I danni della rendita urbana
INCHIESTA SUL TURISMO/3 La rendita urbana espelle le categorie a più basso reddito dai centri urbani, rendendo loro più difficile trovare lavoro e accedere ai servizi in teoria garantiti a tutti
Il problema sociale del prezzo degli immobili nelle città maggiori deve essere affrontato con un sostanziale aumento del costruito (ad alta densità), nelle fasce periferiche e immediatamente esterne alle città, per abbassare i prezzi e così colpire la rendita e i micidiali effetti che questa ha sull’espulsione delle categorie più deboli
Marco Ponti
Nel suo pezzo su come il fisco incentiva il tipo sbagliato di turismo, Roberto Seghetti ha dimostrato che incentivare la rendita immobiliare produce serie e non sempre previste distorsioni sociali. Questo pezzo di Marco Ponti espande il ragionamento e dunque va inserito a pieno titolo nel trittico di Appunti sul turismo.
Buona lettura
Stefano
Una rendita si genera quando i prezzi di un bene o di un servizio sono molto più alti dei costi di produzione, cioè quando il profitto non è meritato, perché non compensa né rischio di impresa né vantaggi particolari per i consumatori. Per alludere a un noto concetto marxiano che era riferito alla proprietà in generale, “la rendita è un furto”.
E’ molto inefficiente perché distrugge ricchezza sociale (riduce i beni prodotti e venduti, in economicese “riduce il surplus”). Ma è anche iniqua due volte: sposta risorse dai consumatori ai produttori (che in media sono più ricchi dei consumatori), e, alzando i prezzi colpisce in particolare i consumatori a più basso reddito.
La rendita urbana in particolare riguarda sia gli edifici che i terreni, e storicamente, secondo gli epigoni del celebre economista neomarxista Thomas Piketty, è la maggior fonte delle diseguaglianze di reddito (cioè è più colpevole delle diseguaglianze di quanto lo sia lo squilibrio tra i salari e i profitti delle imprese).
La rendita urbana ha inoltre effetti negativi specifici molto gravi: espelle le categorie a più basso reddito dai centri urbani, rendendogli più difficile trovare lavoro e facendogli perdere il godimento di molti servizi che proprio i centri urbani offrono.
Ma non solo: accresce la pendolarità, consumando il tempo degli “espulsi” in viaggi inutili e provoca congestione, inquinamento e maggior necessità di servizi pubblici di trasporto. Cioè genera sia costi privati, che costi pubblici, che costi sociali.
Per esempio, il caso dell’azienda di trasporti di Milano (ATM) è emblematico: costa così tanto vivere in città che non si trovano più conducenti, e l’azienda ha dovuto tagliare i servizi, con un grave danno per tutti gli utenti e l’ambiente (che poi non ci sia la volontà politica di fare gare vere per provare ad aumentare l’efficienza dell’azienda è un altro discorso).
I vincoli e gli speculatori
Che cosa genera la rendita? Su questo nessun dubbio è possibile. E’ lo squilibrio tra domanda e offerta: se non c’è abbastanza offerta di un bene, i prezzi salgono fino a un punto di equilibrio, escludendo i consumatori con meno disponibilità a pagare per quel bene. E di quel bene ne sarà anche prodotto di meno.
Le imprese che operano nei mercati “normali”, se possono, si mettono d’accordo per ridurre l’offerta e aumentare i prezzi.
Adam Smith, il padre dell’economia liberale, scriveva: “Se due o più imprenditori si trovano insieme, anche a cena, cospireranno contro l’interesse pubblico”.
Nel caso della rendita urbana invece, la riduzione dell’offerta avviene attraverso i vincoli urbanistici.
E qui si assiste ad un incredibile paradosso: la cultura urbanistica dominante (il “common wisdom”, come direbbero gli inglesi) è che i vincoli urbanistici sono contro la rendita urbana.
Costruire di più favorirebbe gli speculatori.
Alcuni vincoli nelle città storiche sono sacrosanti: tutelano un patrimonio collettivo importantissimo. Ma altri lo sono molto meno.
C’è anche l’ipotesi molto diffusa della collusione: gli “speculatori” non agirebbero isolati, si metterebbero d’accordo tra loro per allentare i vincoli urbanistici, quindi per aumentare l’offerta.
Sarebbe un accordo palesemente suicida: aumentare l’offerta, a parità di domanda, diminuisce prezzi e rendite.
Un'ipotesi alternativa per immaginare un ruolo attivo dei costruttori è che si mettano d’accordo (loro e gli enti locali) per aumentare i prezzi. Ma non sta in piedi: occorrerebbe che fossero d’accordo proprio tutti, nessuno escluso, e gli enti locali fossero complici di questa micidiale strategia di vincoli, per danneggiare la collettività.
E l’esperienza milanese, oggetto adesso di una ipotesi di sanatoria generalizzata (con un provvedimento legislativo chiamato proprio “salva Milano”), è che succede proprio l’opposto, anche se non in modo coordinato e “complottistico”: i costruttori premono sugli enti pubblici, e arrivano a corromperli, per costruire di più, non certo di meno.
Vogliono guadagnare, e finché l’offerta è inferiore alla domanda guadagneranno molto, e tanto di più quanto maggiore è lo squilibrio tra le due.
Non solo case popolari
Una risposta ricorrente della cultura urbanistica è quella che occorre costruire più case popolari: è sacrosanto, ma è una goccia nel mare.
Questo in quanto le risorse sono limitate (non ce ne sono nemmeno per una manutenzione decente di quello che c’è), le residenze popolari italiane non sono “means tested” (cioè “sono per sempre”, qualunque sia il reddito futuro degli assegnatari).
Inoltre questa è una forma di sussidio sociale molto poco efficiente, per unità di spesa (ma su questo non è possibile dilungarsi).
Anche l’idea di tassare di più le proprietà immobiliari per costruire case popolari funziona pochissimo: se l’offerta di case nuove non aumenta rapidamente, il risultato è che le tasse aumentano ancora i prezzi, perché i costruttori riusciranno a farle pagare in buona parte agli acquirenti o agli inquilini, proprio finchè la domanda supera l’offerta.
I proprietari che abitano in casa propria non cambieranno certo la domanda, oltre a generare un problema rilevante di consenso sociale al provvedimento.
Il paradosso urbanistico citato sopra (“costruire di più aumenta la rendita”) si estende anche alle edificazioni “esterne” a bassa densità: si tratta del famigerato “sprawl”, fonte di ogni male, da impedire assolutamente. E anche questo tipo di vincolo contribuisce ad alzare tutti i prezzi del costruito, con grande gioia dei proprietari.
Anche vincoli molto stringenti sulle dimensioni minime degli alloggi contribuiscono ad alzare i prezzi unitari dell’edificato.
Il consumo di suolo
Un ultimo argomento è il consumo di suolo. Certo vanno controllati gli effetti di impermeabilizzazione del suolo, anche in vista dei crescenti fenomeni di precipitazioni estreme.
Ma è capitato anche di sentire che occorre garantire la “sovranità alimentare”, cara all’attuale ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Questo, quando l’Italia, come tutta l’Europa, ha gravi problemi di sovrapproduzione agricola. E l’agricoltura è anche una fonte di inquinamento rilevante, ed è addirittura generosamente sussidiata con i soldi dei contribuenti.
Il problema sociale del prezzo degli immobili nelle città maggiori deve essere affrontato con un sostanziale aumento del costruito (ad alta densità), nelle fasce periferiche e immediatamente esterne alle città, per abbassare i prezzi e così colpire la rendita e i micidiali effetti che questa ha sull’espulsione delle categorie più deboli e sull’economia in generale.
Né si può argomentare che esista molta edilizia invenduta: i “prezzi di attesa” che generano il fenomeno sono fortemente incentivati proprio dall’aspettativa che la rendita crescerà sempre: nessuno che non faccia questa scommessa di crescita lascerebbe un investimento senza reddito per molto tempo.
Ci sarebbero poi anche rischi macroeconomici per gli effetti di crescita prolungata dei prezzi degli immobili, dovuti a meccanismi di credito distorti, problema noto come “subprime”.
E non si può nemmeno dimenticare che costruire legalmente, (e pagando i giusti oneri di urbanizzazione) crea occupazione e reddito, come dimostrerebbe qualsiasi analisi del tipo costi-benefici sociali (inclusi quelli ambientali).
Un esempio celebre per concludere: la “green belt” londinese (vasto anello vincolato intorno alla città), fatta per evitare “sprawl” e per vaghe istanze ambientali, ha costretto milioni di lavoratori londinesi a basso reddito a lunghi viaggi pendolari, con ogni mezzo di trasporto, e ha enormemente aumentato la rendita nell’area centrale, oggi tra le più care del mondo.
I proprietari e gli speculatori festeggiano ancora adesso.
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Mi dispiace ma questa inchiesta di Appunti non è stata molto comprensibile. Mi ha ricordato il delirio e la faziosità delle inchieste di Report. Capita a tutti di fare errori. Questo del resto è solo il mio umile giudizio, un’inchiesta riuscita male non toglie comunque valore al progetto Appunti nella sua totalità.
Articolo un po' "faticoso" da comprendere, forse i concetti sono stati compressi troppo.