Secondo molti esponenti della destra nazionalista induista, infatti, se sei musulmano, anche se indiano, significa automaticamente che simpatizzi per il Pakistan e dunque per i terroristi; per questo motivo, dovresti pagarne le conseguenze
Matteo Miavaldi
Ieri Manlio Graziano ha pubblicato a caldo un'analisi geopolitica delle tensioni tra India e Pakistan
Poi ne abbiamo discusso nella diretta che trovate qui sopra, un esperimento di commento degli eventi più rilevanti in tempo reale.
Fateci sapere se lo trovate utile e se volete che si replichi
Per anni ci siamo, spesso giustamente, lamentati di come gli Stati Uniti avevano costruito un ordine globale su misura delle loro esigenze, con regole che valevano per tutti tranne che per loro.
Era il peggior ordine mondiale possibile esclusi tutti gli altri, come stiamo scoprendo. Perché il mondo post-americano, quello nel quale gli Stati Uniti smettono di essere una potenza interessata a stabilizzare e, per usare i termini della teoria delle relazioni internazionali, diventano una “potenza revisionista” che vuole ridisegnare gli equilibri, beh, è un mondo molto, molto più pericoloso.
Il primo test per questo mondo post-americano è ora la possibile guerra tra India e Pakistan, che forse è appena iniziata, e che si presenta ancor più pericolosa di quella in Ucraina, o di quella a Gaza, perché India e Pakistan sono due potenze nucleari.
Il 22 aprile c’è stato un attentato terroristico a Pahalgam, nella parte indiana della regione del Kashmir: sono morti 25 turisti e una guida locale. Non è chiarissimo quale organizzazione sia responsabile, il gruppo TRF, The Resistance Front, affiliato al gruppo più noto Lashkar-e-Taiba ha rivendicato l’attacco, ma poi si è rimangiato la rivendicazione nel giro di qualche giorno.
I fatti sono che i turisti sono stati interrogati sulla loro religione, e i terroristi hanno ucciso gli indù e salvato i musulmani.
Il governo indiano ha subito incolpato il Pakistan: il Kashmir è l’unico Stato a maggioranza musulmana dell’India, e ha sempre avuto una rilevanza particolare e velleità separatiste sotto la forte influenza pakistana, con Islamabad che ha finanziato e sostenuto i movimenti separatisti, anche quando facevano ricorso a pratiche terroristiche.
Da quando è al potere Narendra Modi, un nazionalista indù, ha revocato l’autonomia speciale del Kashmir e lo ha militarizzato nel 2019. Ma questo non ha garantito tranquillità, anzi, proprio quel tentativo di riaffermare la supremazia indiana sulla regione contesa dal 1947 è stato indicato come il movente dell’attacco terroristico a Pahalgam prima rivendicato e poi rinnegato dal Resistance Front.
Nel 2019 c’era stato un episodio analogo a quello del 22 aprile scorso: attacco terroristico di matrice pakistana, reazione indiana con raid aereo in Pakistan. L’esercito pakistano aveva risposto abbattendo un caccia indiano.
Per una serie di circostanze fortunate e forse irripetibili, il bombardamento indiano non aveva fatto morti, e il pilota del caccia indiano abbattuto si era salvato e i pakistani lo avevano restituito incolume.
Il controllo dei due governi sui rispettivi media aveva permesso di presentare a entrambe le opinioni pubbliche quella scaramuccia come una riaffermazione dell’orgoglio nazionale, l’onta subita dalla controparte era stata vendicata e andava bene così, senza dover innescare una spirale di violenza che può portare al conflitto distruttivo nucleare.
La pressione degli Stati Uniti - anche all’epoca guidati da Trump, ma nella prima versione, più controllato - era stata decisiva per ridurre il rischio di un’escalation che tra quei due Paesi è sempre molto temuta, visto che hanno entrambi la bomba atomica.
Oggi tutto è più fragile.
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