Il senso delle proporzioni
Il ministro Valditara vuole che la scuola italiana si concentri sulla cultura europea e occidentale, ma il vero rischio è che ci dimentichiamo tutto il resto
Le proposte che mirano a delimitare o anche a chiudere il nostro orizzonte culturale negano l’anima profonda e l’aspetto più prezioso e irrinunciabile, questo sì, della nostra cultura. Una scuola dall’orizzonte limitato non è la scuola di cui abbiamo bisogno.
Davvero c’è bisogno di leggere la Bibbia oggi per rafforzare la nostra identità culturale? Davvero è necessario concentrarsi sulla storia italiana e quella occidentale perché rischiamo di vedere la nostra cultura sfocare in un pernicioso multiculturalismo in cui i nostri valori si perdono o si contaminano?
Le proposte del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, sostenute da ricerche di illustri docenti universitari come Ernesto Galli della Loggia e altri, stanno suscitando un’ampia discussione, che vale la pena di aprire ancora di più.
Secondo la logica che muove queste proposte sembra sia necessario scendere in difesa di valori che sono a rischio e che occorre salvaguardare da attacchi di ogni tipo.
Ma guardiamo la nostra vita: è sotto gli occhi di tutti che la nostra quotidianità è una sorta di patchwork.
La nostra auto è giapponese, i nostri vestiti sono confezionati in Cina, la carne spesso viene dall’Argentina, le materie prime con cui sono composti nostri smartphone vengono dal Sudafrica o dalle tundre russe, il caffè viene dall'Ecuador, e persino il grano della nostra pasta non è italiano, o almeno ben miscelato con altri da vari paesi non solo europei.
Viviamo, nel bene e nel male, in un mondo in cui gli elementi basilari della nostra quotidianità, anche quella di chi abita in un borgo italiano tra i più sperduti, devono il loro funzionamento ad altri mondi e ad altri stili di vita, senza i quali la nostra vita sarebbe oggi molto diversa.
Quale ragionamento supporta l’idea che, nonostante la nostra vita debba ampi pezzi della propria identità a Paesi anche molto lontani per storia e cultura, noi dobbiamo ora concentrarci su noi stessi lasciando ai margini la storia degli altri popoli cui dobbiamo ampie porzioni del nostro vivere di oggi?
Come se si fossero mai studiate nella scuola italiana le culture extraeuropee, come quella millenaria cinese o anche semplicemente quelle della vicina Europa, come quella ucraina, apparsa per molti di noi come realtà indipendente fornita di una importante vicenda solo in relazione alla recente occupazione russa.
Siamo sempre stati concentrati sulla nostra storia, sulla storia dell’Europa occidentale, sulla grande vicenda del nostro mondo, che abbiamo sempre considerato canone culturale universale, che abbiamo vissuto cioè come il punto di vista giusto da cui guardare gli altri, tutti gli altri, a partire dal poco che sappiamo dell’Europa orientale per finire alla cultura indiana o a quella tibetana, da sempre per noi sconosciute.
Oggi queste culture condividono il nostro presente - anche grazie all’enorme sviluppo delle telecomunicazioni che mettono in contatto diretto quotidianità lontanissime - e sono sempre meno sullo sfondo, sono sempre meno riducibili a culture che vivacchiano «nelle sale d’attesa della storia» mentre noi portiamo avanti la fiaccola della vera cultura, quella più ricca e complessa, quella da cui guardare gli altri con degnazione e senso di superiorità.
Provincializzare l’Europa
Oggi i Paesi che si riuniscono nei Brics rappresentano una potenza economica comparabile a quella occidentale, e al tempo stesso hanno sviluppato culture che producono intellettuali di altissimo livello, come lo storico indiano Dipesh Chakrabarty o l’economista Partha Dasgupta, che, pur insegnando nelle più prestigiose università occidentali, ci ricordano che la nostra è una tradizione culturale che ha una storia e un’origine geografica precisa, a cui va ricondotta.
Alcuni dicono che occorre «provincializzare l’Europa», cioè riportare la nostra cultura alla sua dimensione storica, cercando di smettere di pensare che si tratti di un canone universale, cui misurare tutto il resto.
Non è facile per nessuno di noi pensarla in questo modo, ma ammetto di avere oggi un interesse per la grandiosa e sconosciuta storia della Cina che non ho mai avuto in passato, quando sembrava che i cinesi fossero solo capaci di confezionare vestiti a basso costo senza alcuna originalità propria.
Il mondo intero è entrato direttamente nelle nostre vite, ci è scivolato dentro senza che ce ne accorgessimo ma qualcuno pensa che sia nostro compito difenderci, preservare i nostri valori come assoluti che non debbono essere posti in discussione, e forse non è un caso che si sia pensato di rappresentarli attraverso la Bibbia e non dall’Illuminismo.
Non sono dell’opinione “terzomondista” secondo la quale dobbiamo, secondo una logica “buonista”, rinunciare alle nostre peculiarità per fare spazio ad altre prospettive e ad altri valori o, peggio, dobbiamo censurare personaggi, autori e opere del passato: la nostra è una storia ricca e complessa di cui non vorrei fare a meno per nessun motivo.
Sentirsi europei è per tutti noi motivo d’orgoglio, la nostra cultura ha riempito la nostra vita e liberarcene non rientra tra i nostri progetti. Ma ora altri cominciano a farci capire che non è l’unica, e nemmeno quella verso cui tutti si stanno incamminando.
Se capiamo che il nostro mondo non è la sola opzione disponibile sul pianeta e che anzi questo mondo ha origine in una parte limitata e storicamente definibile del mondo, allora non potremo vedere nelle proposte culturali a difesa dell’Occidente un segno di intelligenza storica, ma solo il segno di un impotente desiderio di difesa e di salvaguardia dell’unicità di qualcosa che abbiamo sempre considerato universale e che ora qualcuno si sta incaricando di chiarirci che non tale non è.
La scienza e la filosofia occidentali sono chiamate oggi a cogliere l’occasione di un confronto con altre tradizioni e altri valori, senza per questo essere costrette a rinunciare alla propria eredità storica.
Questo non significa disperdere tutto l’enorme sforzo di comprensione generale – e dunque di emancipazione umana - e che è nella nostra vicenda e che non può certo essere identificato con la storia del capitalismo e del colonialismo, come qualcuno invece suggerisce.
Se c’è una caratteristica saliente della scienza occidentale è la capacità critica e autocritica, l’apertura alle obiezioni: trial and error, il metodo che funziona per tentativi ed errori è il criterio del progresso scientifico occidentale. Senza questo la scienza non sarebbe quello che è oggi e quello che è stata per secoli.
La chiusura non fa parte del paradigma occidentale, che è fatto per l’apertura più ampia e per il riconoscimento degli errori del passato e del presente.
Le proposte che mirano a delimitare o anche a chiudere il nostro orizzonte culturale negano l’anima profonda e l’aspetto più prezioso e irrinunciabile, questo sì, della nostra cultura. Una scuola dall’orizzonte limitato non è la scuola di cui abbiamo bisogno.
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Which EU Defense Spending to Address the War in Ukraine and Russia?
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There is broad consensus on the need for the EU to increase its defense spending and strengthen its military capabilities. What remains less clear, however, is the ultimate objective of such an effort that the EU needs
Should the EU’s top priority be to support Ukraine’s resistance in the short term, or to build a robust deterrence—primarily against Russia—over the medium term? Can it effectively pursue both goals simultaneously? And when it comes to the eastern front, what security approach should the EU adopt?
Drawing on the recent IEP@BU Policy Brief Before Vegetius: Critical Questions for European Defense, this discussion will explore how the EU can address these pressing strategic challenges.
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When Will Germany Be Back?
February 24, 2:30 PM-3:30 PM - ONLINE
The day after the federal snap election, we will explore the European consequences of the vote against the backdrop of Germany’s economic challenges.
In November 2024, a coalition government collapsed when Chancellor Olaf Scholz dismissed Finance Minister Christian Lindner, highlighting Germany’s ongoing struggle to balance its political ambitions, renewed security priorities, and stringent budget rules.
For the first time in decades, the European Union faces a dual leadership vacuum in Germany and France—two pivotal member states in EU politics.
Meanwhile, geopolitical and economic challenges continue to escalate: the war in Ukraine demands unwavering commitment from the EU's leading states and institutions, and Donald Trump’s return to power introduces uncertainty to global economic and multilateral governance.
Join us as we debrief the European implications of the German federal elections with Wolfgang Munchau and Diana Pieper.
Speakers:
Wolfgang Munchau is one of the foremost commentators on EU economic and political affairs. He is the director of Eurointelligence and the author of the recent book Kaput: The End of the German Miracle.
Diana Pieper is a Berlin-based journalist with Die Welt and an IEP@BU Media Fellow.
Stefano Feltri, IEP@BU communication advisor, will moderate the conversation.
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È l’assurdità di voler restringere l’orizzonte culturale della scuola italiana, come se il nostro passato e presente non fossero già intrecciati con il resto del mondo. La pizza, simbolo dell’orgoglio nazionale, ha radici negli antichi egizi. La chiamavano "pita". E allora? Dovremmo forse indignarci perché non è nata sotto il Vesuvio? La nostra stessa lingua, i nostri dialetti sono una miscela meravigliosa di lingue antiche e moderne che nei secoli hanno imparato ad integrarsi, contaminarsi, organicamente. Insistere su un futuro diviso, concentrato solo sull’Occidente, è come cercare di vincere una gara di sopravvivenza in solitaria mentre il resto del mondo collabora per costruire qualcosa di meglio. Non mi azzardo ad introdurre il tema della convivenza e co-esistenza con altre forme di vita sul pianeta… Solo quando accetteremo che siamo un unico genere umano – e non una serie di tribù in lotta – apriremo la strada a una vera evoluzione. Ma se preferiamo rimanere in competizione, almeno saremo i campioni di un rinnovato provincialismo medievale.
Potremmo anche aggiungere che, pure nel nostro piccolo mondo europeo, l’Occidente non esisterebbe e non si potrebbe comprendere, senza l’Oriente. Perfino la Bibbia ci ricorda che il cristianesimo è una religione orientale. Fosse stato per gli “occidentali” non avremmo la Chiesa che conosciamo oggi (e parto dal presupposto che Valditara apprezzi tutto lo status quo più rigoroso). Insomma, neanche il più conservatore ed eurocentrico degli insegnamenti dovrebbe poter esimersi da un confronto con le civiltà e culture non occidentali, salvo che si parli di indottrinamento travestiti da insegnamento.