Non c'è più l'Europa di una volta
Come si fa ad avere un dibattito informato in vista delle elezioni di giugno se la maggior parte degli elettori non ha idea di come funzioni l'Ue? Anche i programmi dei partiti - vedi Pd - sono vaghi
Rispetto al confronto politico italiano, a Bruxelles c’è una sostanza diversa. L’attenzione è molto più concentrata sui provvedimenti, sulle misure. Lo “scontro” è molto più indirizzato a orientare le scelte di “governo” reale della situazione
Claudio Tito
Buongiorno a tutte e tutti,
mi è capitato ieri di partecipare a una trasmissione tv, L’aria che tira di David Parenzo su La7, dove si parlava tra l’altro di elezioni europee e del rapporto di Mario Draghi, per conto della Commissione europea, sul futuro dell’Unione.
Come ovvio, la discussione è stata tutta centrata sulle prospettive personali di Draghi, sulle mosse di Giorgia Meloni, sui rapporti della premier con l’ex presidente del Consiglio e della Bce e con l’attuale presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
A parte i commenti da bar ad alto tasso alcolico del mio quasi omonimo Vittorio Feltri, che in sua presenza rendono quasi impossibile una discussione sensata su qualunque argomento, il dibattito in studio è stata la classica discussione sull’Europa che si fa in Italia.
Cioè un racconto della politica europea che è la trasposizione di quello che si fa della politica italiana: sembra quasi che la scelta del vertice delle istituzioni dipenda da Giorgia Meloni, e che la vera posta in gioco delle elezioni dell’8 e 9 giugno sia stabilire quanta sintonia ci sarà tra Bruxelles e Roma.
Del contenuto dei due rapporti - quello di Mario Draghi e quello di Enrico Letta - non c’è stato quasi il tempo di discutere. Figurarsi delle complesse questioni di policy che toccano: serve più o meno concorrenza? Come può l’Europa essere competitiva sul digitale? E quale politica industriale ha senso fare nel settore della difesa?
Già conosco l'obiezione: mica vorrai parlare di cose così complicate in televisione, meglio saltellare tra il futuro della Commissione e Vittorio Feltri che dice che i manganelli sulle teste degli studenti sono educativi.
Capisco il punto in termini di share, soltanto per spiegare le sigle riempiono ogni discussione su questioni europee ci vorrebbe mezz’ora.
Però mi chiedo: ma come è immaginabile che gli italiani - e gli europei - votino a giugno con una qualche consapevolezza se dei temi oggetto di discussione non si discute praticamente in alcun contesto se non i seminari accademici o le riunioni a porte chiuse delle associazioni di imprese con i loro lobbisti e, talvolta, i politici coinvolti?
Non ci si può stupire che le europee finiscano per avere una rilevanza tutta interna, equivalente italico delle elezioni di Mid-term americane: un voto con sistema proporzionale, invece che l’incomprensibile legge quasi-maggioritaria che vige alle elezioni politiche, diventa un ottimo test per misurare i rapporti di forza all’interno delle singole coalizioni. Ma non molto di più.
Il Partito democratico ha presentato delle sue priorità per l’Europa, ma chi ci capisce qualcosa è bravo: cosa vuol dire che il Pd vuole “un’Europa per la pace e non per la guerra” e chiede un cessate il fuoco? La card del Pd non specifica neppure in quale guerra. Più che una proposta politica pare un meme.
La lista Siamo europei di Carlo Calenda, sul punto, ha presentato un documento molto più esplicito: sostegno all’Ucraina per riconquistare il suo territorio ancora sotto il controllo della Russia.
Chissà se Calenda riuscirà però a convincere qualcuno dei 270.000 elettori che lo hanno votato nel 2019 nelle liste del Pd, nel quale era appena entrato e dal quale è uscito subito dopo causa accordo con i Cinque stelle in Italia, per poi dimettersi dal Parlamento europeo nel 2022 per fare il senatore (nel mezzo aveva provato a fare anche il sindaco di Roma ed era entrato, per un attimo, in Consiglio comunale).
Quello che mi chiedo è come sia possibile fare una campagna informata se mancano molte informazioni preliminari ai cittadini. Immaginate come sarebbe un’elezione politica in Italia se gli elettori confondessero Camera e presidenza del Consiglio, il Senato con il Quirinale.
Le elezioni europee sono anche le uniche nelle quali entrano direttamente le istituzioni, che cercano di convincere gli elettori a votare, o almeno a interessarsene.
La Bocconi, con l’Institute for European Policymaking, il Parlamento europeo e il Comune di Milano si impegnerà in una serie di talk e incontri con cittadini in zone di Milano difficili per spiegare come funziona l’Unione europea e rispondere alle domande.
Non so come andrà l’iniziativa, che partirà nei prossimi giorni, ma di sicuro vale la pena provarci: io non ne avevo idea, ma ci sono municipi di Milano dove l’astensionismo alle elezioni europee supera di parecchio il 50 per cento e arriva all’incredibile percentuale dell’88 per cento (Municipio 5, Antonini/Ortles).
Si discute molto del fatto che l’Unione europea non è un vero Stato, ma non è neppure una vera polity, nel senso di comunità politica (consiglio un paper di Maurizio Ferrera sull’argomento) se ci sono aree - per altro quelle che più dovrebbero sperare in politiche europee efficaci - che ignorano completamente l’elezione diretta del Parlamento europeo.
E questo ci riporta ai giornalisti, che hanno il compito di colmare questo vuoto di conoscenza. Non per forza banalizzando, e magari neppure semplificando, ma con un grande sforzo - che dovrebbe essere l’essenza del nostro lavoro - per far emergere il cuore politico di dibattiti all’apparenza tecnici come il prossimo budget settennale, la direttiva sulle case verdi o la possibile emissione di debito comune per finanziare le spese militari.
Pubblico oggi con piacere qui un pezzo di Claudio Tito di Repubblica, che dopo una vita a raccontare la politica italiana e una fase da vicedirettore, è andato a Bruxelles per fare il corrispondente. Ora ha pubblicato un libro sui suoi primi anni al centro della più profonda trasformazione dell’Unione dai tempi dell’eurocrisi: Nazione europa (Piemme).
Gli ho chiesto di spiegarci cosa ha imparato sull’Europa e sul modo di raccontarla.
Buona giornata,
Stefano
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La politica vista da Bruxelles
di Claudio Tito
Non c’è più l’Europa di una volta. Si potrebbe dire così. Usando una formula abusata nei luoghi comuni. Ma in effetti l’Unione europea negli ultimi quattro anni è cambiata in maniera sostanziale. E i cambiamenti sono stati in larga parte migliorativi.
Nel mio libro Nazione Europa – Perché la ricetta sovranista è destinata alla sconfitta, edito da Piemme, descrivo proprio questi cambiamenti. E spiego perché le sfide di questo millennio e le crisi che ciclicamente si presentano con una tempistica sempre più ravvicinata, non si possono affrontare con le singole nazioni, ma collettivamente. Appunto con la “Nazione Europa”.
L’Ue si è sempre definita attraverso le crisi, una frase di Jean Monnet diventata una sorta di feticcio degli europeisti. Che però disegna bene quello che è accaduto negli ultimi quattro anni.
L’Europa ha infatti dovuto fronteggiare contemporaneamente la pandemia, la crisi economica e le conseguenze della guerra in Ucraina. In tutti e tre i casi, anche se in modi diversi, la risposta ha determinato un balzo in avanti nel processo di integrazione europea.
Soprattutto ha fatto capire che un singolo Paese non è più in grado di fornire le risposte adeguate di fronte ai problemi che presenta la globalizzazione. E per risposte si intende le risposte da dare ai cittadini per consentire loro di superare le difficoltà. Per il Covid, ad esempio, solo l’acquisto collettivo e la distribuzione comune dei vaccini ha posto un argine alla diffusione del virus.
La Commissione europea si è conquistata uno spazio politico e amministrativo che in precedenza non aveva. E non lo aveva perché i trattati affidano ancora adesso agli Stati nazionali la competenza sulla salute.
Lo step successivo è stato ancora più decisivo: il Recovery Fund. Per porre un baluardo alla crisi economica per la prima volta i 27 Paesi dell’Unione hanno accettato di emettere debito comune. Debito pubblico dell’Ue. Il massimo della condivisione finanziaria.
Con la guerra in Ucraina si è iniziata a parlare concretamente di Difesa comune. Questo forse è il punto su cui il Vecchio Continente è più indietro. Eppure si è capito che anche su questo terreno, nessuno esercito nazionale è in grado di fronteggiare le emergenze.
Si tratta dunque di passi avanti irreversibili. Da completare. Con un ulteriore trasferimento di poteri dagli Stati nazionali all’Ue. Con l’obiettivo finale di una federazione.
La realtà fa infatti capire quanto sia demagogica la ricetta sovranista. Tanto che, quando i sostenitori di questa teoria – come il governo italiano – entrano nella stanza dei bottoni, devono compiere una serie di capriole per cambiare rotta e adeguarsi al principio di realtà.
Del resto la globalizzazione ha globalizzato l’economia, ma anche le malattie e la guerra. I nostri competitor sono “grandi”: la Cina, l’India, la Russia. Se l’Europa non è unita, non è competitiva ed è destinata all’irrilevanza.
Anche il lavoro giornalistico a Bruxelles è cambiato. L’aspetto economico rimane prevalente. Le ripercussioni sulle finanze dei singoli Stati membri restano rilevanti. Anche perché – ed è uno dei fattori che meno si coglie in Italia – la stragrande maggioranza delle decisioni che ci riguardano sono assunte nelle istituzioni europee. Il governo italiano deve passare di là per varare un qualsiasi tipo di provvedimento. Ma appunto, dall’economia, il raggio di azione dei corrispondenti si sta progressivamente allargando: salute, agricoltura, trasporti, difesa, politica estera. E “politica” nel senso più stretto del termine.
Le “famiglie politiche” d’Europa dai Popolari ai Socialisti, sono diventati soggetti molto più attivi e presenti rispetto al passato. Ed è l’effetto dei passi avanti compiuto nel percorso di integrazione.
Ma anche perché il dibattitto è più concreto. Rispetto al confronto politico italiano c’è una sostanza diversa. L’attenzione è molto più concentrata sui provvedimenti, sulle misure. Lo “scontro” è molto più indirizzato a orientare le scelte di “governo” reale della situazione.
Nel libro Nazione Europa – Perché la ricetta sovranista è destinata alla sconfitta, descrivo tutto questo. Avvertendo dei rischi di chi continua a remare contro. Perché soprattutto in alcuni singoli Paesi, il rigurgito della destra sovranista è imponente. Ma anche confidando nella ineluttabile capacità dei fatti di affermarsi. E nell’istinto di sopravvivenza di tutte le comunità di donne e uomini. In questo contesto mondiale si sopravvive solo se ci si unisce e non se ci si divide.
Il nuovo libro
C’è il mio nuovo libro lo trovate qui. E ne ho scritto qui.
Se volete vedere la presentazione a Quante storie, il programma di Rai3 condotto da Giorgio Zanchini, cliccate qui sotto: è su RaiPlay.
Il Podcast: La Confessione
Ascolta La Confessione, il podcast di inchiesta che rivela per la prima volta da dentro come funziona il sistema di copertura e insabbiamento degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana.
Un podcast realizzato da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, realizzato grazie al sostegno della comunità di Appunti. Con la collaborazione di Carmelo Rosa e la consulenza per musiche ed effetti di Stefano Tumiati.
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Torino, 18 Aprile
Appunti è un sito e una newsletter lanciati da Stefano Feltri dopo l'uscita da Domani: l'idea è costruire un progetto orizzontale e partecipato, e non verticale come un giornale.
Oltre alle analisi e ai commenti di Stefano Feltri, a collaborare ci sono anche diversi autori con rubriche nelle quali trattano i temi più svariati, dall'intelligenza artificiale alle questioni di genere alla geopolitica. Le idee, gli articoli e le rubriche nascono dall'interazione con la comunità dei lettori e delle lettrici, che ha anche contribuito a finanziare il podcast di inchiesta La Confessione.
Parleremo di questo progetto giovedì 18 aprile alle ore 19.30 nella nostra Biblioteca di Palazzo San Daniele, insieme a Stefano Feltri, Federica Tourn, Nicolas Lozito e Andrea Giambartolomei.
GIO 18/04 - ore 19.30
Biblioteca e Archivi, Polo del ‘900
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Finché professionisti seri come lei non si rifiuteranno categoricamente di partecipare a trasmissioni spazzatura la situazione sarà irredimiile
Non c'è che dire argomentazioni validissime. Ma il punto di vista critico dell'italiano medio è il vero problema.