L’idea di progresso contribuisce all’alienazione di persone che, pur non essendo reazionarie, hanno dubbi su politiche nuove e si sentono tacciate di conservatorismo. Meglio parlare di cooperazione
Mi era sfuggita la risposta e quindi annoto in ritardo scusandomi. Si tratta soltanto di un problema di comunicazione. La parola "progresso" è portata avanti sempre contro altre parole di buon senso (ad esempio, la "decrescita felice") che hanno il torto di presentarsi come "parole dei piagnoni" (e sono in molto a crederlo, senza degnarsi di approfondire minimamente la questione). Togliere dalle mani di molti irresponsabili (termine che uso etimologicamente: persone che non vogliono rispondere) argomenti facili è un passo in avanti per aiutare a far pensare. Poi, dal punto di vista sostanziale, sono d'accordo con lei. Si tratta soltanto di dirlo in un modo comprensibile a tutti, senza offrire il destro a scappatoie.
L’errore di tanti nell’aspettarsi un determinato risultato delle elezioni americane è dovuto alla disinformazione che ha dato ampio risalto a sondaggi farlocchi, peccato che si parli di disinformazione solo quando c’è da prendere di mira i canali informativi cialtroneschi della destra, in questo caso sono stati i celebrati media liberal a diffondere stupidaggini quindi nessuno ha gridato allo scandalo.
Personalmente non sono rimasta delusa neanche dal voto popolare perché non mi faccio nessuna illusione su quel paese canaglia e sui relativi abitanti che sono in maggioranza dei vaccari rozzi e egoisti e ignoranti che non hanno alcun interesse a far parte di una collettività che vada oltre l’angusto confine del loro ranch. Che poi il sistema elettorale americano sia perverso non ci piove, dovremmo piuttosto chiederci perché abbiamo preso questo paese nato da un genocidio, cresciuto grazie allo schiavismo, disfunzionale, malato, portatore di disvalori assoluti quale esempio e faro di democrazia cui dovremmo ispirarci (io ho un’idea ce l’avrei). Le cause della rielezione del pagliaccio arancione sono dovute appunto al fatto che l’elettorato americano ha visto i prezzi alzarsi a dismisura nei loro disgustosamente enormi centri commerciali e quindi hanno temuto per le loro tasche, l’unica cosa che a loro interessa anche se magari il giorno prima hanno visto il villaggio vicino devastato da un uragano. Non è vero che la Gran Bretagna è l’unica eccezione all’ondata di destra perché una ben più fulgida eccezione è rappresentata dalla Spagna di Sanchez che, a differenza del Labour, governa insieme a politici di sinistra. Per me poi la differenza sostanziale tra le destre abominevoli e i ragionevoli conservatori è solo questione di maquillage, di apparenza, di contenitore perché i contenuti sono assolutamente identici non a caso i cosiddetti ragionevoli conservatori hanno sempre preferito fare accordi con la destra abominevole invece che con la sinistra sia mai che venga concessa qualcosa ai sudditi (ultima dimostrazione: Macron che preferisce dare al RN il coltello dalla parte del manico pur di non rischiare un governo che faccia politiche di vera sinistra). Quanto al progresso, prima di tutto bisognerebbe intendersi sul suo significato perché sono certa che io non vedo il progresso come lo vedono ad esempio gli europeisti fedeli ai dogmi di Bruxelles, una volta però definita l’idea di progresso, si può discutere se quel percorso porta di benefici e soprattutto a chi. Anche se non è stato citato l’idea di progresso dell’autore di questo post sembra essere quella legata alla cooperazione quindi in poche parole un modello socialista, colpisce come in tutto questo lungo articolo non si focalizzi il problema principale di questi tempi che è appunto la dittatura del capitalismo, se non si decide di superare quel modello che è basato sul contrario della cooperazione cioè sulla sopraffazione dell’altro visto come competitore, sul tentativo di fare fuori tutti gli avversari, sulla tendenza nevrotica e psicotica alla crescita infinita in un pianeta che invece è finito con i relativi disastri ecologici che ciò comporta. Sono d’accordo che è arrivato il momento di ripensare il nostro modello di sviluppo, ma secondo me bisogna anche liberarsi di alcuni tabù connaturati proprio a quello che la narrativa imperante, quella neoliberista liberale o capitalista e iniziare a provare a immaginare un mondo nuovo. Quello che spaventa le persone quando si prova a palesare l’ipotesi che il capitalismo scompaia è l’idea o paura che si instauri un regime di tipo comunista come quello vissuto in Russia ( anche se per la cronaca quello che è successo in Unione Sovietica non è affatto quello che prefigurava Marx che invece immaginava il comunismo come fase finale del capitalismo che in URSS non esisteva prima del 1917). A me sembra un po’ cervellotico quello che viene proposto per far sì che l’idea di progresso sia funzionale al miglioramento della società, non riesco a cogliere il nocciolo del ragionamento è mi sembra appunto un complicare delle cose che alla fine sono semplici e sono quelle sempre le stesse da quando Qualcuno si è reso conto che lo sfruttamento dell’uomo su un altro uomo è qualcosa di abominevole e vergognoso: è chiaro che non può esistere un progresso che stia bene a tutti e il motivo è semplice: le classi sociali esistono, le differenze di possibilità, di estrazione sociale, di mezzi economici alla nascita esistono e hanno un peso determinante nel delineare la traiettoria di vita degli individui.in base a questo ragionamento quindi non credo proprio che le persone che pur lavorando a tempo pieno non arrivano a fine mese, che vivono nell’angoscia della precarietà lavorativa, che non trovano un lavoro decente avrebbero perplessità rispetto a idee progressiste che mirano a migliorare la loro condizione, quelle che l’autore chiama politiche nuove, non lo so non riesco a trovare convincente questo pezzo perché secondo me manca appunto il dato oggettivo della differenza di classe tra le persone da cui scaturisce ovviamente un’idea diversa di progresso tra di loro e poi manca anche la consapevolezza che le cose che attribuisce alla destra ( competere per accaparrarsi la maggior parte di ricchezza, diminuire il ruolo dello Stato nella società, favorire chi è già fortunato a scapito dei più poveri) le ha fatte anche la parte politica che erroneamente definiamo sinistra. Negli Stati Uniti la sinistra non esiste, in Italia è stata cancellata da quella sciagura chiamata partito democratico e in Europa viene ostacolata in tutti modi dall’apparato tecnocratico che regge Bruxelles e infatti è in via di scomparsa. Scomparsa dovuta al fatto che quelli che avrebbero dovuto difendere la gente che lavora hanno tradito l’obiettivo mentre magari impartivano pure la lezioncina sui diritti civili delle minoranze. Quindi la sinistra, quella che viene chiamata sinistra dall’apparato mediatico in mano alla destra, non propone affatto una società in cui gli individui cooperano, basti vedere cosa hanno fatto i partiti di centro sinistra in questi trent’anni di Unione Europea il cui mantra è appunto mercato, competizione, concorrenza, e tutto il bagaglio dell’ideologia capitalista. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Sono d'accordo nel voler dare enfasi al concetto di Cooperazione piuttosto a quello,positivista, di *progresso*, che spesso fa rima con produzione di merci ad libitum e conseguente rischio di distruzione di rapporti umani o di natura : si legga a questo proposto l'attuale e famoso libro di Saito Kohei (il capitale nell'antroprocene). Tutto sta a cosa e a chi collegare la Cooperazione. Se la focalizziamo sull'accordo con Renzi, o Conte o Calenda, forse non cooperiamo un gran che.
Che fa ad es il PD sulla forte proposta di Landini ? Come cooperiamo con le frange, non estreme, comunque in piazza, dei giovani ? Come cooperiamo con le sinistre di tutto il mondo rispetto all'avanzata massiccia di Destra a occidente, e autocrazie e guerre nel medio-oriente, in Africa, e nelle sconfinate aree russo-cinesi, indiane?
La Cooperazione ha bisogno non solo di essere richiamamata ma di un vasto respiro, non localistico e che non escluda di mostrare le unghie, per troppo presto bloccate dal *senso di responsabilita* ?
Concordo pienamente con l’analisi e la proposta. Sembra un punto sottile all’inizio, ma non lo è per nulla.
Forse si potrebbero azzardare altre conseguenze paradossali dell’essersi affibbiati/avere accettato l’etichetta ‘progressista’, di aver chiamato così varie proposte politiche. Una è che l’unica convergenza rispetto all’idea di progresso a sinistra è probabilmente proprio quella portare ad una cooperazione che possa far stare e far uscire il meglio da tutti. Ma questo non è esplicitato e non sembra essere il punto centrale, visto che spesso proposte e battaglie vengono presentate quasi come intrinsecamente positive o necessarie.
L’altra è che le estreme destre sembrano proporre un’idea semplice, chiara e condivisa di progresso: nessun futuro che “la sinistra” propone dovrà mai avverarsi, a qualunque costo. Questo va molto oltre una visione reazionaria, è una prospettiva a lungo termine, e gioca molto sull’idea di una “battaglia per un progresso” (indefinito) a sinistra. Ma è anche una proposta completamente dipendente da questa idea di sinistra, e per questo possibilmente suscettibile a una riconfigurazione del dibattito nei termini proposti da Filippo.
I progressisti, a forza di professare una sorta di "vangelo" ideologico che si può riassumere sotto la formula di "democrazia liberale", agli occhi di masse crescenti della popolazione si sono trasformati nei nuovi conservatori, interessati solo a difendere diritti acquisiti ma incapaci di proporre risposte convincenti a esigenze nate dal rapido mutare della società contemporanea. In questo modo le persone si affidano a chi è in grado di affermare soluzioni semplici (anche se palesemente inadeguate) a problemi complessi ma sempre più percepiti trasversalmente.
Proposta molto interessante su cui ragionare a fondo, valutando i rischi di spostare la frattura politica tra chi considera la cooperazione in modo tribale tra individui strettamente simili e chi propone una cooperazione vasta basata su una fratellanza umana universale.
Penso da diverso tempo che Il mondo cooperativo più innovativo meriti una osservazione più attenta e diffusa (non solo dalla politica) perché è ancora purtroppo molto sconosciuto e percepito come una "nicchia".
Molto chiara ed efficace la problematicità dell' idea di progresso!
Mi piace l'idea di distinguere fra "coordinazione tramite competizione" e "coordinazione tramite cooperazione".
C'e' pero' una piccola clausola accennata all'inizio: "Tuttavia, il progresso non è una idea innocente. Per intenderci, è contestatissimo anche all’interno della sinistra, soprattutto quella che parte da posizioni post-coloniali."
Se io ho una banana, il progressista/competizione mi dice "te la sei potuta comprare, quindi hai il diritto di mangiartela tutta", il progressista/cooperazione mi dice "aspetta, magari se la condividi con il tuo vicino ci guadagnate in due e la societa' migliora".
Ma nessuno mi sta dicendo "Un momento: ma da dove viene questa banana? Chi l'ha prodotta? E a quale costo? E chi paga questo costo?".
Ecco, io comincio ad avere il sospetto che se continuamo a non chiederci da dove vengano tutte queste banane, qualunque idea di progresso resta una redistribuzione interna di una ricchezza di cui ci siamo appropriati in modo comunque poco cooperativo.
Molto bella l'idea, che però io riformulerei così "Progresso basato sulla competizione" e "Progresso basato sulla cooperazione". In questo modo non si lascia in mano alla destra l'idea di "progresso" (sempre attraente e - proprio per la storia che l'accompagna - vincente) ma gli si dà una curvatura diversa, rendendo chiaro che quella della sinistra è una strada veramente alternativa.
Certo questo è un modo molto interessante di porre la questione! Se si parla di distinzione destra/sinistra, io preferisco articolarla tra “coordinazione tramite competizione” e “coordinazione tramite cooperazione”. Chiaramente, poi ammettendo sfumature perché si può incentivare la coordinazione in certi ambiti (per esempio, la sanità) e la competizione in altri (per esempio, nel mercato). Sul piano descrittivo, sarei d’accordo a separare i casi come lei propone. Rimangono i miei dubbi sulla bontà del concetto di progresso, che mi sembra essere un’idea abbastanza poco chiara.
Credo che la ridefinizione di una “proposta alternativa” sia veramente il nocciolo della questione, e non tanto perché può essere il modo per prevalere su questi moti di regresso sovranista/populista quanto perché ne abbiamo veramente bisogno: i paradigmi del vivere sociale, dell’economia e della politica stanno già cambiando e ancora di più cambieranno nel prossimo futuro. Sappiamo perfettamente il perché (Internet, Intelligenza artificiale, cambiamento climatico) anche se non abbiamo ancora una visione chiara del come.
Le modalità della vittoria del sistema Musk-Trump e le prospettive che tale sistema può comportare sono una prova dei possibili cambiamenti che potremmo subire se non costruiamo qualcosa di nuovo.
La nuova proposta dovrà necessariamente essere veramente nuova, epocale e rispondente alle nuove preoccupazioni e frustrazione delle persone:
Da quando l’uomo ha introdotto la rivoluzione della domesticazione delle piante e degli animali si è instaurata la narrazione che “più produttività” = “più sicurezza e benessere per tutti”. In realtà si è capito ben presto che le quote di redistribuzione del maggiore benessere e della maggiore sicurezza potevano essere più o meno “manovrate” a seconda dei periodi e delle geografie.
Le rivoluzioni industriali hanno innescato una forte parabola di crescita della produttività trasformando sempre meglio le forme di energia in lavoro meccanico e affidando sempre di più all’uomo il lavoro intellettuale (governo e programmazione delle macchine, amministrazioni, etc.). Adesso però che con l’IA le energie potranno produrre sempre di più lavoro intellettuale, lasciando all’uomo oasi creativo-ludico-intellettuali, la produttività potrebbe schizzare a ordini di grandezza oggi impensabili.
Un tale concentrazione di ricchezza affrancata in gran parte dal lavoro umano andranno ad esasperare sia l’allargamento della forbice di diseguaglianze economiche che lo spostamento di ricchezza dal pubblico verso il privato.
Si porranno quindi problemi politici ed economici nuovi e diversi da quelli considerati dalle ideologie e dai modelli del secolo scorso. Fra questi potremmo identificare:
- La necessità di poter garantire, senza interferenze politiche ed estensivamente, accesso ad informazioni oggettive, basate su dati verificabili (la verità oggettiva) affinché la chiave fondamentale delle democrazie, ovvero una opinione pubblica correttamente informata, sia assicurata (in questo blockchain e IA potrebbero aiutare molto)
- La necessità di garantire una adeguata ridistribuzione della enorme ricchezza che tenderà a concentrarsi sempre più nelle mani di pochi, a sostegno economico delle pubbliche istituzioni, del welfare e delle fasce sempre più ampie di popolazione che non potranno accede ad un reddito da lavoro
- La necessità di definire un parametro di “qualità del vivere” che sia indice del migliore o peggiore funzionamento della democrazia ridefinendo in relazione ad esso tutti gli altri parametri economici e sociali (rispetto dei diritti civili, PIL, occupazione, disavanzo, produttività, istruzione, autonomia della giustizia, autonomia dei media, percezione del livello di corruzione, tasso di criminalità, parametri del fenomeno di immigrazione, riscaldamento globale, inquinamento, etc)
Ma soprattutto andrà regolamentato ed indirizzato urgentemente l’attuale potenziale enorme delle nuove tecnologie (internet, blockchain, intelligenza artificiale, etc) controllando gli aspetti di orientamento, se non manipolazione e controllo dell’opinione pubblica.
Come evidenzia molto bene Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro “Nexus”, le nuove tecnologie possono essere un supporto prezioso al funzionamento ottimale di una democrazia ma molto più facilmente, se non gestite con attenzione al bene comune, possono divenire uno strumento di instaurazione e mantenimento di regimi più autoritari o persino totalitari capaci di un controllo così capillare come non è stato neanche lontanamente possibile da parte dell’unione sovietica.
Se quindi non affronteremo subito ed adeguatamente questi temi, la curva del “progresso” seguirà obiettivi di aziende private se non addirittura deliri di onnipotenza individuali, distruggendo le nostre democrazie.
In conclusione la “proposta alternativa” ci serve urgentemente e dovrà essere completamente diversa dalle ideologie del secolo scorso. Non dovrà parlare ad una classe, ma alle persone tutte perché perdere la democrazia (e successivamente la nostra umanità) sarebbe un disastro sia per i ricchi che per i poveri, sia per le persone di destra che per le persone di sinistra.
Occorre abbandonare l’equazione “più produttività” = “più sicurezza e benessere per tutti” rimettendo la sicurezza ed il benessere della popolazione TUTTA, ovvero il ‘bene comune’, al primo posto delle priorità politiche, etiche ed economiche.
Ma per avere qualche speranza di riuscire dovremo cessare di essere vasi di coccio (nazioni europee non federate) fra i vasi di bronzo (USA, Cina, Russia, India…).
Chiedo scusa per il post troppo lungo, ma il tema è molto coinvolgente...
Tutto vero ma senza il lavoro salariato, viene a mancare il consumatore e il gioco finisce. Allora il capitalista dovrà pagare il non lavoratore per continuare a consumare. Lo pagherà per istruirsi, curarsi, etc... Pagherà il welfare ma, l'importante è che questi servizi vengano erogati dallo Stato e non direttamente da Elon Musk che costruirebbe uomini funzionali al suo progetto egemonico.
Complimenti per l'articolo, molto interessante anche se spiace che fosse pieno di errori che rendevano la lettura difficoltosa.
Spiace dire che i "progressisti" da una decina di anni a questa parte sono proprio i "conservatori", i quali, favorendo i privati, hanno innovato la società fino ad arrivare a stringere un nuovo patto con gli elettori. Guarda caso solo il 6 Novembre abbiamo scoperto quanto era stata importante Twitter (X) per quest'elezione.
Non nascondo quindi che certe parole, "progressisti" contro "conservatori" sono solo nella mente di chi studia: anche i conservatori credono nella "cooperazione", al punto che fanno lo stralcio fiscale o si fanno aiutare dalle aziende per creare il nuovo Piano Mattei per l'Africa.
L'impressione, come scritto anche in altri interventi, è che siamo noi persone che non riusciamo più a stare dietro ai cambiamenti e questo significa che la conclusione potrà essere solo una come nel 1914.
P.s.: il periodo dopo il 1918 è fondamentale per i progressisti: è da quell'anno che si inizia a parlare in Europa di suffraggio universale maschile e femminile, non farei quindi fermare l'evoluzione al 1914....
Ottima analisi, che da italiana residente negli Stati Uniti da lungo tempo ritengo una delle poche, pochissime nel panorama italiano (negli Stati Uniti tutto ciò è molto più chiaro) che ha l’umiltà di mettere in discussione l’approccio del progressismo all’indomani di elezioni che ne hanno evidenziato alcune falle.
Negli USA più chiaro? A vedere quanto accaduto negli ultimi 10 anni direi che li la nebbia è ancora più fitta tra estremismo del politically correct e narrazione da NyT. A me pare invece che le società europee sono più attrezzate per cercare una soluzione di tipo cooperativo, che poi vorrebbe dire cercare un messaggio più popolare ed inclusivo e meno sbilanciato su sacrosanti diritti di minoranze di qualsiasi genere vs un presunto canone dominante gravato di una colpa quasi ancestrale.
Sulle capacità di una vs l'altra società siamo d'accordo. Per il resto mi sto riferendo all'approccio immediatamente post-elettorale. Sulla base delle analisi che leggo, la bolla progressista (di cui sicuramente faccio parte) mi sembra molto più intenzionata a farsi due domande qui negli Stati Uniti che in Italia. E va bene così, nel senso che il paese è il loro, non il nostro. Però leggo certe invettive contro l'elettorato trumpiano firmate da intellettuali italiani di centro-sinistra che indicano proprio che non si vuole neanche provare a capire cosa non abbia funzionato.
Ho fatto fatica a leggerlo ma non capisco esattamente perché una persona che si dice progressista non possa dirsi ANCHE per la cooperazione. Personalmente sono progressista ma allo stesso tempo sono contro la competizione che ha portato le persone a pensare solo ed esclusivamente a sé stesse e al loro piccolo giardino
Questo è un punto importante che forse non ho spiegato bene. Dunque grazie per averlo sollevato. Non volevo dire che una persona che si dica progressista non possa *anche* dirsi cooperativa. Quello che volevo dire è proprio che chi si dice progressista è prima di tutto una persona che mira alla cooperazione. Il punto che volevo fare è che presentarsi come progressisti invece che come cooperativi ha degli svantaggi comunicativi. E che la stessa idea di progresso è problematica. Tant’è che è stata attaccata anche da sinistra. Quindi, rinunciando al “progresso” non si perde niente sul piano delle proposte e dell’identità politica, ma si guadagna sul piano della strategia comunicativa. Chiaramente quest’ultimo punto è una ipotesi e per questo ho detto che vedo questo pezzo come una proposta di dialogo.
Ottima “proposta” la proposta di cooperazione per realizzare un progresso il più oggettivo possibile e il più condiviso possibile.
Ma oggi, specialmente dopo l’ok alla semplificazione - a mio avviso truffa - incarnata da mister Trump, mi pare che bisogna prima di tutto ricondividere oggettivamente la realtà presente demolendo le mistificazioni continue portate da una certa parte; vedi la narrazione odierna sullo stop oggettivo secondo me della Corte Costituzionale alla nuova declinazione del progetto “dividi et impera “.
Proposta talmente giusta, a mio avviso, che Salvini l'ha legittimata anzitempo quando ha gridato contro le "cooperative rosse" favorite da "quei giudici" che ostacolano le invenzioni del governo nella gestione dei migranti ed altro (vedi le indagini milanesi, lo spionaggio, etc...).
Mi era sfuggita la risposta e quindi annoto in ritardo scusandomi. Si tratta soltanto di un problema di comunicazione. La parola "progresso" è portata avanti sempre contro altre parole di buon senso (ad esempio, la "decrescita felice") che hanno il torto di presentarsi come "parole dei piagnoni" (e sono in molto a crederlo, senza degnarsi di approfondire minimamente la questione). Togliere dalle mani di molti irresponsabili (termine che uso etimologicamente: persone che non vogliono rispondere) argomenti facili è un passo in avanti per aiutare a far pensare. Poi, dal punto di vista sostanziale, sono d'accordo con lei. Si tratta soltanto di dirlo in un modo comprensibile a tutti, senza offrire il destro a scappatoie.
L’errore di tanti nell’aspettarsi un determinato risultato delle elezioni americane è dovuto alla disinformazione che ha dato ampio risalto a sondaggi farlocchi, peccato che si parli di disinformazione solo quando c’è da prendere di mira i canali informativi cialtroneschi della destra, in questo caso sono stati i celebrati media liberal a diffondere stupidaggini quindi nessuno ha gridato allo scandalo.
Personalmente non sono rimasta delusa neanche dal voto popolare perché non mi faccio nessuna illusione su quel paese canaglia e sui relativi abitanti che sono in maggioranza dei vaccari rozzi e egoisti e ignoranti che non hanno alcun interesse a far parte di una collettività che vada oltre l’angusto confine del loro ranch. Che poi il sistema elettorale americano sia perverso non ci piove, dovremmo piuttosto chiederci perché abbiamo preso questo paese nato da un genocidio, cresciuto grazie allo schiavismo, disfunzionale, malato, portatore di disvalori assoluti quale esempio e faro di democrazia cui dovremmo ispirarci (io ho un’idea ce l’avrei). Le cause della rielezione del pagliaccio arancione sono dovute appunto al fatto che l’elettorato americano ha visto i prezzi alzarsi a dismisura nei loro disgustosamente enormi centri commerciali e quindi hanno temuto per le loro tasche, l’unica cosa che a loro interessa anche se magari il giorno prima hanno visto il villaggio vicino devastato da un uragano. Non è vero che la Gran Bretagna è l’unica eccezione all’ondata di destra perché una ben più fulgida eccezione è rappresentata dalla Spagna di Sanchez che, a differenza del Labour, governa insieme a politici di sinistra. Per me poi la differenza sostanziale tra le destre abominevoli e i ragionevoli conservatori è solo questione di maquillage, di apparenza, di contenitore perché i contenuti sono assolutamente identici non a caso i cosiddetti ragionevoli conservatori hanno sempre preferito fare accordi con la destra abominevole invece che con la sinistra sia mai che venga concessa qualcosa ai sudditi (ultima dimostrazione: Macron che preferisce dare al RN il coltello dalla parte del manico pur di non rischiare un governo che faccia politiche di vera sinistra). Quanto al progresso, prima di tutto bisognerebbe intendersi sul suo significato perché sono certa che io non vedo il progresso come lo vedono ad esempio gli europeisti fedeli ai dogmi di Bruxelles, una volta però definita l’idea di progresso, si può discutere se quel percorso porta di benefici e soprattutto a chi. Anche se non è stato citato l’idea di progresso dell’autore di questo post sembra essere quella legata alla cooperazione quindi in poche parole un modello socialista, colpisce come in tutto questo lungo articolo non si focalizzi il problema principale di questi tempi che è appunto la dittatura del capitalismo, se non si decide di superare quel modello che è basato sul contrario della cooperazione cioè sulla sopraffazione dell’altro visto come competitore, sul tentativo di fare fuori tutti gli avversari, sulla tendenza nevrotica e psicotica alla crescita infinita in un pianeta che invece è finito con i relativi disastri ecologici che ciò comporta. Sono d’accordo che è arrivato il momento di ripensare il nostro modello di sviluppo, ma secondo me bisogna anche liberarsi di alcuni tabù connaturati proprio a quello che la narrativa imperante, quella neoliberista liberale o capitalista e iniziare a provare a immaginare un mondo nuovo. Quello che spaventa le persone quando si prova a palesare l’ipotesi che il capitalismo scompaia è l’idea o paura che si instauri un regime di tipo comunista come quello vissuto in Russia ( anche se per la cronaca quello che è successo in Unione Sovietica non è affatto quello che prefigurava Marx che invece immaginava il comunismo come fase finale del capitalismo che in URSS non esisteva prima del 1917). A me sembra un po’ cervellotico quello che viene proposto per far sì che l’idea di progresso sia funzionale al miglioramento della società, non riesco a cogliere il nocciolo del ragionamento è mi sembra appunto un complicare delle cose che alla fine sono semplici e sono quelle sempre le stesse da quando Qualcuno si è reso conto che lo sfruttamento dell’uomo su un altro uomo è qualcosa di abominevole e vergognoso: è chiaro che non può esistere un progresso che stia bene a tutti e il motivo è semplice: le classi sociali esistono, le differenze di possibilità, di estrazione sociale, di mezzi economici alla nascita esistono e hanno un peso determinante nel delineare la traiettoria di vita degli individui.in base a questo ragionamento quindi non credo proprio che le persone che pur lavorando a tempo pieno non arrivano a fine mese, che vivono nell’angoscia della precarietà lavorativa, che non trovano un lavoro decente avrebbero perplessità rispetto a idee progressiste che mirano a migliorare la loro condizione, quelle che l’autore chiama politiche nuove, non lo so non riesco a trovare convincente questo pezzo perché secondo me manca appunto il dato oggettivo della differenza di classe tra le persone da cui scaturisce ovviamente un’idea diversa di progresso tra di loro e poi manca anche la consapevolezza che le cose che attribuisce alla destra ( competere per accaparrarsi la maggior parte di ricchezza, diminuire il ruolo dello Stato nella società, favorire chi è già fortunato a scapito dei più poveri) le ha fatte anche la parte politica che erroneamente definiamo sinistra. Negli Stati Uniti la sinistra non esiste, in Italia è stata cancellata da quella sciagura chiamata partito democratico e in Europa viene ostacolata in tutti modi dall’apparato tecnocratico che regge Bruxelles e infatti è in via di scomparsa. Scomparsa dovuta al fatto che quelli che avrebbero dovuto difendere la gente che lavora hanno tradito l’obiettivo mentre magari impartivano pure la lezioncina sui diritti civili delle minoranze. Quindi la sinistra, quella che viene chiamata sinistra dall’apparato mediatico in mano alla destra, non propone affatto una società in cui gli individui cooperano, basti vedere cosa hanno fatto i partiti di centro sinistra in questi trent’anni di Unione Europea il cui mantra è appunto mercato, competizione, concorrenza, e tutto il bagaglio dell’ideologia capitalista. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Sono d'accordo nel voler dare enfasi al concetto di Cooperazione piuttosto a quello,positivista, di *progresso*, che spesso fa rima con produzione di merci ad libitum e conseguente rischio di distruzione di rapporti umani o di natura : si legga a questo proposto l'attuale e famoso libro di Saito Kohei (il capitale nell'antroprocene). Tutto sta a cosa e a chi collegare la Cooperazione. Se la focalizziamo sull'accordo con Renzi, o Conte o Calenda, forse non cooperiamo un gran che.
Che fa ad es il PD sulla forte proposta di Landini ? Come cooperiamo con le frange, non estreme, comunque in piazza, dei giovani ? Come cooperiamo con le sinistre di tutto il mondo rispetto all'avanzata massiccia di Destra a occidente, e autocrazie e guerre nel medio-oriente, in Africa, e nelle sconfinate aree russo-cinesi, indiane?
La Cooperazione ha bisogno non solo di essere richiamamata ma di un vasto respiro, non localistico e che non escluda di mostrare le unghie, per troppo presto bloccate dal *senso di responsabilita* ?
Francesco Del Zotti
Concordo pienamente con l’analisi e la proposta. Sembra un punto sottile all’inizio, ma non lo è per nulla.
Forse si potrebbero azzardare altre conseguenze paradossali dell’essersi affibbiati/avere accettato l’etichetta ‘progressista’, di aver chiamato così varie proposte politiche. Una è che l’unica convergenza rispetto all’idea di progresso a sinistra è probabilmente proprio quella portare ad una cooperazione che possa far stare e far uscire il meglio da tutti. Ma questo non è esplicitato e non sembra essere il punto centrale, visto che spesso proposte e battaglie vengono presentate quasi come intrinsecamente positive o necessarie.
L’altra è che le estreme destre sembrano proporre un’idea semplice, chiara e condivisa di progresso: nessun futuro che “la sinistra” propone dovrà mai avverarsi, a qualunque costo. Questo va molto oltre una visione reazionaria, è una prospettiva a lungo termine, e gioca molto sull’idea di una “battaglia per un progresso” (indefinito) a sinistra. Ma è anche una proposta completamente dipendente da questa idea di sinistra, e per questo possibilmente suscettibile a una riconfigurazione del dibattito nei termini proposti da Filippo.
I progressisti, a forza di professare una sorta di "vangelo" ideologico che si può riassumere sotto la formula di "democrazia liberale", agli occhi di masse crescenti della popolazione si sono trasformati nei nuovi conservatori, interessati solo a difendere diritti acquisiti ma incapaci di proporre risposte convincenti a esigenze nate dal rapido mutare della società contemporanea. In questo modo le persone si affidano a chi è in grado di affermare soluzioni semplici (anche se palesemente inadeguate) a problemi complessi ma sempre più percepiti trasversalmente.
Proposta molto interessante su cui ragionare a fondo, valutando i rischi di spostare la frattura politica tra chi considera la cooperazione in modo tribale tra individui strettamente simili e chi propone una cooperazione vasta basata su una fratellanza umana universale.
Penso da diverso tempo che Il mondo cooperativo più innovativo meriti una osservazione più attenta e diffusa (non solo dalla politica) perché è ancora purtroppo molto sconosciuto e percepito come una "nicchia".
Molto chiara ed efficace la problematicità dell' idea di progresso!
Grazie 😊
Mi piace l'idea di distinguere fra "coordinazione tramite competizione" e "coordinazione tramite cooperazione".
C'e' pero' una piccola clausola accennata all'inizio: "Tuttavia, il progresso non è una idea innocente. Per intenderci, è contestatissimo anche all’interno della sinistra, soprattutto quella che parte da posizioni post-coloniali."
Se io ho una banana, il progressista/competizione mi dice "te la sei potuta comprare, quindi hai il diritto di mangiartela tutta", il progressista/cooperazione mi dice "aspetta, magari se la condividi con il tuo vicino ci guadagnate in due e la societa' migliora".
Ma nessuno mi sta dicendo "Un momento: ma da dove viene questa banana? Chi l'ha prodotta? E a quale costo? E chi paga questo costo?".
Ecco, io comincio ad avere il sospetto che se continuamo a non chiederci da dove vengano tutte queste banane, qualunque idea di progresso resta una redistribuzione interna di una ricchezza di cui ci siamo appropriati in modo comunque poco cooperativo.
Analisi e proposta molto utile, grazie!
Molto bella l'idea, che però io riformulerei così "Progresso basato sulla competizione" e "Progresso basato sulla cooperazione". In questo modo non si lascia in mano alla destra l'idea di "progresso" (sempre attraente e - proprio per la storia che l'accompagna - vincente) ma gli si dà una curvatura diversa, rendendo chiaro che quella della sinistra è una strada veramente alternativa.
Certo questo è un modo molto interessante di porre la questione! Se si parla di distinzione destra/sinistra, io preferisco articolarla tra “coordinazione tramite competizione” e “coordinazione tramite cooperazione”. Chiaramente, poi ammettendo sfumature perché si può incentivare la coordinazione in certi ambiti (per esempio, la sanità) e la competizione in altri (per esempio, nel mercato). Sul piano descrittivo, sarei d’accordo a separare i casi come lei propone. Rimangono i miei dubbi sulla bontà del concetto di progresso, che mi sembra essere un’idea abbastanza poco chiara.
Credo che la ridefinizione di una “proposta alternativa” sia veramente il nocciolo della questione, e non tanto perché può essere il modo per prevalere su questi moti di regresso sovranista/populista quanto perché ne abbiamo veramente bisogno: i paradigmi del vivere sociale, dell’economia e della politica stanno già cambiando e ancora di più cambieranno nel prossimo futuro. Sappiamo perfettamente il perché (Internet, Intelligenza artificiale, cambiamento climatico) anche se non abbiamo ancora una visione chiara del come.
Le modalità della vittoria del sistema Musk-Trump e le prospettive che tale sistema può comportare sono una prova dei possibili cambiamenti che potremmo subire se non costruiamo qualcosa di nuovo.
La nuova proposta dovrà necessariamente essere veramente nuova, epocale e rispondente alle nuove preoccupazioni e frustrazione delle persone:
Da quando l’uomo ha introdotto la rivoluzione della domesticazione delle piante e degli animali si è instaurata la narrazione che “più produttività” = “più sicurezza e benessere per tutti”. In realtà si è capito ben presto che le quote di redistribuzione del maggiore benessere e della maggiore sicurezza potevano essere più o meno “manovrate” a seconda dei periodi e delle geografie.
Le rivoluzioni industriali hanno innescato una forte parabola di crescita della produttività trasformando sempre meglio le forme di energia in lavoro meccanico e affidando sempre di più all’uomo il lavoro intellettuale (governo e programmazione delle macchine, amministrazioni, etc.). Adesso però che con l’IA le energie potranno produrre sempre di più lavoro intellettuale, lasciando all’uomo oasi creativo-ludico-intellettuali, la produttività potrebbe schizzare a ordini di grandezza oggi impensabili.
Un tale concentrazione di ricchezza affrancata in gran parte dal lavoro umano andranno ad esasperare sia l’allargamento della forbice di diseguaglianze economiche che lo spostamento di ricchezza dal pubblico verso il privato.
Si porranno quindi problemi politici ed economici nuovi e diversi da quelli considerati dalle ideologie e dai modelli del secolo scorso. Fra questi potremmo identificare:
- La necessità di poter garantire, senza interferenze politiche ed estensivamente, accesso ad informazioni oggettive, basate su dati verificabili (la verità oggettiva) affinché la chiave fondamentale delle democrazie, ovvero una opinione pubblica correttamente informata, sia assicurata (in questo blockchain e IA potrebbero aiutare molto)
- La necessità di garantire una adeguata ridistribuzione della enorme ricchezza che tenderà a concentrarsi sempre più nelle mani di pochi, a sostegno economico delle pubbliche istituzioni, del welfare e delle fasce sempre più ampie di popolazione che non potranno accede ad un reddito da lavoro
- La necessità di definire un parametro di “qualità del vivere” che sia indice del migliore o peggiore funzionamento della democrazia ridefinendo in relazione ad esso tutti gli altri parametri economici e sociali (rispetto dei diritti civili, PIL, occupazione, disavanzo, produttività, istruzione, autonomia della giustizia, autonomia dei media, percezione del livello di corruzione, tasso di criminalità, parametri del fenomeno di immigrazione, riscaldamento globale, inquinamento, etc)
Ma soprattutto andrà regolamentato ed indirizzato urgentemente l’attuale potenziale enorme delle nuove tecnologie (internet, blockchain, intelligenza artificiale, etc) controllando gli aspetti di orientamento, se non manipolazione e controllo dell’opinione pubblica.
Come evidenzia molto bene Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro “Nexus”, le nuove tecnologie possono essere un supporto prezioso al funzionamento ottimale di una democrazia ma molto più facilmente, se non gestite con attenzione al bene comune, possono divenire uno strumento di instaurazione e mantenimento di regimi più autoritari o persino totalitari capaci di un controllo così capillare come non è stato neanche lontanamente possibile da parte dell’unione sovietica.
Se quindi non affronteremo subito ed adeguatamente questi temi, la curva del “progresso” seguirà obiettivi di aziende private se non addirittura deliri di onnipotenza individuali, distruggendo le nostre democrazie.
In conclusione la “proposta alternativa” ci serve urgentemente e dovrà essere completamente diversa dalle ideologie del secolo scorso. Non dovrà parlare ad una classe, ma alle persone tutte perché perdere la democrazia (e successivamente la nostra umanità) sarebbe un disastro sia per i ricchi che per i poveri, sia per le persone di destra che per le persone di sinistra.
Occorre abbandonare l’equazione “più produttività” = “più sicurezza e benessere per tutti” rimettendo la sicurezza ed il benessere della popolazione TUTTA, ovvero il ‘bene comune’, al primo posto delle priorità politiche, etiche ed economiche.
Ma per avere qualche speranza di riuscire dovremo cessare di essere vasi di coccio (nazioni europee non federate) fra i vasi di bronzo (USA, Cina, Russia, India…).
Chiedo scusa per il post troppo lungo, ma il tema è molto coinvolgente...
Tutto vero ma senza il lavoro salariato, viene a mancare il consumatore e il gioco finisce. Allora il capitalista dovrà pagare il non lavoratore per continuare a consumare. Lo pagherà per istruirsi, curarsi, etc... Pagherà il welfare ma, l'importante è che questi servizi vengano erogati dallo Stato e non direttamente da Elon Musk che costruirebbe uomini funzionali al suo progetto egemonico.
Complimenti per l'articolo, molto interessante anche se spiace che fosse pieno di errori che rendevano la lettura difficoltosa.
Spiace dire che i "progressisti" da una decina di anni a questa parte sono proprio i "conservatori", i quali, favorendo i privati, hanno innovato la società fino ad arrivare a stringere un nuovo patto con gli elettori. Guarda caso solo il 6 Novembre abbiamo scoperto quanto era stata importante Twitter (X) per quest'elezione.
Non nascondo quindi che certe parole, "progressisti" contro "conservatori" sono solo nella mente di chi studia: anche i conservatori credono nella "cooperazione", al punto che fanno lo stralcio fiscale o si fanno aiutare dalle aziende per creare il nuovo Piano Mattei per l'Africa.
L'impressione, come scritto anche in altri interventi, è che siamo noi persone che non riusciamo più a stare dietro ai cambiamenti e questo significa che la conclusione potrà essere solo una come nel 1914.
P.s.: il periodo dopo il 1918 è fondamentale per i progressisti: è da quell'anno che si inizia a parlare in Europa di suffraggio universale maschile e femminile, non farei quindi fermare l'evoluzione al 1914....
Ottima analisi, che da italiana residente negli Stati Uniti da lungo tempo ritengo una delle poche, pochissime nel panorama italiano (negli Stati Uniti tutto ciò è molto più chiaro) che ha l’umiltà di mettere in discussione l’approccio del progressismo all’indomani di elezioni che ne hanno evidenziato alcune falle.
Negli USA più chiaro? A vedere quanto accaduto negli ultimi 10 anni direi che li la nebbia è ancora più fitta tra estremismo del politically correct e narrazione da NyT. A me pare invece che le società europee sono più attrezzate per cercare una soluzione di tipo cooperativo, che poi vorrebbe dire cercare un messaggio più popolare ed inclusivo e meno sbilanciato su sacrosanti diritti di minoranze di qualsiasi genere vs un presunto canone dominante gravato di una colpa quasi ancestrale.
Sulle capacità di una vs l'altra società siamo d'accordo. Per il resto mi sto riferendo all'approccio immediatamente post-elettorale. Sulla base delle analisi che leggo, la bolla progressista (di cui sicuramente faccio parte) mi sembra molto più intenzionata a farsi due domande qui negli Stati Uniti che in Italia. E va bene così, nel senso che il paese è il loro, non il nostro. Però leggo certe invettive contro l'elettorato trumpiano firmate da intellettuali italiani di centro-sinistra che indicano proprio che non si vuole neanche provare a capire cosa non abbia funzionato.
Ho fatto fatica a leggerlo ma non capisco esattamente perché una persona che si dice progressista non possa dirsi ANCHE per la cooperazione. Personalmente sono progressista ma allo stesso tempo sono contro la competizione che ha portato le persone a pensare solo ed esclusivamente a sé stesse e al loro piccolo giardino
Questo è un punto importante che forse non ho spiegato bene. Dunque grazie per averlo sollevato. Non volevo dire che una persona che si dica progressista non possa *anche* dirsi cooperativa. Quello che volevo dire è proprio che chi si dice progressista è prima di tutto una persona che mira alla cooperazione. Il punto che volevo fare è che presentarsi come progressisti invece che come cooperativi ha degli svantaggi comunicativi. E che la stessa idea di progresso è problematica. Tant’è che è stata attaccata anche da sinistra. Quindi, rinunciando al “progresso” non si perde niente sul piano delle proposte e dell’identità politica, ma si guadagna sul piano della strategia comunicativa. Chiaramente quest’ultimo punto è una ipotesi e per questo ho detto che vedo questo pezzo come una proposta di dialogo.
Ottima “proposta” la proposta di cooperazione per realizzare un progresso il più oggettivo possibile e il più condiviso possibile.
Ma oggi, specialmente dopo l’ok alla semplificazione - a mio avviso truffa - incarnata da mister Trump, mi pare che bisogna prima di tutto ricondividere oggettivamente la realtà presente demolendo le mistificazioni continue portate da una certa parte; vedi la narrazione odierna sullo stop oggettivo secondo me della Corte Costituzionale alla nuova declinazione del progetto “dividi et impera “.
Proposta talmente giusta, a mio avviso, che Salvini l'ha legittimata anzitempo quando ha gridato contro le "cooperative rosse" favorite da "quei giudici" che ostacolano le invenzioni del governo nella gestione dei migranti ed altro (vedi le indagini milanesi, lo spionaggio, etc...).