Il contagio del grande caos
India e Pakistan sono due Paesi nucleari in pieno conflitto, è la conseguenza del nuovo approccio degli Stati Uniti: tutti si sentono liberi di aggredire i rivali
Se Washington può permettersi impunemente di minacciare il Canada la Groenlandia di annessione, e lascia impunemente fare a Israele ciò che sta facendo a Gaza, tutti i Paesi che da decenni aspettano l’occasione propizia per riprendersi quello che pensano essere «loro» si sentono oggi autorizzati a passare all’azione
Manlio Graziano
Alle 17.30 ci vediamo per una diretta video con Stefano Feltri e Manlio Graziano su India, Pakistan e i rischi di escalation nucleare. Vi arriverà la notifica via mail o app Substack
Chi scommettesse oggi sull’aggravamento del disordine internazionale vincerebbe poco.
Mancavano ancora all’appello due Paesi dotati di armi nucleari in conflitto tra loro. È l’era del caos generalizzato. L’apertura del vaso di Pandora delle frontiere solletica gli appetiti degli uni e le paure degli altri. Il potere distruttivo di Donald Trump si riverbera anche in Asia meridionale.
A questo stadio del nuovo, ennesimo conflitto tra India e Pakistan è ancora difficile disporre di elementi sufficienti per esprimere una valutazione compiuta su ciò che sta succedendo e sui suoi esiti possibili. Cerchiamo quindi di cucire insieme alcune considerazioni con l’ausilio degli strumenti che la geopolitica ci mette a disposizione.
Cosa vuole l’India?
Qui siamo al cuore del rebus, e non si può far altro che azzardare delle ipotesi.
Negli ultimi anni, l’India ha giocato il ruolo di potenza emergente, sicura di sé, stabile e affidabile, tanto da coltivare l’ambizione – comunque spropositata – di diventare il leader di quella chimera chiamata «Sud globale». In tema di guerre e minaccia di uso di armi nucleari, Narendra Modi si era persino permesso il lusso di strigliare Putin e richiamarlo a più sani consigli.
Tornare a rinfocolare la disputa provinciale con il Pakistan sembra andare in direzione opposta rispetto a quella strategia, coltivata con cura e determinazione per anni da Modi e dal suo ministro degli Esteri, Subrahmanyam Jaishankar, e riportare invece l’India al suo striminzito cortile regionale, a una disputa aperta quasi ottant’anni fa e mai sanata.
Certo, la posta in gioco in Kashmir è elevata, ma un Paese che vuol essere grande potenza dovrebbe potervi agire su un piano più elevato, attraverso la sua rete di influenze, e non con la stessa impazienza guerraiola dimostrata dalla Russia – che infatti grande potenza non è e non sarà mai.
Gestire l’attentato
Ma c’è stato l’attentato del 22 aprile e, si obietterà, l’India non poteva non reagire. Ebbene, non è così. Gli attentati, come qualunque altro incidente, si possono ignorare, se serve ignorarli o enfatizzare se serve enfatizzarli.
Ci sono due modelli di enfatizzazione che dovrebbero fare scuola – e che molto probabilmente hanno fatto scuola a New Delhi: il primo è quello dell’11 settembre 2001, e il secondo, quello del 7 ottobre 2023.
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