inciso sul senso critico....e il pessimismo cosmico oltre a inquinare la voglia di vivere dei nostri figli impedisce ad altri di nascere....
sopratutto nel mondo occidentale che non si vuole bene..anzi direi che odia se stesso e che per forza non si riproduce
interessante, corretto e noto...anche "troppo" corretto....
se non fosse estremamente scorretto il dato che dal 1978 ci sono state 6 milioni di aborto a causa dell'abuso della legge 104 utilizzata come in realtà metodo anticoncezionale....
ad un estremismo la storia reagisce con con misure estreme.....
anche questo però è un concetto risaputo