E se il nuovo Prodi fosse Pasquale Tridico?
Altro che candidare Elly Schlein alle europee. Al centrosinistra serve un accordo Pd-M5s: chi ha più voti comanda. E serve un nome di sintesi: meglio l'ex presidente dell'Inps che Paolo Gentiloni
Serve un federatore del centrosinistra? Meglio Tridico che Gentiloni. E’ un uomo abbastanza di sinistra da piacere al Pd di Elly Schlein ed è di provenienza Cinque stelle. Altro aspetto rilevante: Tridico, come Prodi, è una brava persona
Ogni volta che mi trovo a scrivere del Partito democratico, l’argomento finisce per essere lo stesso: l’adeguatezza del segretario di turno e le manovre dei vari sedicenti capicorrente che, dopo averlo insediato nella convinzione di manovrarlo, trafficano per il logorio e la successione.
In questo schema, la sconfitta alle elezioni imminenti - in questo caso le europee - non è un esito da evitare ma, al contrario, il risultato desiderato perché legittima a posteriori le trame interne.
Il segretario diventa il capro espiatorio di un disastro costruito soprattutto all’interno del partito, dunque i congiurati si sentono pronti a uscire allo scoperto. E sostengono pure di voler salvare il partito, anche se sono loro ad averne creato la crisi.
Questa premessa per spiegare il più assurdo dibattito del momento, cioè quello sulla candidatura di Elly Schlein a capolista per le europee 2024.
La segretaria del Pd ha già avuto la sua piena legittimazione personale dal basso da parte degli elettori il 26 febbraio 2023, quando ha vinto le primarie aperte del partito ribaltando il risultato del congresso tra gli iscritti che aveva visto vincente Stefano Bonaccini.
Dunque, che senso ha candidare Elly Schlein a giugno 2024?
Ha già fatto l’europarlamentare, oggi guida il partito da dentro il Parlamento. Da capo partito, comunque si spenderà sui territori per la campagna elettorale, come sta già facendo da mesi. Non c’è ragione di aggiungere l’incognita di un test individuale sul suo nome.
Anche perché, come ovvio, se le cose andassero bene i risultati positivi del Pd sarebbero sovrapposti a quelli personali di Elly Schlein in termini di preferenze, e il merito verrebbe suddiviso equamente tra i tanti che rivendicherebbero un pezzo di paternità della vittoria.
Se invece il Pd rimanesse sotto il 20 per cento e magari addirittura sotto il Movimento Cinque stelle, inevitabilmente anche Elly Schlein prenderebbe un numero deludente di preferenze. E a quel punto l’intera sconfitta verrebbe addossata alla segretaria.
Dunque la spinta a costringere Elly Schlein a correre è - oltre che un inganno verso gli elettori, visto che la segretaria non andrebbe mai a Bruxelles - soltanto un tentativo di defenestrarla.
Queste congiure nel Pd sono sempre senza nomi: Nicola Zingaretti si è dimesso nel 2021 con accuse impersonali - “Nel Pd si parla solo di poltrone e primarie: me ne vergogno” - poi Enrico Letta è tornato da Parigi, chiamato non si sa bene da chi, è stato eletto segretario e poi ha governato il partito sempre con l’unanimità, salvo poi dimettersi nel 2022 dopo un risultato deludente alle politiche del quale - per lo schema di cui sopra - è sembrato l’unico responsabile.
Anche stavolta non è ben chiaro chi vuole che Elly Schlein si candidi e perché, da dove è uscito il tema che occupa da giorni il chiacchiericcio politico. Soprattutto dal momento che Matteo Salvini ha deciso di non candidarsi come capolista della Lega e anche Giorgia Meloni è scettica (per ragioni analoghe a quelle di Schlein, con l’aggravante che pure un risultato troppo positivo potrebbe destabilizzare gli equilibri interni alla maggioranza).
L’ennesima congiura anonima che appassiona solo i cronisti politici e consuma le energie dei vari livelli del Pd, ormai capaci di parlare soltanto di sé stessi invece che del Paese.
Romano Prodi pare rimasto l’unica persona - nella galassia del Pd - a dire cose di buon senso, comprensibili, persino ovvie:
la candidatura a un seggio che il politico non vuole occupare è una truffa;
il centrosinistra può vincere soltanto se forma una coalizione larga, cioè con dentro i partiti necessari a vincere i collegi uninominali previsti dall’attuale legge elettorale (per le politiche, non per le europee) e le amministrazioni locali;
a livello nazionale una coalizione richiede un federatore, cioè qualcuno che si faccia carico di tenere insieme i vari partiti, e un candidato premier. Possono essere la stessa persona o due persone diverse.
Tutto qui. Sembra facile, no?
Prodi preso sul serio
Proviamo a prendere sul serio la ricetta di Prodi e a vedere cosa comporta. Sulle candidature è facile: Elly Schlein non si deve candidare, punto. Può cogliere l’occasione per indicare come capilista persone competenti, utili a pesare nel Parlamento europeo: non nomi “movimentisti” analoghi al suo - cioé altre persone che rafforzino l’identità fluida di un Pd deideologizzato e di opposizione - ma che suggeriscano una prospettiva di riconquista di ruoli di governo.
Il Pd di oggi venera David Sassoli come un leader di caratura internazionale, ma da vivo non lo ha mai considerato molto.
Però costruire nuovi Sassoli non sarebbe impossibile, già in passato il centrosinistra ha usato le europee - con il voto di preferenza - per inglobare personalità popolari e non logorate dalla politica domestica.
Sarebbe il caso di riprovarci: niente pasticci come Aboubakar Soumahoro alle politiche 2022, niente figurine, gente seria.
Il centrosinistra ha sempre avuto bisogno di professori per vincere (e pure il centrodestra ai tempi di Berlusconi), non sono certo finiti. Anche quelli con esperienze amministrative importanti.
Secondo punto di Prodi: la coalizione larga. Piaccia o non piaccia, servono almeno i Cinque stelle e Avs, cioè Verdi e Sinistra italiana. Carlo Calenda e Azione sono un caso perso: non hanno mai capito come funziona la legge elettorale, inseguono un centro che non esiste, si condannano all’irrilevanza. Italia Viva di Matteo Renzi meglio tenerla alla larga, per non essere contaminati dalle attività di lobbying dell’ex segretario del Pd passato al business internazionale.
Le europee non sono il momento per fare coalizioni, la legge elettorale costringe a stare separati, ma è l’occasione per pesarsi e iniziare subito dopo a costruire un percorso che deve avere come punto di approdo palazzo Chigi, non una politica di testimonianza.
Questo può succedere soltanto con un dialogo tra Elly Schlein e Giuseppe Conte: inutile scandalizzarsi, Pd e Cinque stelle hanno già governato insieme, stanno provando a farlo in Sardegna. Non c’è alternativa.
Chi guida questo processo? La risposta è semplice: chi prende più voti. E’ una regola che funziona nel centrodestra da un quindicennio - prima Forza Italia, poi la Lega, ora Fratelli d’Italia - sarebbe il caso di replicarla anche a sinistra.
Se il Pd arriva davanti ai Cinque stelle, sarà Elly Schlein, altrimenti Conte.
E c’è il terzo punto: il federatore deve essere anche la faccia della coalizione? Non è necessario, ovviamente. Romano Prodi pensa ai suoi tempi, quando è stato lui a vincere - due volte su due - contro l’armata berlusconiana, nel 1996 e nel 2006.
Se in una coalizione ci sono due partiti che si equivalgono come percentuali di voti, perché mai uno dei due dovrebbe esprimere il candidato premier (o comunque il capo della coalizione)? Serve una figura terza che possa mediare con le altre due.
Meglio Tridico che Gentiloni
In queste ore si fa il nome di Paolo Gentiloni, commissario uscente agli Affari economici e monetari e di ritorno a Roma, ma non intenzionato a candidarsi alle europee, anche per non lasciare scoperto in questa fase delicata una posizione così sensibile per i futuri dell’indebitata Italia.
Può essere lui? Ho i miei dubbi.
A Paolo Gentiloni oggi vengono riconosciute doti di moderazione e autorevolezza che pochi gli tributavano quando ha retto palazzo Chigi tra 2016 e 2018 con un governo del quale si fatica a ricordare qualche atto significativo.
Ma, soprattutto, due partiti con una identità più di piazza che di palazzo come il Pd di Elly Schlein e i Cinque stelle di Conte, potrebbero mai avere come figura di sintesi un ex commissario europeo, ex premier, ex ministro degli esteri, di famiglia nobile, e quintessenza della moderazione? Perché mai dovrebbe funzionare meglio di Enrico Letta, che con Gentiloni condivide molte qualità e alcuni difetti?
Gentiloni può essere un ottimo ministro dell’Economia, con gli agganci giusti a Bruxelles, ma ci vuole qualcun altro come candidato premier e capo della coalizione.
Ci vuole qualcuno come Romano Prodi, che certo non era una scelta naturale nel 1996 ma si è rivelato vincente, un leader costruito con un progetto e un mandato da Beniamino Andreatta e Giovanni Bazoli. Un esperimento meditato e vincente.
Esistono oggi figure simili? Parecchie, basta cercarle. La prima che mi viene in mente è quella di Pasquale Tridico.
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