Il paradosso all'Abcasia
La regione separatista della Georgia è sotto il controllo di Mosca, ma ha osato contestarne le decisioni. Proprio mentre in Georgia ci sono le rivolte pro-europee. E la strategia di Putin vacilla
L’obiettivo di Mosca nel sostenere il separatismo abcaso era di mantenere influenza ai suoi confini ed in particolare in Georgia, spezzandone l’integrità territoriale. Oggi, però, questa strategia può essere rimessa in discussione se il vassallo è reticente ad obbedire agli ordini di un padrone sempre meno attrattivo
Francesco Stuffer
Francesco Stuffer è un analista geopolitico dello Spykman Center
Il presidente dell’Abcasia Aslan Bzhania si è dimesso. Questa notizia, a seconda di chi la legge, provoca reazioni differenti. Per la maggior parte dei leader mondiali è irrilevante, dato che ai loro occhi l’Abcasia non è uno Stato e quindi non ha nessuna importanza che il suo autoproclamato presidente abbia abbandonato il suo fittizio incarico.
Per la Federazione russa, uno dei pochissimi Stati a riconoscerne l’indipendenza, le dimissioni di Bzhania sono un problema.
Per la Georgia, di cui l’Abcasia è teoricamente una regione, l’evento è un ulteriore colpo di scena in un frangente già sufficientemente intricato – il partito che esprime la maggioranza parlamentare a Tbilisi è accusato dalle opposizioni e dalla Presidente della Repubblica di aver vinto le ultime elezioni in modo illecito.
Per l’Abcasia stessa invece, le dimissioni del proprio presidente certificano una sorprendente dinamica politica, nonostante la situazione in cui questo piccolo paese a limitatissimo riconoscimento si trova.
Su Sukhumi – la sua capitale – incidono infatti diversi tipi di tensioni: giuridicamente parte della Georgia, l’Abcasia si è autoproclamata indipendente dopo un conflitto con Tbilisi nel 1992-93, che ha portato a un grande esodo di georgiani e all’incapacità del centro di controllare la regione separatista.
Dopo un ulteriore scontro nel 1998, l’invasione russa della Georgia dieci anni più tardi ha aumentato ancora di più la distanza tra Tbilisi e Sukhumi. Quest’ultima è passata dall’indipendenza dalla Georgia alla dipendenza di Mosca, che l’ha riconosciuta come Stato, vi ha costruito basi militari e navali, ne sostiene l’economia ed elargisce passaporti con l’aquila bicipite russa in copertina.
Gli ultimi trent’anni di storia abcasa presentano forti similitudini con altri territori dell’ex-Unione sovietica, dove separatismi veri o presunti risultati dalla dissoluzione dell’URSS sono stati usati da diversi attori, in primis da Mosca, per i loro obiettivi di politica estera (il pensiero può andare alla Transnistria o all’altra regione separatista georgiana, l’Ossezia del Sud, ma anche alle vecchie “repubbliche” di Donetsk e Luhansk oppure all’ormai defunto Nagorno-Karabakh/Artsakh, in Azerbaigian). L’Abcasia si sta però distinguendo per una caratteristica unica: si è permessa di sfidare il proprio padrone, la Russia.
Le dimissioni di Bzhania, infatti, seguono un periodo di tensione iniziato in estate, quando il parlamento locale ha ritirato il disegno di legge detto “degli appartamenti”, che avrebbe permesso ai non residenti (leggi: russi) di costruire e acquistare immobili. In ritorsione, la Russia ha sospeso il sostegno finanziario fino a che le restrizioni sugli investitori russi nel mercato immobiliare locale non venissero rimosse.
Quando il parlamento abcaso si è trovato a dover ratificare un accordo che cedeva alle domande russe, è esplosa la contestazione di piazza, con manifestanti che hanno assaltato e preso il controllo di edifici governativi.
Tra Sukhumi e Tbilisi si sta vivendo un autunno di paradossi: in Georgia, il partito del Sogno Georgiano, di proprietà di Bidzina Ivanishvili, oligarca dai legami con Mosca, è accusato di brogli elettorali.
Negli scorsi mesi, lo stesso partito aveva sostenuto e fatto approvare delle leggi sul modello di quelle prodotte dalla Duma a Mosca (su tutte, una che limita i diritti della comunità LGBT e una sugli “agenti stranieri”, che obbliga ogni entità che riceve più del 20 per cento dei suoi finanziamenti dall’estero a dichiararsi come “organizzazione che rappresenta gli interessi di un paese straniero”) per migliorare i rapporti con la Russia, paese che continua ad occupare militarmente due parti del suo territorio.
Però proprio in uno di questi territori occupati – l’Abcasia, appunto – si resiste ad almeno un diktat russo, arrivando addirittura a forzare il proprio presidente alle dimissioni.
Perché la Russia si preoccupa
Se da Mosca si poteva guardare con favore alle notizie arrivate dalla Georgia, quelle giunte dall’Abcasia sono più disturbanti: se un territorio dipendente economicamente e militarmente reagisce così energicamente alle sue richieste, ciò significa che la portata dell’influenza russa ha subito un certo ridimensionamento.
Il fatto che ciò avvenga nel Caucaso, territorio strategicamente importante per la Russia, i cui monti costituiscono l’unico vero confine geografico della Federazione e le cui popolazioni hanno spesso creato problemi al potere centrale, è ancora più preoccupante.
I territori dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud costituiscono ormai l’ultimo ridotto caucasico della Russia: le due guerre con cui l’Azerbaigian ha recuperato il Nagorno-Karabakh hanno segnalato l’ascesa di Baku (in tandem con Ankara) e contestualmente il mancato sostegno all’Armenia ha alienato Erevan. Se nel resto della Georgia la Russia gode di pessima stampa dalla guerra del 2008 e viene contestata pure nei territori che sostiene sotto ogni aspetto vuol dire che il quadro regionale è piuttosto fosco visto da Mosca.
In ogni caso, per Sukhumi l’ipotesi di staccarsi completamente dalla Russia rimane velleitaria, anche se sta segnalando un crescente malcontento per l’attuale status quo – il che è paradossale, dato che deve la propria “indipendenza” all’intervento e alla protezione russa, così come alla possibile ritorsione di Mosca nei confronti della Georgia in caso di tentata riconquista della regione separatista.
Le proteste del novembre 2024 erano state precedute da altri momenti di tensione nel 2021 e nel 2022, anche se erano dieci anni che gli abcasi non assaltavano gli edifici del proprio governo, quando anche l’allora presidente Alexander Ankvab dovette dimettersi.
Quindi, se sommovimenti, anche violenti, non sono una novità in Abcasia, il fatto che siano diretti contro una decisione che emana da Mosca marca una dinamica nuova degli ultimi anni.
Consci della propria posizione subalterna, i manifestanti abcasi hanno specificato che i loro atti non dovevano essere interpretati come antirussi: a Sukhumi però non si dimenticano la presa della Russia, che detiene le chiavi dell’economia abcasa e possiede basi militari e navali (il cui valore è alto, dato che, per la Federazione russa, il Mar Nero è oggi zona di guerra).
L’obiettivo di Mosca nel sostenere il separatismo abcaso era di mantenere influenza ai suoi confini ed in particolare in Georgia, spezzandone l’integrità territoriale e rendendo Tbilisi meno attraente per altri partner o impedendone de facto l’adesione ad altre alleanze.
Oggi, però, questa strategia può essere rimessa in discussione se il vassallo è reticente ad obbedire agli ordini di un padrone sempre meno attrattivo, più isolato e percepito come economicamente rapace.
L’appeasement di Tbilisi
Dal lato georgiano però non sembrano esserci le condizioni per approfittare di queste frizioni. Dopo le ultime elezioni il paese è spaccato e, come dopo la legge sugli agenti stranieri, l’opposizione mette l’accento sul suo futuro europeo, una base difficile su cui costruire rapporti pacifici se il proprio maggior vicino è la Federazione Russa.
Il governo di Tbilisi invece sta puntando su una strategia di appeasement, sebbene si possa dubitare della sua sincerità: in un paese dove le ferite dell’invasione russa sono ancora fresche, il Sogno Georgiano si è presentato come il partito della pace, e la promulgazione delle “leggi russe”, così come la sua retorica pacifista hanno l’aria, anche nelle tempistiche, di un’operazione il cui primo obiettivo era vincere le elezioni.
A Tbilisi però non mancano ragioni interne per mostrarsi accomodanti nei confronti di Mosca, dato l’alto numero di russi che si sono stabiliti nel paese dopo l’invasione e le possibilità economiche offerte dall’aggiramento delle sanzioni (a cui la Georgia ha partecipato in un primo tempo esportando direttamente verso la Russia e ora triangolando con altri paesi).
Il quadro georgiano-abcaso è dunque in evoluzione, dopo anni in cui tutti i conflitti congelati ereditati dalla dissoluzione dell’URSS sembravano di impossibile risoluzione data la volontà della Russia di usarli come strumento di politica estera.
Ora però, con la Federazione impegnata nella guerra in Ucraina e in declino d’influenza nel suo estero vicino, si aprono scenari diversi e difficilmente prevedibili, dove attori locali e regionali sono pronti ad approfittare della debolezza di chi è stato egemone della zona negli ultimi 220 anni.
Sono tesi che riflettono più i desiderata degli autori che la veridicità dei fatti. E in maniera più estesa veramente si può credere che una parte dei cittadini georgiani spontaneamente voglia combattere per entrare nell'UE? Oltretutto guidati da una Presidente che si comporta ai limiti del golpismo non volendo riconoscere il risultato delle elezioni? Ma i fatti di Ucraina non insegnano niente? E il tentativo di condizionare la Romania nemmeno? E tutte le preoccupazioni occidentali sulla Moldavia poi scemate dopo l'esito a loro favorevole, ma non erano elezioni truccate anche quelle?
Molto difficile pensare che una flessione della fiducia abcasa metta davvero in crisi l’egemonia russa nella regione. E se davvero accadesse vedremmo davvero i tank russi alle porte di Tbilisi. In ogni caso, grazie dell’articolo; spero di vederne altri simili a copertura della situazione in Georgia