La democrazia serve ancora a qualcosa?
L'ascesa delle destre in tutta Europa indica che c'è un problema strutturale, non soltanto italiano. Una maggioranza critica istituzioni e sistemi che le élite faticano sempre di più a difendere
Credo che non si possano difendere le istituzioni democratiche unicamente sulla base di argomenti basati su ciò che è giusto o sbagliato. Bisogna difenderne anche (forse in primo luogo) l’utilità per la società
Filippo Riscica
Buongiorno a tutti e buona domenica,
Questo weekend sono impegnato con la famiglia e lascio spazio ad altri, in particolare al graditissimo ritorno del giovane filosofo Filippo Riscica che ci aiuta a mettere in prospettiva una settimana densa di reazioni, analisi e commenti post-voto delle europee.
Da parte mia, mi limito a una informazione di servizio: da domani mattina e per una settimana condurrò la rassegna stampa di Radio3, Prima Pagina. Lo faccio, con qualche pausa, una volta all’anno dal 2011, mi pare. Si comincia alle 7.15 con la lettura dei giornali, poi una brevissima pausa e il “filo diretto” con gli ascoltatori fino alle 8.40 circa.
E’ sempre divertente ed un’occasione di dialogo con il pubblico, una sfida (ricordo quando alla prima conduzione mi chiesero un commento su non so quale modifica della normativa sul commercio ambulante…) e una finestra sul mondo reale.
Sarebbe bello se anche la comunità di Appunti partecipasse in qualche modo, con i suoi spunti, le sue idee, le sue storie.
Questi sono i riferimenti per intervenire, magari ci sentiamo in diretta!
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Buona domenica,
Stefano
Aggiustare la democrazia
di Filippo Riscica
Le elezioni europee di qualche giorno fa si sono chiuse con un risultato chiaramente positivo per le destre estreme.
Per quando non si debba saltare a conclusioni affrettate e non si debbano confondere percentuali relative al basso numero di votanti, con le percentuali nella popolazione complessiva, l’estrema destra europea ha guadagnato fette di elettorato impensabili fino ad alcuni anni fa.
A me sembra quasi inconcepibile che vivendo nell’epoca più ricca di capacità di informare e di strumenti per educarsi, fette così grandi di elettori agiscano rispondendo a impulsi e problemi salienti.
Non è possibile che, posti di fronte a emergenze che richiedono ampio consenso (per esempio, il cambiamento climatico), a cui la maggior parte della popolazione sembra essere sensibile (vedi questo sondaggio) e di cui i politici non possono non essere consapevoli, la sfera pubblica sia tiranneggiata da campagne semplicistiche. E con ciò non intendo dire che lo trovo inconcepibile da credere, che non riesco a capire perché le cose siano così.
Piuttosto, trovo difficile accettare che le cose rimangano come sono. C’è qualcosa di rotto nelle nostre democrazie. Forse più d’una.
Io non voglio dire che qualcosa si è rotto ora e che prima si stava meglio. Anche se prima i politici di punta parlavano certamente meglio di quelli di ora.
Per tutto quello che so, può essere che qualcosa sia sempre stato rotto e ho il sospetto che sia così. Non voglio neanche dire che sia una tipicità italiana, perché i fatti mi smentirebbero e questa tornata elettorale lo ha dimostrato.
Valutare la democrazia
In maniera grossolana, la valutazione dei sistemi politici (sfera pubblica + istituzioni) può darsi in almeno tre modi: procedurale, strategica, epistemica.
Le prime due forme di valutazione, quella procedurale e quella strategica, sono ampiamente studiate. La prima, perché vogliamo che i nostri sistemi siano equi e giusti.
Non vogliamo, per esempio, che alcune categorie siano private dei loro diritti. La seconda, perché siamo interessati a sapere, tra le altre cose, come garantire la stabilità dei governi, mentre assicuriamo l’equità delle procedure. Per intenderci, una monarchia assoluta è molto stabile, ma per niente equa.
Invece, noi possiamo essere interessati a combinare forme di governo che garantiscano stabilità senza minare troppo l’equità.
La terza forma non ha ricevuto la stessa attenzione fino a non molto tempo fa. I motivi sono tanti.
Uno è che giustificare la democrazia in base alla qualità delle decisioni che fa prendere espone questa al rischio di essere scavalcata, almeno teoricamente, da forme non democratiche di governo.
La democrazia non dovrebbe essere giustificata perché funziona meglio di ogni altro sistema, ma perché è più giusta, moralmente superiore a ogni altro sistema, e questo è un valore superiore ad ogni altro.
Il motivo del mio scetticismo nei confronti di analisi e giustificazioni che ignorano la qualità delle decisioni prese è che prima o poi anche i sistemi più giusti si scontrano con i fatti, e se i fatti creano attrito, c’è il rischio che ci si scordi di ciò che è giusto.
In questo momento, mi sembra, stiamo vivendo questo attrito. Da un lato, abbiamo una maggioranza relativa ma rumorosa che scalpita contro istituzioni certamente non perfette ma neanche profondamente sbagliate, e lo fa in barba a evidenze di fatto (vedi il cambiamo climatico) o appellandosi a costrutti teorici tradizionali (la patria, la nazione) che hanno molti elementi di problematicità.
Dall’altro lato, abbiamo delle élite (e non lo dico in senso dispregiativo) che difendono le istituzioni in quanto giuste.
Io non voglio certamente dire che non si debbano difendere le istituzioni democratiche, perché io credo fermamente che siano, anche se non perfette, delle buone istituzioni.
Credo però, altrettanto fermamente, che non si possano difendere unicamente sulla base di argomenti basati su ciò che è giusto o sbagliato. Bisogna difenderne anche (forse in primo luogo) l’utilità per la società.
Il problema che vedo è che, se queste istituzioni sono, come credo, utili, ma la maggioranza relativa crede che non lo siano e che anzi le si debbano attaccare, ciò vuol dire che i secondi credono il falso, che stanno sbagliando qualcosa.
Il problema, dunque, è epistemico: concerne possibili errori che una parte della popolazione fa quando legge le notizie, processa le informazioni e così via.
La risposta facile è che ciò non deve sorprendere perché l’Italia è una nazione di analfabeti funzionali.
A me queste spiegazioni facili, basate sulla presunta inciviltà italiana non piacciono per vari motivi.
Uno di questi è che, dati alla mano, l’avanzata delle destre è un fenomeno che riguarda anche stati che da noi sono solitamente indicati come esempio di civiltà: la Francia, la Germania, l’Austria.
Quali sono i problemi?
Io non voglio oggi dare soluzioni. Voglio puntare a un modo di affrontare il problema e sottolineare tre aspetti rilevanti che mi sembra contribuiscano all’inquinamento della sfera pubblica e alla capacità di questa di esercitare una influenza positiva sulle istituzioni.
Uno è ovvio e oltremodo citato: l’influenza che i social network hanno esercitato sulla sfera pubblica. Dal punto di vista epistemico, in aggiunta al dato scontato riguardante la proliferazione di fake news, c’è un altro che lo è poco.
I social network forniscono una mole impressionante di opinioni simili alle nostre, da fonti disparate, che rendono molto difficile svolgere il debunking.
Lo rendono difficile perché il processo di critica è un processo lento, richiede attenzione e verifiche.
Non può competere sul breve termine in un ambiente in cui vince chi attira l’attenzione, perché nel momento in cui l’operazione di critica è finita, il tema saliente sarà già cambiato. E neanche può ambire a una critica veloce, istantanea, perché diverrebbe come e parte del problema.
Un altro è l’uso esasperato dei termometri politici che sono i sondaggi e che precedono i social network.
I sondaggi danno un’idea falsata di democrazia e impongono ai politici la norma della corsa e della presa agile sui desideri momentanei dell’elettorato.
Questa è una visione ingenua della volontà popolare, come se fosse possibile che questa nasca a partire da desideri momentanei e opinioni poco ragionate.
La corsa al sondaggio impedisce i dibattiti perché punta all’immediata gratificazione data dall’aumento della percentuale (spesso statisticamente irrilevante) rilevata.
Il terzo punto che inquina epistemicamente la sfera pubblica è la corsa alla notizia, alla spettacolarizzazione, alla sentimentalizzazione degli eventi raccontati. Questo li riduce a eventi facilmente consumabili, in cui essere brevemente catturati ed emotivamente coinvolti.
Il punto è che le emozioni possono essere magistralmente manipolate, per creare attenzione, salienza, e immedesimazione.
Pensiamo a quanto siano emotivi i discorsi di Giorgia Meloni, che costituiscono già di per sé notizia. Tutti fondati su di un rapporto personalistico ed emotivo tra lei e gli elettori.
Pensiamo anche alla strategia simile adottata dal Pd attraverso la personalizzazione di questa elezione (e giustamente sottolineata da Stefano).
Molto sommariamente, nel momento in cui l’emotività si innesta sulla nostalgia, si creano le condizioni che favoriscono la destra.
In assenza di una prospettiva di futuro migliore e facilmente raggiungibile, mi sembra difficile che la strategia dell’emotività e della personalizzazione possa favorire la sinistra.
Questi sono tre punti, non necessariamente esaustivi, che credo inquinino il rapporto politico fondamentale tra la sfera pubblica e le istituzioni.
Se da un lato c’è una sfera pubblica resa volubile ed emotiva da incentivi di vario tipo, e dall’altro lato c’è un insieme di abitatori delle istituzioni che insegue questa volubile emotività, i presupposti per una democrazia fondata su di un dibattito razionale vengono a mancare.
La soluzione a questi problemi non è semplice. Coinvolge ambiti disparati che vanno dalle norme di comportamento che ci diamo agli interventi per regolamentare o intervenire sulla sfera pubblica digitale, e passano dalle strategie comunicative ed elettorali dei politici.
Da ognuna di queste cose segue però una conclusione. Ossia, che è fondamentale ricordarsi che quando si cercherà di aggiustare ciò che è rotto, ci si ricordi di aggiustare gli aspetti epistemici delle nostre democrazie e dei rapporti tra sfera pubblica e istituzioni democratiche.
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Il Podcast: La Confessione
Ascolta La Confessione, il podcast di inchiesta che rivela per la prima volta da dentro come funziona il sistema di copertura e insabbiamento degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana.
Un podcast realizzato da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, realizzato grazie al sostegno della comunità di Appunti. Con la collaborazione di Carmelo Rosa e la consulenza per musiche ed effetti di Stefano Tumiati.
Hanno votato partiti euro scettici, perché percepiscono l'Europa come illiberale e antidemocratica. E hanno ragione a percepirla così.
Il loro voto più che dimostrare che sono diventati nazi fascisti, potrebbe essere proprio un voto per la giustizia procedurale.
Perché percependo lo spostare sempre più competenze a livello europeo come uno spostarle più lontano dagli elettori, verso un contesto dove la democrazia è più che altro formale e dove i controlli democratici reali sono meno presenti, hanno votato contro questa dinamica.
Spostare alcune decisioni in Europa è comodo per la politica proprio perché significa spostarle in un contesto meno democratico e meno controllato, ma la stessa cosa vista dall'altra parte appare come uno spostamento verso un sistema più dirigista, tecnocratico e autoritario.
Coloro che hanno votato spinti da questo tipo di ragioni, più o meno consapevolmente articolate o intuitive, hanno votato in senso opposto a ciò di cui li si accusa: non come neofascisti e neonazisti, ma come antifascisti.
Più in generale penso che:
negli ultimi anni stia saltando quel sistema di garanzie reciproche che regge la convivenza civile,
la gente non vota estrema destra, perché non è diventata nazi fascista in massa, ma vota partiti che percepisce come anti sistema, di protesta, contro l’establishment, contro le tendenze che vede intorno a sé, etc.. o partiti reazionari per dire così,
e lo fa perché percepisce che in qualche modo il sistema è truccato, che le garanzie reciproche si sono rotte, che i valori procedurali che lo reggono non se li fila più nessuno,
e questa percezione è fondamentalmente corretta.
Ma anche se non fosse corretta, se le persone ci credono, si comporteranno di conseguenza. E il modo in cui si stanno comportando è logico, coerente e prevedibile, se solo si parte dall'idea che abbiano fondamentalmente fatto propria questa percezione.
Rispondere a queste persone con una reductio ad hitlerum, come fanno molti, significa solo dargli una ulteriore conferma.
Ho fatto degli esempi e potrei continuare anche con chi non rispetta il codice della strada oppure guardando agli USA dove ci si deve almeno registrare per esprimere il voto. Ma restando alla provocazione mi piacerebbe avere un confronto dialettico sui concetti generali più che sulla loro declinazione.