Chi vincerà la guerra dei chip
L'Unione europea, con l'olandese Asml, rischia di trovarsi stritolata nella competizione tra Stati Uniti e Cina. Ma la tecnologia decisiva di questi anni si basa sulla collaborazione
ASML Cleanroom workcenter Veldhoven, February 2020
Il problema della nuova guerra fredda tecnologica è che forse nessuno può davvero vincerla. Il settore dei semiconduttori è tra i più integrati al mondo, ed è il prodotto di una contaminazione di idee, competenze, tecniche manageriali, accesso alle materie prime necessarie
Alla fine di marzo la Cina ha preso una decisione drastica e ha introdotto nuove linee guida che stabiliscono che i microprocessori di Intel e Amd non verranno più usati nei computer e server governativi.
Intel e Amd sono due aziende americane, e questa mossa arriva reazione di Pechino ad anni di tentativi degli Stati Uniti di impedire che i cinesi riescano ad avere accesso alla tecnologia più strategica della nostra epoca: i microchip più avanzati.
E’ un duro colpo per le due aziende, per Intel la Cina è il mercato più grande, da lì dipende il 27 per cento dei 54 miliardi di dollari di ricavi. Per Amd la Cina vale il 15 per cento dei suoi 23 miliardi di ricavi.
Il prossimo bersaglio della lista di Pechino è nientemeno che Microsoft: nei prossimi anni il suo sistema operativo, Windows, non verrà più usato negli uffici pubblici, perché nella geopolitica dei semiconduttori chip e software si muovono spesso in parallelo. Se non hai certi chip, non puoi usare certi software.
La guerra del silicio si combatte sul piano della tecnologia, gli eserciti in campo sono composti da ingegneri, chimici, tecnici iperspecializzati e investitori disposti a finanziare investimenti per decine di miliardi di dollari o di euro, grazie anche a sostegni pubblici altrettanto massicci.
E’ una guerra incruenta, per ora, ma decisiva per stabilire se gli Stati Uniti riusciranno a mantenere la propria vacillante egemonia o se invece la Cina riuscirà a imporsi.
Se questa guerra molto fredda diventasse calda e combattuta, è facile prevedere quale sarebbe il campo di battaglia: Taiwan, che conta sulla protezione degli Stati Uniti proprio perché le aziende tecnologiche della Silicon Valley hanno bisogno dei chip prodotti sull’isola dalla Tsmc.
Chi fa cosa
Oggi nessuna delle tecnologie sulle quali si regge la nostra vita potrebbe funzionare senza i chip e senza il costante processo di miniaturizzazione che in poco più di mezzo secolo ha permesso di passare da qualche decina di transistor in alcuni centimetri quadrati di silicio a miliardi di transistor in pochi nanometri.
Nel 1990 gli Stati Uniti producevano il 37 per cento dei chip, oggi quella quota si è ridotta al 12 per cento, soprattutto per l’ascesa di Taiwan che, con la Tsmc e le sue aziende iper specializzate, ormai produce il 92 per cento dei chip più avanzati, quelli grandi meno di 10 nanometri. Sono quelli cruciali per addestrare le nuove intelligenze artificiali come Chat Gpt.
Soprattutto dopo la pandemia, quando le catene di fornitura globali sono andate in crisi, gli Stati Uniti hanno iniziato a porsi la questione di come mettere in sicurezza la filiera di produzione dei chip.
Poiché l’indipendenza non è pensabile, bisogna ridurre i rischi. E questo gli americani provano a farlo in tre modi: con investimenti in patria, con una cooperazione più stretta con partner affidabili come l’Unione europea, e cercando di impedire che la Cina abbia accesso ai chip di ultima generazione, quelli sotto i 7 nanometri.
Nel 2022, quindi, l’amministrazione Biden ha approvato il Chips and Science Act, un piano da quasi 53 miliardi di dollari di incentivi per favorire gli investimenti in chip in America, così da non dipendere troppo da Taiwan.
Gina Raimondo, segretaria al Commercio, ha spiegato: “I semiconduttori sono come l’acqua della nuova economia, non si può fare niente senza”.
Le macchine di Asml
La filiera
Qui serve una parentesi per capire come funziona la filiera dei semiconduttori.
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