Il mito e la propaganda
Meloni, come Trump, sembra incapace di presentare la realtà e la sua azione di governo in modo fattuale e onesto. E’ ostaggio della sua stessa propaganda
Senza eccezionalità tutta la narrazione diventa un abito invisibile, con il rischio che lo sguardo di un bambino possa accorgersi che il re è nudo
Roberto Seghetti
Domanda: perché Giorgia Meloni non riesce a dire la verità e deve vantare solo risultati mirabolanti che in realtà non ci sono? Gli ultimi dati Istat sono impietosi: occupazione in crescita solo per i cinquantenni (grazie alle maglie strette della riforma pensionistica), salari in sofferenza, rischio povertà, giovani che se ne vanno all’estero in cerca di un mondo migliore.
Senza contare le brutte figure in politica estera, l’emarginazione nel gruppo di testa dell’Ue. Ma niente, la nostra presidente del Consiglio non può che presentarsi come l’eroe eccezionale che sta portando il paese alla vittoria.
Perché? Per quale ragione? Personalmente credo che una buona parte della spiegazione stia nel fatto che la propaganda politica, per vincere le elezioni, si è impadronita dei meccanismi che caratterizzano fin dalla notte dei tempi la narrazione mitologica (e religiosa). E ne è rimasta prigioniera.
Ragione per la quale la propaganda non può più mollare una visione che ha come punto di forza l’eccezionalismo dell’eroe, la guida invincibile e che non può sbagliare.
Nel corso dei secoli la straordinaria cassetta degli attrezzi narrativi fornita dai miti è sempre stata usata nella letteratura e nel teatro.
Costruire l’immaginario
Nel Novecento, con l’avvento e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, è stata sfruttata a mani basse dalla radio e dal cinema, ma anche per la fondazione, la diffusione e la radicalizzazione delle principali ideologie del secolo scorso.
Più in particolare si può dire che in tutti e tre i casi di scuola, il comunismo sovietico, il fascismo e il nazismo, la tecnica narrativa attinta dai miti più antichi sia servita per favorire la trasformazione dei leader politici in idoli sacri, infallibili per manifesta superiorità e, di conseguenza, indiscutibili.
L’avvento dei social ha potenziato l’effetto di questi strumenti, ma non ne ha cambiato la natura: i meccanismi sono sempre gli stessi e agiscono nel profondo del nostro immaginario collettivo, perché ripercorrono solchi scavati a lungo nel nostro universo mentale.
Da questo punto di vista è sempre interessante leggere e decostruire la narrazione politica sulle storie personali dei leader di oggi. Uno degli esempi più interessanti riguarda Donald Trump: figlio d’arte (immobiliarista) miliardario, machista, vanitoso, americanissimo, altalenante nelle scelte di partito, senza alcun vero curriculum politico prima di scendere in lizza la prima volta per la Casa Bianca. Eppure vincente, sconfitto, reietto, rinato e tornato a vincere dopo un lungo percorso nel girone dei dannati.
Verso il mito
Ma andiamo per ordine, cominciando a vedere che cosa c’è nella cassetta degli attrezzi narrativi del mito e come questi strumenti vengono utilizzati per confezionare le informazioni rilanciate ogni giorno dai professionisti dei social e della propaganda.
Tre autori ci possono aiutare in questo sforzo: Vladimir Propp sul tema della morfologia delle fiabe, ma soprattutto Joseph Campbell sul tema dell’eroe dai mille volti (mitologia comparata, in particolare sul cosiddetto monomito), un lavoro in cui ha influito non poco lo studio sugli archetipi dell’inconscio collettivo di Carl Gustav Jung, e Christopher Vogler, sceneggiatore di Hollywood che ha scritto subito dopo la seconda guerra mondiale un saggio diventato un classico dello storytelling, Il viaggio dell’eroe.
Ciascuno di questi tre studiosi ha suddiviso la storia da raccontare in diverse tappe fondamentali (oltre 30 Propp, 17 Campbel, 12 Vogler), coinvolgendo oltre al personaggio principale molti comprimari (colui che fa nascere la vocazione, l’aiutante magico, colui che istruisce il protagonista, ecc..), ma tutti prevedono alla fin fine uno schema simile: la ritrosia del protagonista, la chiamata, le sfide impegnative, una fase di sconfitta (fino alla morte nel caso di diversi miti anche di natura religiosa), l’addestramento, l’aiuto, la scoperta, la nuova consapevolezza e il ritorno/rinascita per donare al mondo un miglioramento decisivo, folgorante. Il viaggio dell’eroe, insomma, da Gilgamesh fino ai giorni nostri.
Donald Trump, dunque. Chi era e chi è diventato costui in questo tipo di narrazione?
L’indeterminatezza prima della vocazione. All’inizio era solo un uomo d’affari, figlio di una ricca famiglia, un miliardario non sempre vincente (non una sola volta ha sfiorato la bancarotta), duro, spregiudicato e narcisista, tanto da aver trasformato il proprio essere imprenditore in uno spettacolo televisivo di gran successo: felice di far soldi e di mostrare la propria ricchezza, al punto da dare il proprio nome alle torri di decine di piani costruite a New York.
Come diversi altri imprenditori Trump ha sempre sostenuto finanziariamente la politica. Fu sostenitore del presidente repubblicano Ronald Reagan. Per un periodo di alcuni anni ebbe un idillio con i riformisti di Ross Perot. Dal 2001 al 2008 simpatizzò con i democratici. Fino a quando i repubblicani cominciarono a corteggiarlo come possibile candidato.
La chiamata. La prima volta, nel 2011, i repubblicani lo invitarono a presentarsi come candidato per la Casa Bianca alle elezioni dell’anno successivo. Trump ci pensò su, ma non era convinto: ordinò alcuni sondaggi e declinò l’invito. Però sostenne il candidato repubblicano Mitt Romney, poi sconfitto da Barack Obama.
La vocazione, le sfide/fatiche, la discesa negli inferi. Nel 2016 volle accettare la sfida, si presentò e vinse le elezioni. Ma da presidente non riuscì a fare tutto ciò che voleva, dovette fare i conti con diversi oppositori nella sua stessa amministrazione e alla fine deluse i suoi elettori.
Nel 2020 fu sconfitto dal candidato democratico, Joe Biden, rifutò di accettare la sconfitta e fu accusato, a ragione, di aver fomentato addirittura l’arcifamoso assalto a Capitol Hill.
La discesa negli inferi, i maestri e gli aiutanti magici. Da allora Trump è rimasto nella Cajenna, ma ha anche trovato alcuni straordinari “istruttori” che lo hanno aiutato a maturare a a diventare più forte in vista del ritorno in auge.
Basti pensare all’Heritage Foundation, think tank fondato nel 1973 per diffondere le idee conservatrici, che dal 2022 ha lanciato il Project 2025: programma politico volto a ridefinire i ruoli istituzionali dell’intera amministrazione governativa degli Stati Uniti, a cominciare dalla sostituzione dei dipendenti pubblici con personale di stretta osservanza politica.
O a Peter Thiel, straordinario imprenditore nel mondo delle nuove tecnologie, un mistico della Silicon Valley secondo il quale la democrazia liberale è incompatibile con la libertà economica. Senza contare che nel corso della campagna elettorale ha incontrato per sua fortuna anche alcuni personaggi che Propp avrebbe senz’altro definito aiutanti magici.
Pensate all’intervento di Elon Musk e alla straordinaria spinta al consenso verso Trump della sua discesa in campo accanto al candidato repubblicano o all’intervento “divino” che, secondo Trump, ha permesso al presidente di sfuggire all’attentato subito il 13 luglio 2024. Una vera sfida al destino, una fatica di Ercole, vinta al grido di “Fight! Fight! Fight!”.
La nuova consapevolezza. Fino al ritorno vincente su tutti gli avversari nelle elezioni politiche del 2024 e al lancio di un programma destinato, secondo la vulgata presidenziale, a cambiare il mondo, a migliorarlo grazie alla “illuminazione” e alla nuova consapevolezza del protagonista, osannato dal popolo che è destinato a salvare. Basta leggere il discorso di investitura del presidente Usa per rendersene conto.
Alla fine del viaggio
Solo che il viaggio dell’eroe, oggetto della narrazione finalizzata alla mitizzazione del politico candidato, è finito a questo punto. Da qui è cominciato invece il confronto tra la realtà e lo storytelling che ha consentito di ottenere voti. Ed è sempre qui che è emerso il problema, perché un conto è la cassetta degli attrezzi per la narrazione, ma ben altra cosa è la cassetta degli attrezzi per governare.
Forse è per questo che ad ogni passo, ad ogni impedimento, lo sforzo di chi costruisce lo storytelling della propaganda di Trump è cresciuto di intensità. Ogni volta i professionisti del back office hanno dovuto alzare la posta: l’eroe mitico non è un personaggio che può adeguarsi alla gestione dei problemi quotidiani, per quanto grandi e complessi siano.
Trump non riesce a ottenere la pace in 24 ore, che era una promessa impossibile, ma neppure in due mesi? Nessun ripensamento. Anzi, rilancia e minaccia a gran voce ora l’uno ora l’altro contendente, come se si trattasse di adolescenti ingrati invece che di paesi in guerra, alcuni dei quali possessori, come la Russia, di migliaia di testate nucleari. Mette dazi e li sospende come se fosse una questione di gestione ordinaria. Parla di annessioni impossibili, come se si trattasse di acquistare un nuovo cappelletto con la scritta MAGA.
Il suo mondo è l’eccezionalità. Non può essere altro: senza eccezionalità tutta la narrazione diventa un abito invisibile, con il rischio che lo sguardo di un bambino possa accorgersi che il re è nudo.
Ma questa riflessione non riguarda, come abbiamo visto, solo Trump.
Il viaggio dell’eroina
Tanto per restare a casa nostra basterebbe ripercorrere bene la storia di Giorgia Meloni, l’underdog “chiamata” alla politica dall’emozione dopo l’attentato a Paolo Borsellino; la giovane militante diventata presto ministra del centrodestra, ma costretta dal complotto dei cattivi a tornare ai margini della vita politica in un partito minimale, messo per di più ai margini.
Non a caso, la crisi del 2011, quando il governo Berlusconi portò l’Italia sull’orlo della bancarotta, viene continuamente ri-raccontata come il grande inganno dei super tecnocrati europei; e poi l’intervento dei vecchi maestri, la rinascita, la risalita alla luce fino alla clamorosa vittoria e alla nuova consapevolezza destinata a salvare l’Italia.
Anche qui, un altro viaggio dell’eroe. Solo che appena vinte le elezioni è iniziato il confronto inevitabile con la realtà, con la conseguente necessità di coprire la povertà degli attrezzi per governare con il rilancio quotidiano della eccezionalità: non ci sono poveri, non c’è lavoro sottopagato, non c’è evasione fiscale, l’industria non è in difficoltà, non c’è gestione approssimativa e sprovveduta di diversi ministeri…C’è solo il miracolo italiano.
Per la narrazione della propaganda (andate a vedere ogni giorno i post su X di Fratelli d’Italia, rilanciati dal tam tam di tutti i principali rappresentanti del circolo magico che circonda la presidente del Consiglio) ci sono solo risultati mirabolanti.
Lei, l’eroina, non può essere una semplice professionista della politica, né si può mettere in discussione. Lei è inevitabilmente ed esclusivamente solo la mitica salvatrice del Paese.
Per una ragione semplice: al di sotto di questo risultato, crolla la forza mitica del personaggio e appare la realtà, che non è mai tutta splendente ma che oggi mostra anche un po’ troppe magagne per sostenere ancora l’invincibilità dell’eroe.
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Mercoledì 21 maggio ore 17 - Musk e il nuovo potere digitale - Con Laura Turini e Stefano Feltri
Martedì 27 maggio, ore 17 - Musk e l’ideologia del tecno-capitalismo - Con Gloria Origgi e Stefano Feltri
Mercoledì 4 giugno, ore 17 - La crisi della democrazia nel tempo di Musk - Con Mattia Diletti e Stefano Feltri
Martedì 17 giugno, ore 17 - Musk e l’ascesa della tecnodestra - con Vincenzo Sofo (autore di Tecnodestra per Paesi edizioni)
Martedì 24 giugno, ore 17 - Musk, i satelliti e la geopolitica dello spazio - con Frediano Finucci (autore di Operazione Satellite per Paesi edizioni)
Dal vivo:
Sabato 31 maggio, ore 15, al Festival dell’Economia di Torino, al Circolo dei lettori: Contro Elon Musk - con Marc Lazar e Stefano Feltri, coordina Eva Giovannini
Giovedì 19 giugno, ore 18: A Roma, alla Libreria Testaccio, piazza Santa Maria Liberatrice 23, con Carlo Tecce
Per info su presentazioni, interviste, speech: appunti@substack.com (non sono in grado di organizzare altre cose fuori Roma, quindi non offendetevi se declino inviti a festival o presentazioni che richiedono trasferte)
Da leggere su Appunti
La politica della cittadinanza
La cittadinanza viene ridotta oggi a un meccanismo di esclusione di classe. Non è più, quindi, uno strumento egualitario ma uno strumento oppressivo. E così la democrazia degenera in oligarchia: il potere finisce per essere detenuto da una minoranza, la minoranza più ricca.
Un pezzo che mi lascia un po’ perplesso poiché non riesco a trovarvi un valore aggiunto apprezzabile. A me non piace il melonismo ma se vogliamo una narrazione differente, un mito differente proviamo piuttosto a costruire un’alternativa valoriale invece di sparare a salve su chi con la maggioranza degli italiani riesce a mantenere un saldo legame emotivo.
Inutile elencare la distonia tra narrativa e realtà: non serve a nulla. Non serve a nulla se non si è in grado di proporre una visione alternativa emotivamente convincente.
Quale l’alternativa al melonismo? Cosa proponiamo sulla sicurezza? Su questo tema chi si oppone al melonismo è muto e lascia da decenni tutta la narrazione alla destra (eppure Starmer…).
Cosa proponiamo sulla questione fiscale? se vogliamo vincere le elezioni studiamo una posizione differente.
I diritti sociali e le minoranze: si perdono le elezioni enfatizzando questi temi in questo periodo storico, e’ evidente che si vince addomesticando paura ed incertezza. Io non faccio il leader politico ma senza un “prodotto” alternativo il melonismo starà con noi a lungo.
La realtà poi è un concetto molto soggettivo, questo governo ha una disciplina fiscale inconsueta per qualsiasi governo repubblicano, aumenta le tasse ad una piccola porzione del corpo elettorale ed in generale è assai poco espansivo…eppure controlla la narrazione.
Magari su Appunti potremmo pensare di lanciare una piattaforma valoriale alternativa da contrapporre a chi oggi modella il mito.
Il punto è che di fronte a un elettorato sempre più ignorante e superficiale, grazie alla tecnologia, occorre tornare alla narrativa degli antichi re, che venivano raccontati come superuomini, o addirittura eletti da Dio. Gli stupidi elettori di oggi vogliono credere senza dover pensare, da qui la famosa frase, verissima, di Trump che dice "potrei andare a sparare sulla 5th avenue e la gente mi voterebbe lo stesso". La razionalità non funziona più, funziona la mistica. Idem in Italia, paese dove milioni sono devoti di Padre Pio, è impensabile far leva sulla logica, sul buon governo. Si la gente ti vota alle comunali, ma alle politiche vota il mito, la borgatara che ce l'ha fatta, come prima votava il cumenda miliardario nel quale si identificava...la Schlein non ha speranze in questo contesto...