Appunti di Geopolitica, episodio 3: Come spartirsi il mondo
Una serie di podcast con Manlio Graziano per capire quello che succede in un mondo sempre più complicato grazie agli strumenti dell'analisi geopolitica
La ragione per cui gli americani creano il mito della minaccia sovietica è che dovevano creare il fondamento ideologico al loro intervento sul continente europeo
Manlio Graziano
Buongiorno,
come ormai sapete, ho deciso di dedicare un ciclo di episodi del podcast Appunti alla geopolitica: quattro conversazioni con Manlio Graziano, che insegna geopolitica a Sciences Po e ha appena pubblicato il libro Disordine mondiale (Mondadori) che è la base per la nostra discussione.
Credo infatti che per capire gli eventi di questi giorni - dagli attacchi degli Houthi ai raid degli Stati Uniti in Siria e Iraq, così come gli scontri sull’opportunità di continuare a finanziare la resistenza ucraina - sia più utile fermarsi un attimo, staccarsi dall’attualità e cercare di costruire una cornice interpretativa, piuttosto che continuare ad affastellare fatti, sigle, numeri, cronologie.
Il tentativo di capire i grandi cambiamenti geopolitici in corso finisce per essere ostacolato dal diluvio informativo di aggiornamenti in tempo reale o dall’abitudine di gran parte del nostro giornalismo di trasformare qualunque situazione difficile da decodificare in “storie”, vicende individuali che devono far scattare l’empatia nel lettore o nello spettatore.
L’empatia è la premessa per l’universalità dei diritti umani, dunque è molto importante, ma non ha niente a che fare con l’analisi.
In questa serie di podcast, quindi, con Manlio Graziano cerchiamo di ripercorrere l’ultimo secolo per sviluppare un metodo di analisi che poi chi ascolta può applicare anche in auonomia agli eventi di attualità.
Presenteremo il libro di Manlio giovedì 15 febbraio alle 18 alla Feltrinelli di piazza di Torre Argentina, a Roma: una bella occasione per incontrare dal vivo un pezzo della comunità di Appunti.
Poiché la serie di podcast si avvia alla conclusione del primo ciclo, ecco la fatifica domanda, volete che continui? Avete suggerimenti?
Buona settimana,
Stefano Feltri
Winston Churchill, Franklin Roosevelt, Joseph Stalin a Yalta, nel febbraio 1945 (Wikipedia)
Puntata 3 - Come spartirsi il mondo
Manlio Graziano, che cos’è l’ordine di Yalta, inteso come quelleo emerso dalla conferenza di Yalta del 1945 tra Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Joseph Stalin?
L’ordine di Yalta è la sanzione della vittoria assoluta degli Stati Uniti sui suoi competitori. È un passaggio storico fondamentale.
La Seconda guerra mondiale per gli Stati Uniti è stata in realtà composta da due guerre mondiali, con alleati diversi. C’è una guerra in Europa in cui l’Unione sovietica è alleata e cobelligerante, e c’è una guerra in Asia in cui l’Unione Sovietica non è cobelligerante.
Quello che è successo nella Seconda guerra mondiale è un inedito assoluto nel corso della storia: si è affermato un paese in grado di sconfiggere tutti i suoi competitori, e quando dico tutti i suoi competitori non mi riferisco soltanto alla Germania e al Giappone, ma anche alla Gran Bretagna, che era il competitore principale.
Il meccanismo attraverso il quale gli Stati Uniti arrivano a eliminare la Gran Bretagna prendendone il posto di egemone mondiale, è l’alleanza. Questo può sembrare paradossale per chi vede le cose in bianco e nero: siamo alleati, abbiamo la stessa causa e combattiamo per la stessa ragione. Occorre invece vedere le sfumature.
Perché gli Stati Uniti intervengono solo nel 1941, dopo Pearl Harbor, se erano più forti delle altre potenze belligeranti? Se gli Stati Uniti erano egemoni già potenzialmente prima, perché non approfittano di questa loro supremazia subito?
Gli Stati Uniti, quando entrano in guerra, non sono molto forti dal punto di vista militare. Nel 1941 la produzione bellica americana è molto indietro rispetto a quella degli altri paesi. Però gli Stati Uniti hanno un potenziale economico superiore, soverchiante, e quindi riescono a recuperare rapidamente. Allora perché non sono intervenuti prima? Questa impossibilità è una dimostrazione del fatto che la politica è composta da una serie di fattori che non si possono isolare gli uni dagli altri.
Dopo la Prima guerra mondiale gli Stati Uniti sono usciti dalle relazioni internazionali. Il “gran rifiuto” della società delle Nazioni è proprio la caratteristica del popolo americano:
gli Stati Uniti sono un’isola e pensano di poter vivere isolati rispetto al resto del mondo fin dall’inizio della loro storia.
Nel discorso di fine presidenza, George Washington diceva che non bisogna immischiarsi negli affari degli altri, perché gli altri (europei e asiatici) non fanno altro che farsi guerre. Nella psicologia politica americana l’isolazionismo è una parte costitutiva.
Frederick Delano Roosevelt viene eletto, oltre che per la crisi economica, anche perché ha scelto l’isolazionismo come parola d’ordine. Però nel corso del decennio al potere, il presidente americano si rende conto che gli Stati Uniti devono entrare in guerra, ma ci vogliono le condizioni. E arriva l’attacco di Pearl Harbour.
Non è stato cercato, ma era quello che serviva.
Era quello che serviva. C’era da superare un blocco psicologico al fine di trasformare un paese fondamentalmente isolazionista in un paese con una passione interventista.
Prima dell’attacco di Pearl Harbour le condizioni non c’erano, anche se comunque nel dicembre del 1941 gli Stati Uniti sono già praticamente in guerra perché stanno finanziando la guerra della Francia, della Gran Bretagna e anche dell’Unione Sovietica.
Il fatto di entrare in guerra nel dicembre del 1941 non significa che il giorno dopo gli americani erano davvero sul campo di battaglia. C’è voluta una preparazione complessa e c’è voluta la trasformazione dell’economia in economia militare.
Il diplomatico George F. Kennan alla sua scrivania (Wikipedia)
Una cosa interessante che emerge guardando queste vicende con gli occhi della geopolitica è che il nuovo ordine mondiale che si costruisce nella Conferenza di Yalta viene discusso tra il nuovo egemone e il suo principale rivale, la Russia. Perché l’egemone ha bisogno di esercitare il suo potere insieme a quelli che in teoria sono i suoi principali rivali?
Intanto perché in politica tutti i paesi sono rivali e quindi se devi distribuire la tua forza con altri, devi farlo con dei rivali, reali e potenziali. In secondo luogo, perché l’Unione Sovietica è in quel momento il rivale meno pericoloso per gli Stati Uniti.
La Russia non ha mai avuto la capacità di competere con gli Stati Uniti, di sottrarre loro delle porzioni di mercato. I veri competitori degli Stati Uniti erano l’Europa e il Giappone.
La Russia esce dalla guerra in uno stato di desolazione totale. Quello che è abbastanza paradossale è che nel famoso telegramma del 1946, il diplomatico George Kennan, che era all’epoca addetto a Mosca, fa una descrizione dello stato in cui ridotta la Russia, dove mostra chiaramente che l’Unione Sovietica non ha nessuna possibilità di diventare una potenza aggressiva.
Anzi, Kennan scrive che il fatto che adesso la Russia abbia conquistato una vasta porzione d’Europa la indebolirà ulteriormente. Una delle ragioni per cui le è stato concesso di prendersi metà dell’Europa è stata anche questa consapevolezza.
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