La Santa Alleanza contro le Guerre Sante
La guerra di Gaza rischia di estendersi al Libano, con un conflitto totale tra Israele ed Hezbollah. La missione molto discreta del segretario di Stato vaticano Parolin prova a evitare il peggio
Il Vaticano vuole evitare che le le teologie politiche, affiancate da rozzi gnosticismi, i nazionalismi malati e i progetti teocratici deflagrino nel futuro imminente nel Sud del Libano
Riccardo Cristiano
Buongiorno a tutte e tutti,
oggi su Appunti accogliamo una grande firma, quella di Riccardo Cristiano, che di solito leggiamo con attenzione sul sito Settimana News, dove dall’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso cura un prezioso Diario di guerra.
Ho conosciuto Riccardo qualche mese fa, proprio a una iniziativa di Settimana News organizzata da padre Lorenzo Prezzi, e da allora è diventato il mio analista di riferimento sul Medio Oriente, sia per la competenza che per lo sguardo sempre umano, empatico sulle tragedie della geopolitica.
Riccardo Cristiano ha lavorato a lungo in Rai, prima come inviato in Medio Oriente - dove ha maturato una conoscenza particolare del Libano - poi dal 2000 come vaticanista. Oggi si occupa soprattutto degli incroci tra geopolitica e religione. Scrive regolarmente per Settimana News.
Credo che il suo pezzo di oggi, quasi un saggio, ci aiuti a capire un pezzo del grande disastro mediorientale e della catena di eventi innescata dagli attacchi del 7 ottobre. Ma soprattutto ci ricorda che la politica internazionale è una cosa complicata e che prima di schierarci come tifosi sugli spalti bisognerebbe fermarsi un attimo a pensare. E a leggere il punto di vista di chi può guidarci nella complessità, come fa Riccardo Cristiano.
Buona lettura,
Stefano
Il Vaticano e il destino del Libano (e del Medio Oriente)
di Riccardo Cristiano
Da alcune settimane ci ripetono che l’allargamento del conflitto mediorientale è questione di giorni, infatti il bollente fronte nord di Israele, quello con il Libano, starebbe per esplodere. E molto purtroppo conferma che al di là degli allarmismi e della guerra dei nervi le cose stanno in modo assai preoccupante.
Una guerra tra il potentissimo esercito israeliano e la più forte milizia islamista di sempre, Hezbollah non può essere esclusa, sebbene ancora oggi non appaia probabile. Ma sarebbe apocalittica.
Per spiegare la portata del temibile evento si ripete che non esiste comparazione di sorta tra Hamas e Hezbollah, quest’ultima ha un arsenale che molti stati arabi si sognano.
Così gli Stati Uniti sarebbero costretti a intervenire per difendere Israele da un nemico davvero temibile, capace di colpire città, e l’Iran dovrebbe intervenire per difendere la milizia che ha costruito nel sud del Libano quasi mezzo secolo fa. Uno sforzo enorme, che si misura in decine e decine di miliardi dollari.
Hezbollah è un partito teocratico khomeinista, costruito e armato da Tehran e che risponde direttamente, grazie a un sofisticato sistema cablato che consente conversazione segrete, agli uffici della Guida Suprema della rivoluzione iraniana, ayatollah Ali Khamenei.
E’ dunque logico che in queste ore caldissime il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, sia andato proprio in Libano, un po’ meno che lo abbia per una visita addirittura di quattro giorni.
Una missione a cui evidentemente attribuisce enorme importanza. E non sorprende che sia così. Sorprende piuttosto che di questa missione non si sia praticamente scritto alcunché.
Certo, la diplomazia vaticana lavora nell’ombra, non sono le omelie la bussola migliore per capire cosa stia facendo un grande diplomatico come il segretario di Stato vaticano, ma qualcosa si capisce. E non è di poco conto.
Il fallimento del Libano
Come già queste poche righe di presentazione illustrano, il conflitto che coinvolgerebbe Israele e Libano non sarebbe tra Israele e Libano, ma tra Israele e Hezbollah. E il Libano?
La domanda è legittima, perché nessuno può assicurare che il Libano esista, in realtà è uno Stato fallito, uno Stato che sopravvive a se stesso all’interno di una milizia confessionale e teleguidata da Teheran. Importante capire come e perché.
Tutto risale alla fine degli anni Ottanta, quando sul terminare della guerra civile libanese l’Iran khomeinista avviò la costruzione di una milizia in armi tramite la sua ambasciata in Siria.
Quando la guerra civile finì Hezbollah sottrasse ai combattenti comunisti il controllo del Sud del Libano dove si combatteva l’occupante israeliano.
Così gli accordi di pace che posero fine alla guerra civile disciolsero tutte le milizie armate, sostituite dal rinato esercito nazionale, con l’eccezione di Hezbollah, che nel sud occupato combatteva l’occupante israeliano.
Nel 2000, quando Israele optò per il ritiro, si creò a tavolino un piccolo equivoco: un lembo di territori siriani occupati furono donati dalla Siria al Libano ma di lì Israele non si ritirò. Così Hezbollah riuscì a ottenere che la “resistenza” potesse, o, meglio, “dovesse” rimanere in armi, per proseguire la sua impresa resistenziale (anche dopo il ritiro del nemico).
Proprio l’ideologia della resistenza ha fatto di Hezbollah un “mito” arabo: davanti alla notoria incapacità dei regimi arabi di far valere le proprie ragioni, Hezbollah è diventata in quegli anni un simbolo di riscatto, di efficienza e capacità difronte agli incapaci.
Ma quando, nel 2005, Hezbollah ha eliminato su incarico dell’alleato siriano il più amato leader libanese, l’ex premier Rafiq Hariri, colui che ha ricostruito Beirut, tutto è apparso diverso, agli occhi di molti.
Il Partito di Dio (questo vuol dire Hezbollah) era uno strumento dell’altro invasore del Libano, la Siria, ormai divenuta con il giovane Assad una colonia iraniana.
L’impressione dei più è diventata più chiara: Teheran coltivava (e coltiva) un disegno imperiale per imporre il suo sistema teocratico a quei paesi arabi che intendeva (e intende) colonizzare: Iraq, Siria, Libano e altro che poi sarebbe seguito.
I siriani, la cui occupazione del Libano mai viene ricordata rispetto a quella contemporanea del Sud da parte israeliana, si dovettero ritirare precipitosamente per la veemenza della reazione popolare: cominciava la stagione delle “primavere arabe”. E per cancellare la memoria del crimine del 2005 e quei primordi primaverili Hezbollah scatenò nel 2006 la guerra contro Israele: cosa di meglio per cancellare ruggini interne e unire a sé tutti gli altri contro il nemico esterno?
Nel 2011 è scoppiata la guerra civile siriana e le cose sono ulteriormente cambiate, perché Hezbollah ha messo le sue armi al servizio non della lotta contro Israele, ma di quella di Assad contro i musulmani siriani.
Con stermini, torture ed efferatezze che hanno segnato una svolta. Ma il potere miliziano di Hezbollah non aveva più pari in Libano e grazie alla disponibilità di diversi leader cristiani, il partito di Dio ha preso il controllo del governo.
Paese affluente, famoso per la qualità delle sue scuole e università, dove ogni arabo che può voleva andare a studiare, diverso dagli altri soprattutto per l’esistenza di un ceto medio tanto cristiano che musulmano, il Libano sotto il peso delle guerre e dell’enorme propensione della sua casta alla corruzione ha cominciato a traballare e i governo a guida Hezbollah, con il pieno accordo degli amici cristiani, ha rifiutato il prestito del Fondo monetario internazionale, arrivando a dichiarare default.
Nei mesi che sono andati tra 2019 e il 2020 i motociclisti di Hezbollah attraversavano in armamento leggero i quartieri dei loro avversari, trionfanti: doveva essere una sfida, è stato l’inizio del crollo.
Dopo decenni che la divisa nazionale veniva cambiato a 1500 sul dollaro, è cominciato un precipizio che è arrivato a 100mila lire libanesi per un dollaro. Un Paese sul lastrico, i conti correnti bloccati.
Dunque è difficile immaginare che la guerra a Israele sia libanese, gli affamati non bramano di andare al fronte: piuttosto è di Hezbollah, architrave del disegno innanzitutto imperiale e anti-arabo dei persiani (rivali storici degli arabi) teso a conquistare le terre arabe del Levante in nome di una islamizzazione teocratica guidata da Tehran.
A questo disegno non interessa il benessere di queste terre, anzi. Questi stati falliti che gravitano nell’orbitano iraniana servono a offrire a Tehran sistemi finanziari comunque fruibili per aggirare le sanzioni internazionali. E qui entrano in ballo la guerra, i cristiani e il Vaticano.
Il mito del ghetto
La guerra anti-israeliana è iraniana, ideologicamente ma anche pragmaticamente, poiché mira a ridurre la questione mediorientale da questione a tre campi, quello arabo, quello iraniano e quello israeliano, a questione tra due campi, quello persiano e quello israeliano: la sfida finale.
Per questo la questione palestinese nella visione iraniana è cruciale: non per risolverla, mia per aggravarla, facendone la questione di punta della loro propaganda islamista che vuole islamizzare non “palestinesizzare” la Palestina.
E per questo motivo Hezbollah non può accettare un cessate il fuoco con Israele prima che lo faccia Hamas. Per non tradire “la causa”, sebbene nessun palestinese si sente difeso dalla guerra d’attrito tra Israele e Hezbollah.
Ma il progetto totalitario iraniano non è l’unico conosciuto dal Libano nel corsa della sua storia appena centenaria.
C’è stato anche quello del ghetto cristiano, pensato dai colonialisti francesi per i loro protetti maroniti ma abbandonato da loro stessi, che hanno preferito il “patto nazionale” con i musulmani e che spiega l’anomalia confessionale libanese: quel patto prevedeva che il presidente della Repubblica fosse cristiano maronita, il presidente del Consiglio dei ministri (con meno poteri rispetto al Capo dello Stato) sunnita, e successivamente il presidente della Camera sciita.
La storia ottomana e successiva è stata una storia di discriminazione della “minoranza religiosa interna all’Islam”, gli sciiti, e questo rimando antico ma profondo dice molto del revanscismo sciita. Ma non dei cristiani, in particolare dei maroniti, che nella loro componente islamofoba hanno continuato a pensare al ghetto.
Il mito del ghetto infatti è rimasto in molti cristiani, convinti che solo separarsi dai musulmani garantirebbe il loro benessere.
La sconfitta di questa scuola di pensiero colonialista e islamofoba ha fatto del Libano l’opposto di quanto sognato dai francesi: non un Paese con il quale dividere per imperare, ma il Paese del vivere insieme, infranto dopo enormi successi proprio dalla loro necessità di essere governati, nel 1975, quando scoppiò la guerra civile.
Ma il successo, soprattutto economico, libanese è tornato dopo la guerra civile, per la forza dei ceti medi e del loro ingegno, una nuova galoppata di successi durata dal 1990 al 2005.
E’ seguita la nuova epoca plumbea cui abbiamo accennato, un tunnel nel quale il Libano sta scomparendo. Lo dimostra la sua realtà istituzionale: il presidente della Repubblica doveva essere eletto a ottobre 2022 dal Parlamento, ma ancora non c’è.
Di conseguenza il governo è in carica solo per il disbrigo degli affari correnti. Lo stesso governatore della banca centrale non c’è, essendo di nomina presidenziale, c’è solo un reggente.
Esiste solo Hezbollah
Questo accade perché Hezbollah non ha più in Parlamento un numero sufficiente di alleati maroniti per imporre il maronita che voglia alla presidenza, come accadde con l’elezione precedente, quella dell’ex generale Michel Aoun. Ma Hezbollah pretende che il suo candidato sia eletto comunque, paralizzando i lavori e violando la Costituzione per il tramite del presidente della Camera, suo lealissimo alleato, che inosservato impedisce il passaggio al voto a maggioranza semplice come previsto, appunto, dalla Costituzione.
Questo dovrebbe essere accaduto già da pochi mesi dopo l’ottobre 2022, ma non accade, per una flagrante violazione del sistema di elezione del Capo dello Stato. Ma nessuno dice niente, perché Hezbollah è Hezbollah e i suoi voti sono importanti per i candidati presidenziali, cioè per molti maroniti afflitti dalla sindrome presidenziale.
Ma in assenza di un presidente eletto e di un governo nella pienezza dei suoi poteri come si può immaginare un negoziato di pace con Israele? Chi tratterebbe?
Siccome Hezbollah è per mezzo mondo un gruppo terrorista i mediatori che vanno a Beirut hanno sempre lunghi colloqui con il presidente della Camera, Nabih Berri (ricopre questo ruolo dal ben prima che finisse il secolo scorso).
E’ così per il mediatore americano, Amos Hochstein. Non può parlare con Hezbollah, e allora incontra, ogni volta lungamente, il presidente della Camera, che non si capisce cosa c’entri con un negoziato politico-diplomatico internazionale. Ma lui è il ventriloquo di Hezbollah, al quale si consegnano messaggi in bottiglia per gli uomini di Hezbollah.
In questo modo il mondo sta riconoscendo che il Libano non esiste più, esiste Hezbollah. Il governo non c’è, il Capo dello Stato non c’è, c’è solo Hezbollah e il suo ventriloquo con il quale si tratta. Serve ancora a qualcosa lo stato libanese?
Cosa può fare Parolin
Il Segretario di Stato Vaticano non si è sottratto a questa regola “aurea”. Anche lui ha previsto nel programma ufficiale un colloquio, “lungo”, con Nabih Berri. Ma ha posto al centro della sua missione l’elezione del presidente della Repubblica. E lo ha fatto non solo con Berri, ma anche con i leader maroniti, afflitti dalla sindrome presidenziale.
Litigiosi, sempre divisi, i leader maroniti più che al Libano pensano a se stessi, alla loro innata ambizione presidenziale, magari con i voti di Hezbollah (non per tutti questo è vero, assolutamente no, ma per molti sì).
C’è una figura intrigante cui bisogna far cenno: il maronita che si allontana da Hezbollah per fargli cambiare cavallo e tornare poi ad allearsi con lui.
Sollevando il problema della presidenza, Parolin ha posto ai maroniti l’esigenza di non suicidarsi. Solo l’esistenza del Libano gli consente di sognarsi presidenti. Qualcuno, con plausibile malevolenza, ha ipotizzato che la Santa Sede accetterebbe un qualsiasi presidente, anche quello prescelto autonomamente da Hezbollah.
Tutto sommato, secondo questa interpretazione, al Vaticano interesserebbe che torni ad esistere il presidente del Libano, unico leader cristiano del mondo arabo (i maroniti sono anche cattolici, che in quest’ottica non guasta certo). Il discorso si regge, ma io non credo che la missione del cardinale Pietro Parolin sia nata così.
La presidenza agli occhi di Parolin suggella l’esistenza di un’altra visione: e cioè, per parafrasare il titolo di un volume straordinario del professor Manlio Graziano, la Santa Alleanza contro le Guerre Sante. I progetti fondati sulla teologia politica sono diversi, riguardano Hezbollah ma anche l’illusione del ghetto cristiano. Queste due derive uccidono il Libano.
Infatti la missione del cardinale è cominciata con una scelta decisiva: l’incontro nel patriarcato maronita con tutti i leader delle comunità religiose. Tutti. Ma non tutti ci sono andati. Il presidente del Consiglio Supremo Sciita non si è fatto vedere. E perché? Ha ribadito ovviamente l’importanza dei rapporti tra sciiti e Santa Sede, ma ha preferito il gran rifiuto perché l’incontro è stato convocato dal patriarca maronita con un appello al rispetto delle risoluzioni dell’Onu. E queste Hezbollah non le accetta, o quanto meno vuole negoziarne l’applicazione. Da ciò dipende tra l’altro il possibile cessate il fuoco con Israele.
L’incontro però c’è stato ugualmente, tutti gli altri soggetti, incredibile anche a dirsi, si sono presentati puntualmente.
Per la prima volta nella storia recente tutto l’establishment maronita ha voltato le spalle a Hezbollah, tutti gli altri leader hanno preferito la Santa Sede al bunker di Hezbollah.
Questo in Libano dice molto, moltissimo.
Dice soprattutto che, volendo, lo Stato può esistere, in particolare modo se i maroniti non si perdono nella sindrome presidenziale e tornano, liberandosi dalla cultura del ghetto, a fare i cristiani.
La Santa Alleanza contro le guerre sante del cardinal Parolin ovviamente non esclude gli sciiti, ma chiede loro di entrare in un’ottica libanese e di accettare che lo Stato esista.
E’ questa logica che, ricreando uno stato che non si vede più neanche sulla carta, potrebbe trattare anche per loro con Israele. Come? Lo diranno, o lo direbbero, i partiti libanesi. Compreso Hezbollah, che però non ha rappresentanza esclusiva e indiscutibile di ogni sciita.
La strada per la pace
I termini del negoziato di pace sono abbastanza noti e pure semplici. Il nodo del famoso confine non ancora chiarito andrebbe risolto una volta per tutte, Hezbollah poi dovrebbe allontanare i suoi armati dal confine, dove tornerebbe a schierarsi l’esercito nazionale (che è di tutti, ma vanta tra i suoi militi soprattutto sciiti).
Hezbollah sa bene che la vittoria formale (il ritiro israeliano dal lembo di terra ancora occupato) porterebbe una sconfitta miliziana, non poter minacciare ogni giorno la giugulare di Israele.
Il suo progetto teocratico (e anti-arabo) ne uscirebbe scalfito, ma seguiterebbe ad esistere e a poter interferire in Siria, nello Yemen, in Iraq e forse anche altrove: lo farà? Solo il Libano nella pienezza dei suoi poteri potrebbe chiederglielo, coinvolgendolo.
E’ quello che a mio avviso ritiene necessario il Vaticano, per evitare che le le teologie politiche, affiancate da rozzi gnosticismi, i nazionalismi malati e i progetti teocratici deflagrino nel futuro imminente nel Sud del Libano.
Sarebbe un conflitto apocalittico, come è apocalittica buona parte della teopolitica mediorientale. Dunque la visita sarà successo? Non lo so, e credo sia stato trasparente e sincero il cardinale Parolin quando, arrivando a Beirut ha detto: vorremmo aiutare il Libano a salvarsi, ma potremmo anche fallire.
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Grazie per l’articolo