Ribelliamoci alla prova costume
NESSUNA - La rubrica di Anna Menale per Appunti su donne e questioni di genere: l'obbligo di essere in forma per rispettare standard impossibili è una imposizione alla quale si può resistere
Alle donne si insegna a scindere il proprio corpo in parti diverse, da valutare separatamente. Seno, piedi, fianchi, girovita, collo, occhi, capelli, e così via. Ogni parte è sottoposta a uno scrutinio nervoso, ansioso e spesso disperato
Susan Sontag
È iniziato agosto, con agosto iniziano le vacanze e con le vacanze inizia la prova costume. O meglio, una prova che in realtà non è una vera prova, ma di cui continuiamo a parlare.
Ho venticinque anni e la prova costume esiste da quando ne ho memoria. Da piccola sulle riviste che andavano di moda – Cioè e simili – si parlava moltissimo di pancia piatta come requisito fondamentale per andare al mare in ottima forma.
In tv seguivo molto le sfilate di moda, ricordo modelle magrissime e ricordo anche di aver pensato: non sono e non sarò mai come loro.
Non avevo la pancia piatta (non ce l’ho neanche adesso, ma non m’importa più) e andavo ancora alle medie quando passavo almeno un quarto d’ora davanti allo specchio provando a trattenerla per apparire più simile a quelle modelle che ammiravo.
Oggi i tempi sono cambiati?
Cercando “prova costume” su Google ci sono tanti articoli che parlano di quanto sia sbagliato pensare che esista e di quanto sia giusto, invece, provare a star bene con il proprio corpo. Ma ci sono tantissimi altri articoli che consigliano come superarla al meglio e in cui si votano i corpi delle donne in base al superamento della prova costume.
Alessia Marcuzzi e la prova costume: superata!, è il titolo di un articolo pubblicato su Sportmediaset. I segreti del cuscinetto per la prova costume, è il titolo di un altro articolo pubblicato sul Messaggero: una nuova tendenza fitness per avere la pancia piatta e superare finalmente la prova costume.
Ci sono anche consigli di diete last minute da provare per perdere peso e avere un fisico perfetto al mare.
La prova costume non sparisce e soprattutto non spariscono gli standard di bellezza sui corpi delle donne da cui deriva, che rappresentano il problema più grande, perché l’industria della bellezza non va in ferie dopo l’estate.
Intanto, si consigliano prima le diete e poi il mare, senza dimenticare le creme per combattere la cellulite e le smagliature. Ah, e le gambe super depilate per essere più femminili, come in quest’altro titolo: Come avere le gambe lisce e perfette per l’estate.
Il rapporto con il corpo
Un’indagine condotta da Eurispes nel 2023 con la partecipazione di 1.048 donne su tutto il territorio nazionale, dai 18 anni in su, mostra che in Italia il 36,4 per cento delle donne valuta negativamente il rapporto con il proprio corpo e il 63,6 per cento lo valuta positivamente.
Ma non è soltanto una questione di numeri: pur prevalendo le donne che vivono in modo sereno il rapporto con il proprio corpo, le loro risposte lasciano intuire come nella maggioranza dei casi si tratti di un rapporto caratterizzato da una soddisfazione soltanto complessiva, «con elementi critici».
Un altro dato del report da sottolineare è che la percentuale di donne che dichiarano di avere un buon rapporto con il proprio corpo è maggiore tra le donne dai 65 anni in su (66,1 per cento) rispetto alle più giovani (58,8 per cento).
Tra le giovani si riscontra la percentuale più alta di chi dichiara di avere un rapporto del tutto negativo con il proprio corpo (15,3 per cento).
Tra tutte le donne intervistate, invece, «oltre un terzo confessa di essere poco soddisfatta del proprio aspetto esteriore e quasi una su dieci addirittura per nulla».
La tendenza a considerare l’aspetto fisico un qualcosa di cui prendersi particolarmente cura è diffusissima.
La maggior parte delle donne intervistate, infatti, attribuisce una certa importanza alla cura del proprio aspetto esteriore (74,5 per cento); per il 51,5 per cento è abbastanza importante, mentre per il 23 per cento è molto importante. Un'intervistata su quattro (25,5 per cento) esprime un'opinione negativa: per il 21 per cento l'aspetto esteriore conta poco, e per il 4,5 per cento non ha alcuna importanza.
“Il maggiore investimento sulla cura dell’aspetto fisico in età molto giovane è in buona parte riflesso delle richieste sociali e della centralità delle dinamiche tra i sessi”, si legge nel report, e non mi sorprende, considerando che viviamo in un’epoca in cui basta entrare su Instagram per trovare nel proprio feed e storie sponsorizzazioni di trucchi, creme, rasoi, collant da indossare per migliorare l’aspetto delle proprie gambe o glutei.
Un terzo delle donne intervistate (33,2 per cento) dichiara di spendere in media tra 10 e 50 euro al mese per la cura del proprio aspetto (inclusi cosmetici, parrucchiere, depilazione, unghie, trattamenti, ecc), mentre il 29,5 per cento spende tra 51 e 100 euro e il 19,7 per cento tra 100 e 300 euro.
Oggi, tra i tanti, vanno molto di moda i prodotti per la cura del viso.
Per il sito Statista, il mercato della skincare è destinato a crescere sempre di più. Entro la fine di quest’anno, dovrebbe raggiungere un fatturato di 186,60 miliardi di dollari a livello mondiale, con una successiva graduale crescita di circa il 6 per cento ogni anno fino al 2027.
Il grosso della crescita sarà per le bambine. Esiste già un fenomeno, quello delle Sephora Kids (ovvero bambine che ricorrono alla skincare, spesso con prodotti per adulte), di cui si è parlato in questo documentario della NBC in cui è intervenuta anche la giornalista Jessica DeFino, che oggi cura una newsletter sui lati oscuri dell’industria della bellezza:
“I prodotti sono pensati per adulte, ma si può notare come si stiano prestando sempre di più alle giovani consumatrici. Ciò che noi associamo alla femminilità non è un dato naturale, ma un costrutto sociale. Associando l’essere donna all’essere il “più bella possibile”, diffondiamo uno standard pericoloso”.
Oggi la bellezza non è soltanto una dote naturale, ma un oggetto vendibile – attraverso creme, prodotti estetici, chirurgia estetica – e quindi ottenibile, acquistabile, con un piccolo sforzo. Ma questo è un grande inganno.
L’obbligo della bellezza
Susan Sontag, nel libro Sulle Donne (una raccolta di articoli pubblicati tra il 1972 e 1975), scrive:
“Alle donne si insegna a scindere il proprio corpo in parti diverse, da valutare separatamente. Seno, piedi, fianchi, girovita, collo, occhi, capelli, e così via. Ogni parte è sottoposta a uno scrutinio nervoso, ansioso e spesso disperato”.
È ciò che succede ancora oggi, quando si propongono alle donne prodotti di ogni tipo per raggiungere il perfetto ideale di bellezza: se sei davvero bella, non puoi avere nulla fuori posto.
Sontag scrive che la bellezza è considerata “innata”, ma allo stesso tempo si suppone che sia possibile acquisirla grazie all’esercizio fisico, alimentazione corretta e creme.
La bellezza può essere “insegnata”, ma non muove “sentimenti egualitari”. Sontag, infatti, scrive che “la bellezza è un sistema classista, che opera all’interno di un codice sessista”. Perché è un’ininterrotta scalata sociale – possiamo pensare agli annunci di lavoro in cui cercano donne di bella presenza – i cui requisiti cambiano nel tempo.
È soltanto un’illusione pensare che i requisiti per entrare a far parte di quella che Sontag chiama «aristocrazia del bello» siano facilmente accessibili.
Possiamo permetterci tutti ogni mese i trattamenti estetici che ci vengono proposti su Instagram a duecento euro?
La risposta è no, e tra l’altro quei trattamenti non ci servirebbero, se non esistesse l’ideale di bellezza che esiste oggi, che è un ideale da società del consumismo, cioè un ideale che risponde, continua Sontag, “all’esigenza di creare dei bisogni che prima non esistevano”.
La bellezza non è un ideale universale, cambia in continuazione, e lo fa in modo così veloce che “nessun volto o corporatura ideale resterà tale” per sempre. E per Sontag è proprio questa la chiave per analizzare l’effimero valore della bellezza: attraverso la consapevolezza che si trasforma. È soltanto un costrutto sociale.
La bellezza è un mito che resiste e, come suggerisce Sontag, dovremmo iniziare a prenderlo meno seriamente. Perché “non è sbagliato il desiderio di essere bella, bensì l’obbligo di esserlo – o di sforzarsi di esserlo”.
La prova costume, così come l’industria della bellezza che l’ha creata, non va in ferie. Intanto, io ho smesso di fare gli addominali davanti allo specchio per avere la pancia piatta.
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Da Donald Trump negli Stati Uniti, ad Alternative für Deutschland in Germania, a Nigel Farage in Gran Bretagna, a Marine Le Pen e Jordan Bardella in Francia.
Questo rinnovato successo delle foze più antidemocratiche ha colto molti di sorpresa e suscita sconcerto.
Cosa si può fare? Ne discutiamo su Appunti per tutta l’estate.
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Un podcast realizzato da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, realizzato grazie al sostegno della comunità di Appunti. Con la collaborazione di Carmelo Rosa e la consulenza per musiche ed effetti di Stefano Tumiati.
Quel video sui cosmetici per minorenni e' onestamente agghiacciante. Che si combina perfettamente insieme all'immagine (AI generated?) delle ragazze in costume - una delle quali con quattro braccia.
Una volta le bambine giocavano con un tipo bambole che potevano truccare. La perversione raggiunta del capitalismo vuole adesso trasformare le bambine in bambole e - ovviamente - influencer.
sempre interessante leggerti, sì