Per parlare di natalità, parliamo prima di maternità
NESSUNA - La rubrica di Anna Menale per Appunti su donne e questioni (e violenza) di genere: chi vuole più bambini, dimentica donne e discriminazioni
Non bisogna confondere le discriminazioni che le donne subiscono nella nostra società con la gestione dei figli, che è - o dovrebbe - riguardare le coppie, non soltanto le donne
Anna Menale
La denatalità, come spesso accade, è al centro del dibattito italiano nelle ultime settimane. Il ministro della Salute Orazio Schillaci l’ha definita “un’emergenza” che richiede degli interventi concreti.
I toni sono sempre apocalittici, come se tutti gli italiani e tutte le italiane fossero destinati a estinguersi poco alla volta. In un’intervista Elon Musk ha detto che “se l'andamento continua così, l'Italia non avrà più persone” e su alcuni quotidiani italiani si parla di svuotamento del Sud Italia a causa della carenza delle nascite.
Il tema della denatalità è collegato a quello della natalità che, a sua volta, è collegato a quello della maternità. Ma in Italia il modo in cui si parla di maternità compromette anche il dibattito sulla natalità.
Leggo spesso che in Italia le donne “non fanno più figli”, quando piuttosto ci si dovrebbe soffermare sulle coppie senza figli, non soltanto sulle donne: le donne di solito si riproducono in coppia con un uomo.
Poi ci sono delle discriminazioni di genere che impediscono alle donne di scegliere liberamente di diventare madri, così come - a causa di altre dinamiche patriarcali - oggi in Italia è difficile scegliere senza ostacoli di interrompere una gravidanza indesiderata.
Non bisogna però confondere le discriminazioni che le donne subiscono nella nostra società con la gestione dei figli, che è - o dovrebbe - riguardare le coppie, non soltanto le donne.
Inoltre, il dibattito sulla maternità e sulla denatalità non può esistere senza prendere in considerazione un fattore: ci sono donne che non fanno figli perché non vogliono figli.
Spesso si considera la maternità come l’unica possibile strada per le donne. Una donna è, in quanto donna, anche futura madre. Ma i tempi della maternità come affermazione dell’identità femminile sembrano ormai finiti.
C’è anche la tendenza a collegare la maternità all’aborto. Di recente la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella ha dichiarato che in Italia sarebbe più difficile trovare un posto per partorire che per abortire.
Non è vero, perché in Italia abortire non è semplice, soprattutto in alcune regioni: in Basilicata, per esempio, come ha spiegato la deputata del Movimento 5 Stelle Gilda Sportiello alla ministra Roccella, una donna su tre per poter accedere all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) legittimamente deve andare fuori regione.
I diritti, poi, non esistono a esclusione di altri diritti: “Nessuna libertà esiste se un diritto non viene garantito e che se il diritto non viene garantito le donne sono costrette, non sono libere di scegliere”, ha detto Sportiello.
Se si considera la maternità come una componente naturale dell'identità femminile, si lede la possibilità della non-maternità, e anche quella di interrompere una gravidanza indesiderata.
Asimmetrie e discriminazioni
A inizio aprile, Fondazione Crc e Percorsi di secondo welfare hanno pubblicato il documento Le politiche di conciliazione tra famiglia, lavoro e servizi per l’infanzia. Un’analisi del quadro attuale e delle esperienze in corso nell’ambito di una ricerca sulla conciliazione vita-lavoro nelle coppie.
Per quanto riguarda le discriminazioni di genere nella gestione vita-lavoro in Europa, il report sottolinea che “negli ultimi anni ci si sta muovendo verso un maggiore coinvolgimento degli uomini, promuovendo così non solo una maggiore parità nel lavoro, ma anche nella cura fra partner di coppie eterosessuali”.
In Italia c’è uno sbilanciamento della spesa pubblica, perché nonostante sia uno dei paesi “con la spesa sociale pubblica in rapporto al Pil (23,4 per cento) più alta d’Europa (dove la media è 20,4 per cento)” tale spesa si concentra sulla protezione sociale delle persone anziane (soprattutto pensioni), ed è “tra le più basse d’Europa in termini di protezione sociale di famiglie e minori”.
In Italia ci sono i congedi parentali, ma nella loro struttura racchiudono “il familismo tipico del nostro sistema di protezione sociale”, dal momento che riflettono una disparità di trattamento tra uomini e donne.
Per il congedo di maternità sono previsti cinque mesi obbligatori di astensione dal lavoro con una retribuzione all'80 per cento; per il congedo di paternità, invece, sono previsti 10 giorni di astensione dal lavoro retribuiti al 100 per cento.
L'inosservanza del congedo di maternità da parte dei datori di lavoro è punita con l'arresto e una pena fino a sei mesi, mentre invece l’inosservanza del congedo di paternità da parte del datore solo con una sanzione da 516 a 2.582 euro.
Una vera gestione paritaria degli incarichi familiari in una coppia può avvenire soltanto fornendo ai genitori la possibilità di usufruire di congedi parentali uguali in termini di durata ed eventuali sanzioni in caso di inosservanza da parte dei datori di lavoro.
Nel report si parla anche della legge che ha introdotto il bonus asili nido (232/2016), per promuovere l’utilizzo di asili nido pubblici e privati da parte delle famiglie.
Questa misura è “critica” perché non è garantito un posto in un asilo nido ad almeno il 33 per cento di bambini e bambine di età inferiore a 3 anni.
Inoltre, il raggiungimento dell’obiettivo previsto dalla legge, ovvero permettere alle famiglie di poter avere un posto in un asilo nido per i figli, atteso 13 anni fa, è stato ora “innalzato al 45 per cento entro il 2030”.
Sono soltanto 30 su 107, infatti, le province che hanno raggiunto il target del 33 per cento, mentre quello del 45 per cento è stato raggiunto soltanto da Ravenna, Bologna e Ferrara.
A usare gli asili nido sono per lo più le famiglie che hanno i più alti livelli di reddito e istruzione: in questo caso “i tassi di frequenza sono superiori al 33 per cento dei bambini, mentre calano drasticamente a poco meno del 19 per cento per i bambini di famiglie a basso reddito o con genitori con un livello di istruzione minore”.
Gli asili nido costano sempre di più (in alcune città, come Roma, Milano e Napoli, anche oltre 500 euro al mese) e il 63 per cento delle neo-mamme sceglie di lasciare la propria posizione lavorativa per dedicarsi interamente alla cura dei figli.
L’unica alternativa che queste donne hanno, non essendoci ancora una gestione paritaria dei carichi familiari in Italia, è delegare la cura dei propri figli a terzi, come per esempio ai nonni, quando ci sono.
Ci sono poi discriminazioni che le donne subiscono anche in ambito lavorativo. È ancora difficile che una donna ricopra una posizione di potere in un’azienda. Le donne guadagnano meno dei loro colleghi uomini, a parità di posizioni lavorative, soprattutto nel privato, e tendono a svolgere lavori part-time e precari.
Le donne hanno anche paura di perdere il proprio lavoro, in caso di maternità. Questa è una discriminazione che avviene sin dal primo colloquio per un’eventuale posizione lavorativa, in quanto una delle domande poste di più alle donne è: “Desideri dei figli in futuro?”. E il “Sì” in risposta potrebbe essere motivo di esclusione dalla posizione desiderata.
A Vincenza, la consigliera di parità, Francesca Lazzari, ha raccolto le testimonianze di donne che hanno subito o subiscono mobbing sul lavoro e ha poi inserito i dati in un report.
È emerso che le donne più discriminate sono quelle che entrano in maternità e vengono poste, dal proprio datore di lavoro, nella condizione di presentare delle dimissioni volontarie.
È quanto accaduto a una lavoratrice di un ente pubblico: nel momento in cui la direzione ha saputo della sua maternità, ha ritenuto opportuno trasformare il rapporto di lavoro da part-time in full time, e lei si è trovata costretta a presentare le sue dimissioni.
Una praticante avvocato madre ha chiesto un aumento allo studio in cui lavora ed è “stata invitata a non presentarsi in studio, subendo gravi irregolarità e discriminazioni nel corso dell'intero periodo della pratica anche con violenza verbale (anche a sfondo sessuale) pesante, istigazione al suicidio, sfruttamento lavorativo”.
Diritti e cultura
La sociologa e psicanalista Nancy Chodorow nel libro La funzione materna. Psicanalisi e sociologia del ruolo materno scrive che “la divisione sessuale e familiare del lavoro, per cui le donne fanno le madri, […] produce uomini e donne il cui genere è assegnato dalla società e che costituiscono tra loro rapporti eterosessuali asimmetrici”.
Per superare queste asimmetrie c’è bisogno garantire alle coppie che vogliono dei figli una gestione paritaria degli incarichi domestici e familiari, così come c’è bisogno di garantire alle donne i diritti che ancora non hanno, in modo da renderle pienamente libere di percorrere qualunque strada vogliano percorrere - anche quella della maternità - senza ostacoli.
Per realizzare tutto questo è importante, oltre a misure come l’adozione di congedi parentali obbligatori uguali sia per le madri che per i padri e diminuire il costo degli asili nido, cambiare la cultura che vede le donne legate indissolubilmente al ruolo di madri e “figure” dedite all’accudimento di casa, figli, mariti. E la cultura si cambia attraverso le parole, il dialogo.
Il dibattito sui social c’è, ma questioni come le discriminazioni di genere si affrontano con continuità soltanto nella bolla di chi si occupa di queste tematiche.
Molti si esprimono, talvolta soltanto per dire ai propri amici: “Guardatemi, questa è la parte giusta della barricata e ci sono anch’io”.
I social, seppur importanti, non possono essere l’unico spazio in cui se ne parla quando c’è un hashtag in tendenza.
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C’è il mio nuovo libro lo trovate qui. E ne ho scritto qui.
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Il Podcast: La Confessione
Ascolta La Confessione, il podcast di inchiesta che rivela per la prima volta da dentro come funziona il sistema di copertura e insabbiamento degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana.
Un podcast realizzato da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, realizzato grazie al sostegno della comunità di Appunti. Con la collaborazione di Carmelo Rosa e la consulenza per musiche ed effetti di Stefano Tumiati.
È importantissimo parlarne, pretendere di essere ascoltate. Io sono una mamma lavoratrice, ho avuto un compagno intelligente che mi ha aiutato con i soli suoi mezzi a realizzare la nostra famiglia. Lo stato fa molto poco. Non ci sono sufficienti polithe in aiuto alle famiglie. Ma ho due figlie femmine e colgo qualche piccolo segnale nei loro compagni che mi fa sperare. Ma sono troppo deboli. Quando si vota bisogna pretendere queste cose e non solo perché scritte nei programmi elettorali che poi giacono nei cassetti.
Mi sono appuntato i temi affrontati in questo articolo, come sempre provocatorio: denatalità, discriminazioni, aborto, società, emancipazione, politiche per la famiglia nelle varie declinazioni, mobbing, social. Le tematiche non seguono un filo conduttore e si ripetono alternandosi. Ci sono tante considerazioni, alcune forse anche considivisibili, ma qual'e' l'idea che si vuole trasmettere?