La politica dei sussidi al cinema
Dal 2019 al 2023, su 1.354 opere che hanno ottenuto benefici fiscali ne sono uscite in sala solo 756. L'ex ministro Sangiuliano ha avviato una controversa riforma del tax credit. E ora che succede?
Il sistema precedente aveva dei buchi, attraverso i quali qualche furbo traeva vantaggio personale da un contributo pubblico, anche se l’industria nazionale, nel complesso, ne veniva alimentata. La riforma ha posto alcuni limiti comprensibili che però penalizzano piccoli ma importanti produttori di qualità
Roberto Seghetti
Buongiorno a tutte e tutti,
i giornali continuano a essere pieni degli strascichi del caso Boccia-Sangiuliano, anche diversi giorni dopo le dimissioni dell’ormai ex ministro della Cultura.
La vicenda ha assunto toni che non richiedono grandi commenti, dopo i giornali e la politica si è mossa la magistratura che indaga sulle possibili estorsioni di Maria Rosaria Boccia a Gennaro Sangiuliano (minacce o perfino violenze per ottenere la nomina a consigliera, gratuita peraltro).
C’è però un aspetto che è stato poco approfondito: nei giorni delle polemiche culminati nelle dimissioni, si è scoperto che Sangiuliano aveva molti nemici anche per la riforma che il governo Meloni ha avviato dei sussidi fiscali alle produzioni italiane, dal cinema alle serie. Se ne è lamentato anche Nanni Moretti al festival di Venezia.
Ho chiesto a Roberto Seghetti, che scrive spesso di fisco qui su Appunti, se avesse un’idea di questa riforma e di com’era la situazione precedente. Da giornalista esperto e preciso qual è, Roberto ha preparato una interessante analisi che potete leggere qui sotto.
Si capisce che Sangiuliano non ha certo risolto tutti i problemi, ma certo toccare un nodo di consenso e potere così delicato può generare conseguenze. Vedremo come si muoverà ora il successore, Alessandro Giuli.
I deliri di Nicola Porro
Una postilla al pezzo di ieri. Nicola Porro prova a rispondere all’articolo di Maurizio Mascitti e ai miei commenti, ma non trova di meglio che darmi del “cretino” e sostenere che io avrei chiesto a Porro di recensire i miei libri.
Credo di non aver mai chiesto una recensione in vita mia, men che meno a Porro (che me ne farei di una recensione di Porro? Sul Giornale, poi? O sul suo sito negazionista? Si sarà confuso con qualcun altro, a dimostrazione del fatto che parla di cose che non padroneggia). In compenso ricordo bene i tanti inviti - solo di rado accettati - che i cortesi autori della trasmissione di Porro su Rete4 mi hanno fatto in questi anni.
Se riuscite a seguire il contorto italiano, l’eccesso di subordinate, e i duelli con il congiuntivo di Porro, vi renderete conto che non affronta nessuno degli aspetti che in altri pezzi io e Maurizio Mascitti abbiamo segnalato.
Forse su una cosa però Porro ha ragione: io penso che il suo sia cinismo tattico, di posizionamento, di compiacenza verso quelle grandi imprese che poi sono così generose nel compensare l’attività convegnistica di Porro.
Ma lo scombiccherato comizio nel video mi costringe a considerare anche l’altra interpretazione della sua attività di propalatore di fake news: cioè che la sua sia ignoranza mista presunzione e convinto rifiuto del metodo scientifico. Può essere che anche persone colte e intelligenti come Porro a un certo punto della vita o della carriera rimbecilliscano.
A me di quello che Porro crede nel suo intimo comunque non importa un fico. Quello che trovo preoccupante è la sua attività di propagandista anti-scientifico legittimato da pezzi dell’establishment, inclusa Mediaset: e che importanza ha se Marina Berlusconi dimostra una qualche sensibilità ai diritti civili se poi usa le sue reti per diffondere disinformazione su temi così cruciali?
Buona settimana,
Stefano
La politica degli aiuti fiscali al cinema
di Roberto Seghetti
La riforma del Tax credit, incentivo destinato all’industria cinematografica e audiovisiva italiana, ha suscitato un putiferio di polemiche, di recriminazioni, di scontri al calor bianco tra il governo Meloni, convinto che le norme precedenti erano una manna troppo facile da sfruttare da chi non lo meritava, e una parte del mondo del cinema, che considera la riforma studiata e realizzata dall’ex ministro, Gennaro Sangiuliano, un pastrocchio non solo indigeribile, ma anche dannoso.
“Sorprende che di 459 opere sostenute con il tax credit tra il 2022 e il 2023, oltre 345 non sono mai uscite in sala” ha spiegato più volte l’ex responsabile della cultura sostituito da Alessandro Giuli alla guida del ministero dopo il caso Boccia.
“Noi registi e produttori dobbiamo reagire alla pessima legge”, ha dichiarato seccamente Nanni Moretti dal palco della Mostra del cinema di Venezia.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Domande retoriche: la realtà non è mai tutta bianca o tutta nera.
Di conseguenza, se non vogliamo limitarci a schierarci, è meglio entrare nel merito concreto delle norme e vedere effettivamente che cosa producono nella realtà, nel bene e nel male.
Tutti sussidiano
Tutti infatti vanno al cinema, vedono film, serie e documentari. Ma l’industria che c’è dietro questi prodotti ha una complessità che pochi conoscono sul serio, così come ben pochi sanno che cosa sia davvero il Tax credit, quanto conti e quanto possa essere decisivo il modo in cui funziona per un settore produttivo in cui l’Italia ha una storica e riconosciuta presenza.
Per capirlo bisogna fare un passo indietro e allargare la visuale. Tanto per fare un esempio, bisogna cominciare a capire che i finanziamenti al cinema non sono un’esclusiva italiana. Anzi. In tutta Europa per questo settore le regole di mercato sono fortemente attenuate per sostenere la produzione culturale, la cui qualità non dipende sempre dal responso commerciale.
Non a caso l’arcigna Unione europea ha da tempo deciso di fare per questa industria un’importante eccezione sul tema degli aiuti di Stato. Oggi, per regolamento europeo, i costi di produzione di un’opera cinematografica possono essere coperti fino al 50 per cento da fonti pubbliche; fino al 60 per cento se vi è una coproduzione tra più paesi Ue; fino al 100 per cento per un’eventuale opera “difficile”, come un’opera prima o un prodotto di particolare pregio culturale, anche se di nicchia.
L’Unione ha per questo obiettivo anche fondi propri gestiti sotto l’egida di Media, istituto della Commissione europea, e di Eurimages, istituto fondato dal Consiglio d’Europa.
Ciascun paese stabilisce poi come stanziare i propri fondi a sostegno dell’industria cinematografica, televisiva e di comunicazione con meccanismi automatici o con meccanismi di selezione. Diversi paesi, a cominciare da Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna hanno normative che prevedono contributi diretti, incentivi fiscali o tutti e due gli strumenti.
Infine vi sono i fondi delle singole amministrazioni regionali locali, che o si limitano a gestire le risorse europee o stanziano anche propri fondi da destinare a opere che parlino del proprio territorio o che prevedano l’impiego di maestranze e di imprese locali.
Per queste ragioni, secondo il Fiction film financing in Europe, pubblicato quest’anno dall’European Audiovisual Observatory e relativo ai dati del 2021, il costo dei film prodotti nei diversi paesi europei viene coperto in media per il 26 per cento da finanziamento diretto pubblico e per un altro 21 per cento da diverse forme di incentivi alla produzione.
Come funziona in Italia
Anche in Italia funziona così: in molte produzioni ci sono nello stesso tempo un po’ di fondi europei, una parte di fondi nazionali e i singoli contributi delle regioni. Fateci caso, lo si può vedere chiaramente dalle informazioni riportate in testa o in coda di molti film, serie tv e altri prodotti.
A livello statale, in Italia, il ministero della Cultura gestisce, tra gli altri fondi, il Tax credit, cioè la possibilità di avere sotto forma di sgravi fiscali una parte del costo di un’opera, e contributi selettivi scelti da un’apposita commissione tra le proposte di cosiddette opere più fragili (opere prime e seconde, opere firmate da persone con meno di 35 anni, documentari, cortometraggi, animazione, opere di particolare pregio artistico, coproduzioni in cui l’Italia è minoritaria e, novità assoluta dopo la riforma, opere su personaggi e avvenimenti dell’identità culturale nazionale italiana).
Questa è dunque la cornice, il contesto generale che va tenuto presente.
Per reggere la concorrenza ogni Paese gioca su due fattori: creare le condizioni finanziarie per le quali le opere possano essere realizzate (in parallelo a quanto avviene negli altri paesi Ue) e, non meno importante, grazie anche a quelle risorse cercare di fare però prodotti di qualità.
L’importante è dunque vedere, sia pure in modo sintetico, come funzionava prima il Tax credit, nel bene e nel male, e come funziona ora che ne sono stati appena precisati i nuovi contorni (ad agosto), anche in questo caso nel bene e nel male. Non solo.
Bisogna anche capire che cosa sia accaduto nell’industria del cinema nella decina di mesi passati dall’annuncio della riforma, con un effetto di rallentamento dell’attività in attesa dei particolari, alla concreta indicazione del nuovo regime.
Cos’è il Tax credit
Il Tax credit è in sostanza uno sconto fiscale con il quale il produttore di un’opera va a compensare una parte dei costi di produzione di un’opera, film, serie tv.
Il vecchio Tax credit era automatico. Esempio: faccio la domanda per ottenerlo sulla base di un progetto (come produttore ho la sceneggiatura per un film, ho la disponibilità degli attori) ma non ho ancora molto denaro per finanziare le riprese, né un accordo per la distribuzione.
Ottengo in automatico il Tax credit del 40 per cento delle somme che impiegherò e poi mi metto alla ricerca degli altri fondi per cominciare le riprese (che ad ogni modo sarebbero dovute iniziare entro 60 giorni dalla domanda).
Appena c’è il nulla osta al Tax credit, nel mio cassetto fiscale ottengo il 40 per cento della somma richiesta. Alla fine, con il film pronto e che posso far vedere, cercherò un accordo per la distribuzione. E con la rendicontazione delle spese arriverà nel mio cassetto fiscale il resto del Tax credit. Poi avrò un bel po’ di tempo perché la distribuzione ci sia davvero, pena la decadenza del sostegno ottenuto.
Il produttore può usare la somma relativa alla quantità di sconto fiscale che ha ottenuto per abbattere le tasse sui propri utili o pagare i contributi dei dipendenti.
A fianco di questo meccanismo automatico vi era già un meccanismo di sostegno selettivo per le opere più fragili.
Che cosa ha prodotto questo sistema, composto da incentivi vari e sconti fiscali per cinema, tv, documentari, distribuzione, sale ecc…, e che ha erogato complessivamente 623,7 milioni di euro nel 2023?
Molte opere interessanti, senza ombra di dubbio; una certa effervescenza produttiva dell’industria cinematografica e audiovisiva italiana, composta da oltre 9mila imprese, con un’occupazione diretta di oltre 65mila persone, e circa 114 mila occupati nelle filiere connesse: in Europa, l’Italia è uno dei mercati più importanti, insieme Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.
Ma senza ombra di dubbio ha anche permesso sostegni immeritati e, in mezzo a una buona effervescenza produttiva, anche iniziative create solo perché esisteva questo tipo di agevolazione. Come si può vedere dalle tabelle presentate dal governo nel corso della Mostra di Venezia, dal 2019 al 2023, su 1354 opere presentate ne sono uscite in sala solo 756 (al giugno 2024).
I dati dicono qualcosa, pur tenendo conto che questo è un settore in cui dalla realizzazione dell’opera alla sua uscita nelle sale spesso passano molti, molti mesi. Senza contare l’accusa più volte ripetuta da Sangiuliano che molte produzioni alla fine uscivano sì, ma in poche proiezioni e ad orari improbabili.
Molta benzina per il motore del cinema e dell’audiovisivo italiano, insomma, e della pluralità del mercato, ma anche maglie un po’ troppo larghe per impedire furbizie. Da qui, la riforma, annunciata già nell’autunno dello scorso anno, ma i cui contorni effettivi sono noti solo da qualche settimana (documento completo qui).
Dopo la riforma
Come funzioneranno il nuovo Tax credit e i nuovi contributi selettivi? Ecco alcuni dei tratti più importanti. Per i contributi selettivi resta la commissione che vaglia le proposte (Sangiuliano ne ha nominato i membri qualche minuto prima di abbandonare la propria poltrona al ministero).
L’aliquota dello sconto fiscale per il Tax credit è rimasta del 40 per cento dei costi di produzione complessivi per le opere cinematografiche, ma le condizioni per ottenerlo sono cambiate in modo radicale.
Tanto per cominciare non si potrà più chiedere il Tax credit senza avere prima già raccolto da capitali privati almeno il 40 per cento del costo previsto.
Inoltre non tutte le spese potranno essere conteggiate come prima. Per esempio, il costo del personale potrà valere per il Tax credit solo nella misura prevista dai contratti collettivi di categoria aumentati del 20 per cento. Come dire, puoi anche pagare una montagna di denari per ingaggiare un valente e conosciuto tecnico delle luci, ma di quelle somme puoi scontarne fiscalmente solo quel che dice il contratto, purché non risalente a prima del 2019, più il 20 per cento. Non solo.
Alla presentazione della domanda, senza aver già realizzato l’opera, il produttore deve avere già un contratto con una delle principali case di distribuzione e al momento della proiezione in sala dovranno essere assicurate nel primo mese di uscita diverse proiezioni nella fascia 18,30/21,30: almeno 980 per i prodotti costati da uno e mezzo a 3 milioni di euro; almeno 2.100 proiezioni per i prodotti cinematografici più costosi.
Anche i film cosiddetti fragili che non hanno tutte le caratteristiche richieste potranno ottenere il tax credit, ma solo se la commissione selettiva li ha già promossi.
Funziona meglio? Corregge le eventuali storture? O lo fa creando altrettante distorsioni, come denuncia il mondo del cinema? Alcuni punti sono effettivamente incontrovertibili. Sarà più difficile fare magheggi. Su questo non ci sono dubbi.
Nello stesso tempo, però, è chiaro che se ti presenti con la proposta di un film di Checco Zalone o di Paolo Sorrentino, cioè di campioni di incassi, la casa di distribuzione ti può fare un contratto anche se non ha visto ancora una scena del film. Non solo: il numero previsto di proiezioni sarà anche sufficiente.
Al contrario, anche se hai un buon progetto, una buona sceneggiatura, bravi attori e regista ma non di primo piano, sarà più difficile trovare una società di distribuzione che firmi qualcosa prima di aver verificato l’opera realizzata, o quantomeno una parte del girato. Senza contare che in quest’ultimo caso è scontato che la distribuzione non sarà disponibile a rischiare con un alto numero di proiezioni previste.
Sui costi del personale sarà decisivo il rinnovo dei contratti nazionali per le troupe, ma resta che il costo di un fuoriclasse supererà di molto i tetti previsti.
Infine, ma non in ordine di importanza, vi è il problema dei fondi da aver già raccolto prima di presentare la domanda.
Quest’ultima idea, in teoria, è giusta, perché rende più credibile la realizzazione delle opere per le quali si chiede il Tax credit. Come dire: aiutare va bene, ma a ragion veduta. Il produttore dovrà correre più rischi, come avviene per molti imprenditori negli altri settori.
Tuttavia, nella realtà, pone un problema di fondo: le grandi case di produzione non avranno molte difficoltà a raccogliere i fondi necessari. La massa di manovra, il peso del brand e le relazioni sul mercato gli consentiranno di mettere insieme i finanziamenti necessari, anche di ottenere, se decide, un credito bancario, oltre ad avere accordi facili con le case di distribuzione. Insomma, avranno meno problemi a rischiare nel fare impresa.
I piccoli produttori indipendenti, anche quelli capaci di opere di qualità o di forte innovazione (che non sempre incontra un riscontro commerciale), saranno invece fortemente in difficoltà. E un problema simile riguarda anche le serie Tv. Qui la domanda per il Tax credit dovrà contenere già l’indicazione del canale che coprirà una buona parte dell’opera.
In sintesi, pur fermandoci solo a questi particolari aspetti relativi al cinema (la riforma è complessa quanto il mondo al quale si rivolge e pone regole per ogni singolo comparto) si può dire che il sistema precedente aveva dei buchi, attraverso i quali qualche furbo traeva vantaggio personale da un contributo pubblico, anche se l’industria nazionale, nel complesso, ne veniva sicuramente alimentata.
La riforma ha posto alcuni limiti comprensibili, ma che, tradotti nella realtà, rischiano di mettere fuori gioco non solo i furbi, ma anche uno stuolo di piccoli ma importanti produttori di qualità. Al punto che si teme che possano restare agevolmente sul mercato solo alcuni grandi case di produzione, segnatamente quelle multinazionali.
La lunga incertezza
Senza contare la fase di transizione. In questi mesi di incertezza molte attività si sono fermate, altre sono andate avanti sperando di poter accedere al nuovo Tax credit, ma a rischio di non poterne usufruire per l’assenza fino ad ora della conoscenza delle nuove regole.
Da qui, insomma, il grido di dolore e di allarme lanciato dall’industria del settore, perché una riforma era pure necessaria, ma una cosa è sicura: ci sono stati anche confronti tra gli esperti del governo e quelli delle diverse categorie interessate, ma secondo una parte non marginale del mondo del cinema le nuove norme messe a punto durante i mesi in cui è stato ministro Sangiuliano presentano criticità di non poco conto, oltre ad aver lasciato a bagnomaria l’intero sistema produttivo nazionale per quasi un anno, senza poi prevedere una vera norma transitoria.
Fin qui, dati, discorsi, e polemiche da parte del governo verso il mondo del cinema e di buona parte del mondo del cinema verso il governo.
Ora, con i nuovi bandi, sarà la realtà, cioè l’applicazione concreta della riforma, a dimostrare se gli effetti delle nuove norme porteranno a una riduzione degli abusi senza soffocare la produzione nazionale e la pluralità del mercato o se, insieme all’acqua sporca, la riforma rischia di gettar via anche il bambino.