Un ricercatore qualche tempo fa mi ha detto che l'alta formazione in Italia è morta da tempo a causa del berlusconismo: gli unici che dovevano fare carriera erano quelli che incensavano il cavaliere e lo aiutavano.
La storia raccontata oggi così bene da Valeria Croce conferma quest'idea, in Italia ormai chi ha un percorso di studi così elevato trova le stesse offerte di uno uscito con 90 dall'università.
Da questo punto di vista sarebbe bello sentire la voce di un influencer, do un creatore di contenuti almeno di un marketing manager che ha lasciato l'Italia, aprirebbe prospettive inedite secondo me.
Profondo rispetto per tutte le esperienze degli expat che ci raccontano di quanto sia meglio fuori rispetto alla sempre bistrattata Italia. Quasi sempre in questi resoconti, talvolta giovanili o volutamente di formazione, nella seconda parte ci sono riferimenti a luoghi comuni sul cibo o sul clima (ma come pensate di vivere in Danimarca se siete nati a sud delle Alpi ?!?!) e amenità varie. Sarebbe interessante poi chiedere quanti amici locali hanno in nord Europa anche dopo 10 anni che sono lì.
Personalmente questo tipo di resoconto penso che non porti nulla al dibattito italiano. Anzi, per certi versi offre una risposta comoda a tutto ciò che non funziona come dovrebbe: giovani andatevene. Ecco, se qualcuno ha a cuore le vicende di questo paese senza limitarsi alla lamentela perenne verso il governante di turno o verso tutto ciò che vorrebbe diverso da come gli appare, questa narrazione è assai di comodo per continuare a stare seduti, magari all’ora dell’aperitivo limitandosi a pensare a cosa fare nel weekend o dove prenotare per le ferie estive.
Bhe, se si vuol provare a dare risposte diverse e necessario produrre una tensione diversa nella società, generare un dibattito che ipotizzi scelte forti e che smetta di dire ai giovani, formati e non, andatevene che questo è un brutto paese.
Un dibattito che porti la politica a mettere sul piatto l’idea che forse dovrebbe mettere più soldi in tasca ad un ricercatore o ad un medico di base che non ad un pensionato. Scelte forti, ma ormai quasi ineluttabili se si vuole cambiare inerzia. Del resto carsicamente (e da destra) questo governo che ha vinto promettendo meno tasse le sta alzando (giustamente) in maniera serrata.
Attenzione, i grandi talenti andranno sempre via perché certe opportunità sono naturalmente altrove, specie in ambito scientifico. Altri andranno via perché si parte per tanti motivi, non solo perché in Italia le cose non funzionano. Altri ancora andranno perché hanno le loro legittime ambizioni che prescindono da questi temi.
Limitarsi alla testimonianza, alla sterile denuncia senza incidere su dibattito serve a poco, anzi forse è addirittura nocivo perché la risposta sistemica è: siete bravi andatavene da questo paese. Anzi, conosco molti colleghi che ipotizzano proprio questo per i loro figli.
Ecco perché c’è un cortocircuito nel dibattito interno su questi temi e gli unici che hanno il potere di rovesciare la prospettiva sono i giovani. Altrimenti la politica continuerà a vincere le elezioni su quota 100 o 101 o 103 che sia, sui barconi e su come far egoisticamente pagare meno tasse domani mattina al cinquantenne egoista.
Buonasera Enrico, é l’unico caso trattato da questa rubrica in cui si parla di un expat (come lo definisce lei) che decide di rimanere nel paese in cui é emigrato, tutti gli altri racconti parlano di Italiani che poi decidono, dopo un periodo piu o meno lungo di rientrare, stimolando quindi il giovane, il lettore a non abbandonarsi alla narrativa del “fuori é sempre meglio”. La cosa che non bisogna sempre lamentarsi delle cose che non vanno nel nostro bel paese ma anzi bisogna agire per cambiarle mi sembra un lamento del lamento. Nessuno qui lamentandosi passivamente si mette nella posizione di non agire, anzi. Chi va fuori, chi rientra e chi rimane, a mio modo di vedere, combatte la stesse battaglia. Storie e interviste come questa, approfondite, soggettive, e con spunti di riflessione personali le trovo distanti dai soliti freddi racconti statistici di “cervelli in fuga”.
Ciao Matteo, non li definisco io, si tratta di un termine ampiamente in uso tra la comunità italiana di recente emigrazione in UK. E aggiungerei che non c’è connotazione alcuna nella definizione.
Sinceramente Non ho capito la parte del lamento nel lamento, cosa significa?
La mia posizione è molto chiara, ed è tutt’altro che statica, anzi invita i giovani (e chi senno per cambiare agenda?) a prendere posizione, a ribellarsi al racconto di chi dice loro andatavene per comodo egoismo generazionale o peggio per crassa ignoranza e acuto provincialismo. Tutto qua.
Un ricercatore qualche tempo fa mi ha detto che l'alta formazione in Italia è morta da tempo a causa del berlusconismo: gli unici che dovevano fare carriera erano quelli che incensavano il cavaliere e lo aiutavano.
La storia raccontata oggi così bene da Valeria Croce conferma quest'idea, in Italia ormai chi ha un percorso di studi così elevato trova le stesse offerte di uno uscito con 90 dall'università.
Da questo punto di vista sarebbe bello sentire la voce di un influencer, do un creatore di contenuti almeno di un marketing manager che ha lasciato l'Italia, aprirebbe prospettive inedite secondo me.
Profondo rispetto per tutte le esperienze degli expat che ci raccontano di quanto sia meglio fuori rispetto alla sempre bistrattata Italia. Quasi sempre in questi resoconti, talvolta giovanili o volutamente di formazione, nella seconda parte ci sono riferimenti a luoghi comuni sul cibo o sul clima (ma come pensate di vivere in Danimarca se siete nati a sud delle Alpi ?!?!) e amenità varie. Sarebbe interessante poi chiedere quanti amici locali hanno in nord Europa anche dopo 10 anni che sono lì.
Personalmente questo tipo di resoconto penso che non porti nulla al dibattito italiano. Anzi, per certi versi offre una risposta comoda a tutto ciò che non funziona come dovrebbe: giovani andatevene. Ecco, se qualcuno ha a cuore le vicende di questo paese senza limitarsi alla lamentela perenne verso il governante di turno o verso tutto ciò che vorrebbe diverso da come gli appare, questa narrazione è assai di comodo per continuare a stare seduti, magari all’ora dell’aperitivo limitandosi a pensare a cosa fare nel weekend o dove prenotare per le ferie estive.
Bhe, se si vuol provare a dare risposte diverse e necessario produrre una tensione diversa nella società, generare un dibattito che ipotizzi scelte forti e che smetta di dire ai giovani, formati e non, andatevene che questo è un brutto paese.
Un dibattito che porti la politica a mettere sul piatto l’idea che forse dovrebbe mettere più soldi in tasca ad un ricercatore o ad un medico di base che non ad un pensionato. Scelte forti, ma ormai quasi ineluttabili se si vuole cambiare inerzia. Del resto carsicamente (e da destra) questo governo che ha vinto promettendo meno tasse le sta alzando (giustamente) in maniera serrata.
Attenzione, i grandi talenti andranno sempre via perché certe opportunità sono naturalmente altrove, specie in ambito scientifico. Altri andranno via perché si parte per tanti motivi, non solo perché in Italia le cose non funzionano. Altri ancora andranno perché hanno le loro legittime ambizioni che prescindono da questi temi.
Limitarsi alla testimonianza, alla sterile denuncia senza incidere su dibattito serve a poco, anzi forse è addirittura nocivo perché la risposta sistemica è: siete bravi andatavene da questo paese. Anzi, conosco molti colleghi che ipotizzano proprio questo per i loro figli.
Ecco perché c’è un cortocircuito nel dibattito interno su questi temi e gli unici che hanno il potere di rovesciare la prospettiva sono i giovani. Altrimenti la politica continuerà a vincere le elezioni su quota 100 o 101 o 103 che sia, sui barconi e su come far egoisticamente pagare meno tasse domani mattina al cinquantenne egoista.
Buonasera Enrico, é l’unico caso trattato da questa rubrica in cui si parla di un expat (come lo definisce lei) che decide di rimanere nel paese in cui é emigrato, tutti gli altri racconti parlano di Italiani che poi decidono, dopo un periodo piu o meno lungo di rientrare, stimolando quindi il giovane, il lettore a non abbandonarsi alla narrativa del “fuori é sempre meglio”. La cosa che non bisogna sempre lamentarsi delle cose che non vanno nel nostro bel paese ma anzi bisogna agire per cambiarle mi sembra un lamento del lamento. Nessuno qui lamentandosi passivamente si mette nella posizione di non agire, anzi. Chi va fuori, chi rientra e chi rimane, a mio modo di vedere, combatte la stesse battaglia. Storie e interviste come questa, approfondite, soggettive, e con spunti di riflessione personali le trovo distanti dai soliti freddi racconti statistici di “cervelli in fuga”.
Ciao Matteo, non li definisco io, si tratta di un termine ampiamente in uso tra la comunità italiana di recente emigrazione in UK. E aggiungerei che non c’è connotazione alcuna nella definizione.
Sinceramente Non ho capito la parte del lamento nel lamento, cosa significa?
La mia posizione è molto chiara, ed è tutt’altro che statica, anzi invita i giovani (e chi senno per cambiare agenda?) a prendere posizione, a ribellarsi al racconto di chi dice loro andatavene per comodo egoismo generazionale o peggio per crassa ignoranza e acuto provincialismo. Tutto qua.