Chip e semiconduttori, come capirci qualcosa
LIBRI - Se non sapete cosa leggere a Pasqua, due consigli: Maniac di Benjamín Labatout e La guerra dei chip, di Chris Miller. Utili soprattutto se non avete idea di quanto sia piccolo un nanometro
Immagine dal sito di TSMC
I chip non sono un prodotto come gli altri. Stiamo parlando di qualcosa di così avanzato che è perfino difficile concepire, perché la nostra mente fatica a concepire l’incredibilmente piccolo almeno quanto l’incredibilmente grande
Nelle settimane scorse, il governo indiano ha approvato la costruzione di una fabbrica di chip per un investimento da 15,2 miliardi di dollari, nel tentativo di trasformare anche l’India in una potenza chiave nella geopolitica dei semiconduttori.
Ci sono dietro i più grandi gruppi dell’India, come Tata e CG power, in collaborazione con Powerchip Semiconductor Manufacturing, PSMC, uno dei produttori di Taiwan, che sull’isola ha sei fonderie di chip.
La fab, come vengono chiamate in gergo queste fabbriche di prodotti ad altissima tecnologia, avrà una capacità di 50.000 wafer al mese e sarà in un segmento ad alto valore aggiunto, cioè quello dei chip ad alte prestazioni con una tecnologia che permette di costruire chip di 28 nanometri per auto elettriche, telecomunicazioni, per il settore della difesa, o l’elettronica di consumo.
Tutto questo sarà possibile anche grazie a generosi incentivi del governo, fino al 50 per cento dell’investimento.
L’India, che a oggi non produce neppure un chip, ha lanciato un ambizioso piano che dovrebbe portarla a diventare in un paio d’anni una alternativa a Taiwan nel settore dei semiconduttori, dove pensa di poter creare un mercato da oltre 60 miliardi di euro di fatturato.
Il primo successo è lo stabilimento dell’americana Micron nella regione del Gujarat, un investimento da 2,75 miliardi di dollari che dovrebbe creare 5.000 posti di lavoro: un investimento pagato fino al 70 per cento dal governo, tra mille polemiche perché l’India non ha certo risorse da sprecare, e l’idea che un paese in via di sviluppo sussidi così pesantemente un’azienda americana non è certo facile da digerire.
Comunque, lo stabilimento della Micron è per assemblaggio e test dei chip, il progetto più ambizioso è arrivare ad avere le “fab”, cioè proprio a produrre i chip in proprio, non essere soltanto un anello della catena che lascia la parte a maggior valore aggiunto nella Silicon Valley, dove i chip vengono progettati, o a Taiwan, dove c’è la parte più complessa della lavorazione.
Sogni di silicio
Che senso ha per un paese che fino a pochi anni fa aveva tassi di povertà analoghi a quelli dell’Africa subsahariana provare a competere alla frontiera dell’innovazione tecnologica, con investimenti così giganteschi? Sono soltanto le manie di grandezza del primo ministro nazionalista Narendra Modi?
Sì e no. I chip sono i cervelli della nostra contemporaneità, niente funziona senza, dai frigoriferi alle auto all’intelligenza artificiale. Quando la produzione di Taiwan ha rallentato, durante la pandemia da Covid, il mondo si è fermato.
E se ci dovesse essere una guerra con la Cina che attacca l’isola che considera parte del suo territorio, le conseguenze per l’economia mondiale sarebbero devastanti.
Dunque, ha perfettamente senso per l’India di Modi provare a infilarsi in questo nuovo quadro geopolitico nel quale molte imprese hanno adottato la strategia “China plus one” o, in questo caso, “Taiwan plus one”: non si può essere dipendenti soltanto dalla Cina o soltanto da Taiwan, ma serve almeno un paese alternativo per ridurre il rischio. E quel paese, in molti casi e per molte catene di fornitura, sta diventando l’India.
Però i chip non sono un prodotto come gli altri. Stiamo parlando di qualcosa di così avanzato che è perfino difficile concepire, perché la nostra mente fatica a concepire l’incredibilmente piccolo almeno quanto l’incredibilmente grande.
Anche io, devo dire, non riuscivo a capire gli ordini di grandezza finché non ho visto una spiegazione visiva, con le figure, del Financial Times dedicata al “miracolo della moderna produzione di chip”.
Ogni transistor, sui chip moderni come quelli che vuole produrre l’India, è 500.000 volte più piccolo di un millimetro. Inutile che proviate a pensare a cosa equivale una grandezza così impalpabile.
Vi basti sapere che un seme di sesamo misura 2 millimetri, una ameba mezzo millimetro, un pelo umano 80 micrometri, cioè milionesimi di metro, un polline 30 micrometri, un batterio un micrometro, un virus 300 nanometri. Un transistor sui chip che vengono prodotti oggi è più piccolo: 50 nanometri.
Se ci pensate un attimo è sconvolgente che tutta la nostra vita sia appesa a qualcosa di così infinitesimale del quale non abbiamo neppure una vaga comprensione.
Per cominciare a farsi un’idea di cosa stiamo parlando, ci sono due libri fondamentali. Uno è Maniac, di Benjamín Labatut, pubblicato da Adelphi: è qualcosa di simile a un romanzo dedicato alla figura di John von Neumann, la figura forse più importante nella concezione dei moderni computer.
Dalle calcolatrici ai chip
Da questo straordinario libro si scoprono due cose: che Von Neumann, Robert Oppenheimer e gli altri scienziati che hanno prodotto la bomba atomica nel deserto di Los Alamos non usavano computer per fare i calcoli, ma calcolatrici, intese come donne - era una mansione tipicamente femminile - che svolgevano a mano i calcoli richiesti dalle complesse equazioni necessarie a prevedere le dinamiche dell’esplosione.
Qualche anno dopo Von Neumann è stato tra i primi a usare schede perforate e transistor per dare istruzioni a un computer di prima generazione, il gigantesco Maniac del titolo del libro, che aveva una potenza di calcolo risibile per gli standard di oggi.
Voi sostenete che certe cose una macchina non le può fare. Spiegatemi esattamente cosa una macchina non può fare, e io riuscirò a costruire una macchina che fa proprio quella cosa
John von Neumann
Saltiamo avanti di meno di settant’anni e a un altro libro fondamentale, appena tradotto in italiano, Chip War, di Chris Miller per Garzanti.
Chris Miller ci offre una spiegazione finalmente comprensibile di cosa fanno i chip e di quanto sono rilevanti. Uso le sue parole perché io potrei soltanto essere più impreciso.
Alla base di ogni elaborazione di dati c’è la necessità di svariati milioni di 1 e 0, cioè il modo in cui si traduce la realtà in linguaggio matematico. L’intero universo digitale consiste in questi due numeri.
Ogni pulsante del vostro iPhone, ogni email, ogni foto o video di Youtube è codificato in ultima analisi in immense stringhe di 0 e 1. Ma questi numeri non esistono davvero, scrive Chris Miller.
Sono l’espressione di correnti elettriche che possono essere attive, e questo equivale a un 1, o inattive, cioè 0.
Un chip è una griglia di milioni o miliardi di transistor, cioè di minuscoli interruttori elettrici che scattano su on o su off per elaborare queste cifre, per ricordarle e per trasformare realtà sensibili come immagini, suoni e onde radio in milioni e milioni di 1 e di 0.
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