Una forza (molto) fragile: bilancio del primo anno di Meloni al governo
Il centrodestra rimane senza alternative e quindi domina, ma la premier non ha cambiato il paese e ha sottovalutato il quadro economico. E voi cosa ne pensate?
Buongiorno a tutte e tutti,
qualche tempo fa la fondazione tedesca Friederich Ebert (Fes) - che è molto attiva in Italia con ricerche, studi, convegni dal 1973 - mi ha chiesto di preparare un bilancio del primo anno della destra al governo.
E’ un esercizio molto utile provare a guardare le cose un po’ dall’alto, pensando a cosa vale davvero la pena raccontare e spiegare a un lettore non italiano. L’analisi, infatti, viene poi tradotta anche in tedesco.
Cos’è davvero importante trattenere di dodici mesi in gran parte sprecati a discutere di sovranità alimentare, di divieto di uso di parole inglesi, di fedeltà coniugale all’interno della famiglia Meloni, di busti di Benito Mussolini in casa di Ignazio La Russa, dei debiti di Daniela Santanché e dell’invasione di migranti?
La mia sintesi per la fondazione Friederich Ebert è che Giorgia Meloni e il suo governo sono forti, perché in un anno non è emersa alcuna alternativa credibile, ma si tratta di una forza fragile perché il successo alle urne nel 2022 e nei sondaggi poi rispecchia la migliore capacità del centrodestra di sfruttare il contesto e la legge elettorale, ma non è il prodotto di un reale cambiamento nelle preferenze degli elettori o la capacità di rispondere alle loro domande.
Gli avvenimenti delle ultime settimane stanno rendendo sempre più evidenti queste fragilità nel governo e nella maggioranza.
Dalle crepe “macro”, come una legge di Bilancio priva di misure significative ma comunque con troppo debito e deficit che ha turbato i mercati, fino alle crepe “micro”, con la rottura tra Giorgia Meloni e il compagno Andrea Giambruno prodotta dalle scelte editoriali di Mediaset, cioè l’azienda controllata dalla stessa famiglia a monte di un partito di maggioranza, Forza Italia.
Di tutte queste cose discuteremo nella prima presentazione del mio report per la Fondazione Friederich Ebhert, oggi pomeriggio, 25 ottobre, alle 17, insieme a Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino di Repubblica, e a Michael Braun, giornalista che be conosce l’Italia e collaboratore scientifico della Fes. A moderare la discussione sarà il direttore della Fes, Tobias Mörschel.
Se volete partecipare, potete registrarvi qui.
Potete anche leggere il paper in versione integrale a questo link.
Qui sotto trovate una sintesi per i lettori di Appunti.
Buona giornata,
Stefano
La vittoria senza svolta
Per un bilancio del primo anno del governo Meloni, bisogna partire dall’analisi del risultato elettorale. All’indomani del voto, si sono presentate due possibili interpretazioni che portano ad aspettative opposte sulle prospettive del governo.
La prima interpretazione è che Giorgia Meloni sia soltanto la più recente declinazione di una domanda costante e insoddisfatta di novità nel sistema politico, da parte di elettori sempre più rapidi alla disillusione.
I cicli delle leadership sono diventati sempre più rapidi dopo le elezioni del 2013, quando l’ingresso massiccio in parlamento del Movimento Cinque stelle ha sancito il definitivo scongelamento dell’elettorato italiano rispetto alle sue tradizionali appartenenze ideologiche e persistenti.
Tra la conquista della premiership di Matteo Renzi e la sua caduta con il referendum costituzionale sono passati poco più di due anni (febbraio 2014-dicembre 2016). Il ciclo successivo della coalizione populista Lega-Cinque stelle è durato appena un anno (2018-2019), con la Lega nazionale di Matteo Salvini che raddoppia dal 17,6 per cento al 34,3 delle politiche per poi iniziare un rapido declino.
Soltanto grazie alla la pandemia, Giuseppe Conte è riuscito a rimanere al potere più di due anni.
E perfino il prestigio indiscusso a livello internazionale e domestico di Mario Draghi si è bruciato nello spazio di quindici mesi, segnati dalla mancata elezione al Quirinale.
Se il consenso a Giorgia Meloni non è altro che l’ennesima fiammata di popolarità in una politica dominata da consensi volatili, allora è legittimo attendersi che anche il suo orizzonte sia più limitato di quanto indicano i sondaggi.
Se invece il passaggio di Fratelli d’Italia dal 2 per cento del debutto elettorale nel 2013 al 26 per cento del 2023 indicasse uno spostamento del paese verso destra, una evoluzione della domanda politica dalla fase sovranista la ritorno di una contrapposizione più tradizionale destra-sinistra, allora la prospettiva di Meloni sarebbe ben diversa.
Il politologo Alessandro Campi, intellettuale di riferimento per una parte del nuovo centrodestra, sostiene per esempio che “quanto avvenuto in Italia con l’ascesa al potere dei nazional-populisti è un mutamento che sembra iscriversi in un movimento della storia che, dopo gli eccessi di ‘eurofria post-nazionalista’ degli ultimi decenni, vede la nazione nuovamente al centro della dinamica politoco-sociale contemporanea”.
La vittoria di Giorgia Meloni, dunque, sarebbe l’indicatore di un cambio di fase e priorità non soltanto italiano, ma addirittura globale.
Uno sguardo laico ai dati delle elezioni 2022 non offre però elementi per indicare un cambiamento profondo della società italiana in senso favorevole a Fratelli d’Italia.
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