Abbiamo veramente bisogno del progresso?
L’idea di progresso contribuisce all’alienazione di persone che, pur non essendo reazionarie, hanno dubbi su politiche nuove e si sentono tacciate di conservatorismo. Meglio parlare di cooperazione
Mentre l’idea di progresso mette una linea tra chi è avanti e chi è indietro, l’idea di cooperazione è in primo luogo una proposta. Una politica cooperativa è una che dice alle persone indecise che sono sul nostro stesso piano. Dice anche che le proposte fatte sono un modo per includere pienamente persone che incluse non sono
Filippo Riscica
La serie su Elon Musk
Prima delle elezioni americane credevo, come hanno creduto in tanti, che chiunque avesse vinto lo avrebbe fatto di pochissimo.
L’idea di una vittoria di Donald Trump temperata da una assenza di maggioranza popolare mi consolava perché almeno mi permetteva di non ascrivere all’elettorato la piena responsabilità dell’elezione. Perché, se è pur vero che la volontà del popolo è sovrano, è anche che questo esercizio di volontà noi possiamo giudicarlo e, se necessario, condannarlo.
Ecco, l’idea che l’elezione di Trump fosse il risultato, come lo è stato nel 2016, di un sistema elettorale perverso mi permetteva di avere maggiori speranze rispetto alla democrazia americana. Privo della maggioranza dei voti, la legittimità elettiva di Trump nel perseguire azioni ostili nei confronti degli oppositori sarebbe stata almeno temperata.
Le elezioni hanno dato tutto un altro risultato.
Il voto è chiaro e Trump è il primo candidato Repubblicano degli ultimi vent’anni ad essere stato eletto con maggioranza popolare. E lo ha fatto, non come nelle nostre elezioni, con una affluenza in drammatico calo. Ma invece con una affluenza che sembra abbia pressoché eguagliato, mancano i dati definitivi, quella record del 2020.
Io credo che sarà molto difficile determinare le cause di questa rielezione. L’inflazione che sicuramente ha giocato un ruolo, ma quantificarne i reali effetti sul voto è cosa difficile da farsi. Anche la cosiddetta culture war potrebbe aver giocato un ruolo. Così come la gestione della salute di Biden.
Però, essere una concausa del risultato è cosa ben diversa dal quantificarne l’effetto e può anche essere che ognuno dei tanti fattori siano stati individualmente irrilevanti, ma che insieme abbiano scatenato una tempesta perfetta.
A fronte di una sconfitta del genere, con un candidato ben noto, verso cui il partito Democratico avrebbe dovuto prepararsi per gli ultimi quattro anni, è bene riflettere anche sulle falle delle strategie dei progressisti e chiedersi se ci sia qualcosa di sbagliato.
Questo è poi un esercizio oltremodo importante, perché l’avanzata delle destre più estreme sta travolgendo pressoché tutti i paesi del blocco euroatlantico. L’unica eccezione al momento è la Gran Bretagna, la cui storia e istituzioni però la mettono in un campo a parte e rendono difficili paragoni con i paesi del continente e gli Stati Uniti.
Credo sia necessario, ancora una volta, riflettere sugli errori che sono commessi dalla cultura cosiddetta progressista, dato che le sconfitte non sono locali, da diffuse in tutto il mondo occidentale. È dunque plausibile ci siano delle cause comuni. Soprattutto perché le sconfitte o le vittorie risicate avvengono contro destre abominevoli e non contro dei ragionevoli conservatori.
Non penso però un esame critico sia utile senza avere insieme una proposta alternativa. Proposta, poi, che intendo più come punto di partenza di una conversazione piuttosto che come una asserzione su cui credo non ci sia da dibattere. Quindi, qui vorrei fare due cose.
La prima spiegare perché la parola che più ci definisce, progresso, sia il relitto di un’epoca andata, che impone dei framework di comunicazione e narrazione politica che, se ho ragione, fanno più danni che benefici.
La seconda, spiegare come alla base dell’area progressista c’è l’idea di mirare all’incentivazione dei rapporti di cooperazione. Questa idea la differenzia dalla destra perché questa mira a favorire la competizione tra individui.
L’idea di mettere alla base la cooperazione permette anche di tracciare delle linee interessanti e forse controintuitive: rende l’area progressista la forza della stabilità sociale, mentre sottolinea che la destra può avere come conseguenza l’instabilità che risulta dalla generazione di diseguaglianze così profonde da indurre le persone a reagire con violenza.
Sia chiaro, questo pezzo non ha la pretesa di asserire come risolvere qualcosa. Non pretende neanche di essere esaustivo. Piuttosto, vorrebbe essere il punto di inizio di una conversazione sul modo, necessario, di ripensare l’area cosiddetta progressista.
Progresso e sinistra
Mi sembra si possa dire che l’idea politica di progresso nasce con l’illuminismo e ha la sua prima manifestazione politica nella Rivoluzione francese. Segue poi i grandi moti rivoluzionari del 1848, a cui non a caso seguì la pubblicazione del Manifesto del partito comunista. E poi le lotte di liberazione nazionale, le prime lotte femministe, l’estensione del suffragio. La prima grande crescita economica.
Se le si guardava a grandi linee, la storia europea tra il 1789 e il 1914 era la storia di un continuo miglioramento economico, politico e sociale. Un progresso interrotto solo nel 1914 dalla Prima Guerra Mondiale.
È questo il mondo in cui sono nate le ideologie che hanno determinato il Novecento, che è stato anche battaglia su queste idee Ottocentesche. Non a caso, il cosiddetto secolo breve, è terminato con la caduta dell’Unione Sovietica. Ossia, con la caduta della presunta realizzazione proprio di quel Manifesto del partito comunista che Marx ed Engels avevano pubblicano nel 1848.
Di quelle ideologie ottocentesche la sinistra post-1989 ha abbandonato e aveva abbandonato moltissimi tratti identitari. Sicuramente, nessun partito di progressista europeo mira all’appropriazione dei mezzi di produzione.
Però, tutta l’ala non-conservatrice si è unita sotto l’idea del progresso, che è stato preso come tratto distintivo di un’intera compagine politica. In Europa continentale, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti. Tant’è che tutte queste forze politiche vengono chiamate progressiste.
Tuttavia, il progresso non è una idea innocente. Per intenderci, è contestatissimo anche all’interno della sinistra, soprattutto quella che parte da posizioni post-coloniali.
Senza essere troppo lungo su un punto in parte teorico, vorrei sollevare due punti che rendono l’idea di progresso molto problematica.
Il primo punto è che, nel dibattito pubblico, l’idea di progresso sembra partire da una assunzione problematica. Ossia, che la politica tenda a una società oggettivamente migliore. Alcuni cittadini riconoscono quali siano le condizioni per ottenere questa società, hanno proposte per raggiungerla e mirano a raggiungerla.
Altri cittadini o non riconoscono o non mirano a raggiungere questa società oggettivamente migliore.
Ora, questa idea è piena di problemi. Uno è che non possiamo andare a vedere questa società, farcene un’idea e solo dopo combattere per ottenerla.
Un altro problema è che se il progresso mira a una società oggettivamente migliore, chi ci impedisce di raggiungerlo sta oggettivamente minando al nostro benessere. E questo motivo è stato usato per legittimare la violenza politica.
L’idea di società non è indipendente dai valori, dalle idee e dalle paure delle persone che la propongono. Questo vuol dire che è forse impossibile fornire un argomento che dimostri che, per esempio, una società in cui tutti i mezzi di produzione sono condivisi sia effettivamente un progresso rispetto a una che tutela la proprietà privata.
Dunque, l’idea di progresso che si persegue diventa molto relativa e giustifica le più disparate posizioni.
Il secondo punto problematico è che l’idea di progresso, soprattutto quando è usata nel dibattito politico, crea una separazione netta nella cittadinanza. Da una parte, i progressisti che mirano a migliorare la società. Dall’altra, quelli che attentano a questo miglioramento.
Una conseguenza infelice di questa distinzione è che, una volta stabilite le idee salienti per il progressismo, chi non le abbraccia è tacciabile di arretratezza. Dunque, è delegittimato sul piano delle idee.
Un’altra conseguenza infelice è che, almeno di non essere all’interno di una rete sociale che impone dei vincoli di appartenenza, chi si sente tacciato di arretratezza solamente per avere alcune idee, rischia di alienarsi da un’intera piattaforma e abbracciare chi non lo tratta come un conservatore.
Cooperazione o competizione
Come dicevo prima, temo che l’idea di progresso o il portare avanti politiche descritte come progressiste, possa contribuire all’alienazione di persone che, pur non essendo reazionare, hanno dubbi rispetto a politiche nuove e si sentono tacciate di conservatorismo. In reazione a questa percezione, diventano elettori di partiti veramente reazioni.
Questo è, sia chiaro, un problema ben diverso dal convincere persone che trovano la loro identità politica in idee che chiamiamo reazionarie. Convincere queste, senza abbandonare le proposte contese, non è credo l’obiettivo dei progressisti.
Vuol dire che dovrei o dovremmo abbandonare il campo e arrenderci a forze politiche che reputo incompatibili con la democrazia liberale?
No. Credo che abbiamo scambiato un pattern accidentalmente associato all’emergere della democrazia liberale, lo abbiamo chiamato progresso e con questo abbiamo definito la nostra identità politica.
Ma di un pattern accidentalmente associato pur si tratta. Dunque, di qualcosa ci cui fare a meno senza rinunciare a nulla di sostanziale.
L’idea alternativa che penso possa fornire un punto di partenza per ridefinire le parti politiche che abbiamo variabilmente chiamato progressiste sia quella di cooperazione.
In breve, una politica cooperativa è una che mira a incentivare forme di società in cui gli individui coordinano le proprie azioni per raggiungere forme diverse di cooperazione. Dunque, si distinguono dalle politiche di destra perché queste mirano a incentivare forme di società in cui gli individui coordinano le proprie azioni sulla base della competizione.
I partiti di destra desiderano, in modi spesso diversi, una società in cui sia data agli individui la possibilità di arricchirsi senza che lo stato intervenga per stringere il divario tra chi si arricchisce e chi no.
A tal fine, auspica la protezione dei patrimoni ereditati, una minore presenza fiscale dello stato e qualsiasi altro intervento volto a tutelare, in primo luogo, le posizioni finanziarie e patrimoniali. L’azione redistributiva è compiuta, prevalentemente, dal mercato e dall’inventiva personale (imprenditoriale). In linea di principio, non è posto limite all’arricchimento individuale. Dunque, la destra propone un modello di società in cui gli individui competono per accaparrarsi la maggior parte di ricchezza.
I partiti di sinistra desiderano, in modi spesso diversi, una società in grado di garantire una distribuzione della ricchezza che sia collettivamente migliore
. Ossia, in cui a scapito dell’arricchimento in linea di principio illimitato di alcuni, si favorisca un minor divario tra i più ricchi e i più poveri. Una società, inoltre, in cui l’azione redistributiva sia compiuta, in buona parte, dallo stato. In questo modo, la ricchezza generata dalla società sarà parzialmente redistribuita per fare in modo che non vi siano persone che partano da condizioni di eccessivo vantaggio.
Dunque, la sinistra propone una società in cui gli individui cooperano affinché vi sia uno stato di benessere generalizzato e non eccessivamente distribuito verso pochi.
I vantaggi della cooperazione
Questa prospettiva a vari vantaggi.
Il primo è che non delegittima un avversario politico che voglia coordinare la società (ossia, fare in modo che tutti i cittadini possano svolgere la propria vita in un ambiente relativamente stabile) solo perché mira a farlo attraverso forme di competizione.
Il secondo vantaggio è che rende le posizioni politiche, almeno in parte, almeno teoricamente suscettibili di valutazioni in base ai risultati ottenuti, cosa che l’idea di progresso non permette veramente.
Il terzo è che non ci impedisce di riconoscere come incompatibili con la democrazia liberale chi liberale non è. Per esempio, un neofascista che voglia limitare i diritti delle donne è uno che sta minando alla base il patto di mutuo riconoscimento che sta alla base delle azioni cooperative. Dunque, è chiaro che attenta ai fondamenti della società.
Ci permette pure di giustificare su base non-morale le battaglie per i diritti civili, in quanto queste diventano battaglie per il pieno e mutuo riconoscimento dei diversi soggetti politici.
Infine, non rischia di alienare e quindi polarizzare chi possa nutrire dubbi su battaglie che ora consideriamo progressiste. Piuttosto, lo invita a cooperare e riconoscere persone che, a causa dell’organizzazione esistente, non trovano piena legittimità.
Ora, la cooperazione ha una forza retorica ben diversa rispetto a quella di progresso.
Mentre l’idea di progresso mette una linea tra chi è avanti e chi è indietro, l’idea di cooperazione è in primo luogo una proposta. Una politica cooperativa è una che dice alle persone indecise che sono sul nostro stesso piano. Dice anche che le proposte fatte sono un modo per includere pienamente persone che incluse non sono.
Ha anche un’ultima forza. Mentre l’idea di progresso è un’idea con scarsa presa sulla realtà e che presta il fianco alla classica critica che i progressisti parlano di ideali mentre i conservatori parlano di fatti, l’idea di cooperazione è un’idea ben ancora nei fatti. Così ben ancorata che ci sono interi ambiti di studio che si occupano della coordinazione tramite cooperazione.
Dunque, i vantaggi ci sono, permettono una narrazione più efficace, annullano le critiche che descrivono i progressisti come persone che si sentono superiori (come dargli torto, visto che ci descriviamo così) o impegnati in bei discorsi poco concreti (ancora, come dargli torto, visto che lo facciamo).
L’unico difetto sembra essere l’attaccamento identitario a una parola––progresso––che accompagna quest’area politica da duecento anni. Ecco, questa è una cosa molto conservatrice.
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However, Brussels still lacks something fundamental that Washington and Beijing possess: a certain coherence between digital policies and their own geopolitical interests. How will the new European Commission address the dilemmas of digital governance? Will the AI Act be the model? More generally, is the EU ready for a geopolitics increasingly shaped by technological innovations, from bots to trolls, up to artificial intelligence?
SPEAKERS
Gaia Rubera, Amplifon Chair in Customer Science and Head of Marketing Department, Università Bocconi
Giorgos Verdi, Policy Fellow, European Power Programme, European Council on Foreign Relations
MODERATED BY
Stefano Feltri, Communication Advisor, Institute for European Policymaking @ Bocconi University
Ottima analisi, che da italiana residente negli Stati Uniti da lungo tempo ritengo una delle poche, pochissime nel panorama italiano (negli Stati Uniti tutto ciò è molto più chiaro) che ha l’umiltà di mettere in discussione l’approccio del progressismo all’indomani di elezioni che ne hanno evidenziato alcune falle.
Articolo davvero interessante, utile e sfidante verso gli eccessi della corsa in avanti, oltre confine. Gli esseri umani sono in difficoltà con queste velocità e vedo persone soffrire e ammalarsi per no parlare dei basic che mancano e allora si costruisce sulle sabbie mobili.